Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 20-05-2011, n. 19978 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 4 febbraio 2010, la Corte d’Appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di Ancona, emessa a seguito di giudizio abbreviato il 12 febbraio 2003, con la quale l’imputata era stata condannata per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 con l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, dello stesso D.P.R., per importazione, trasporto, detenzione illeciti di una quantità ingente di eroina.

Avverso tale decisione l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e, in particolare, lamentando: 1) l’erronea interpretazione e applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, perchè la quantità di sostanza stupefacente sequestrata non potrebbe essere ritenuta ingente; 2) la carenza di motivazione quanto all’applicazione di detta circostanza aggravante nel caso concreto; 3) l’illogicità della motivazione circa la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, sul rilievo che la stessa imputata avrebbe fornito elementi rilevanti, anche perchè non le sarebbe stato possibile riferire all’autorità nulla di più di quanto riferito, e cioè l’identità del soggetto che l’aveva incaricata del trasporto dello stupefacente; 4) la carenza di motivazione sul trattamento sanzionatorio, per la mancanza di una idonea valutazione della richiesta di riduzione della pena avanzata dalla stessa imputata.

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – I primi due motivi prospettati possono essere trattati congiuntamente, perchè entrambi relativi alla sussistenza della circostanza aggravante dell’ingente quantità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2.

Deve essere richiamato, sul punto, l’orientamento affermato da questa Corte con le sentenze: Sez. 4, 3 giugno 2010, n. 24571; Sez. 6, 26 gennaio 2011, n. 5574; Sez. 3, 18 novembre 2010, n. 5866/2011. Si deve, infatti, rilevare che non vi è dubbio che tema di stupefacenti, ai fini del riconoscimento dell’aggravante della quantità ingente ( D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 80, comma 2), il giudice deve tener conto sia della qualità della sostanza, con riferimento alla quantità di principio attivo dello stupefacente e alla sua capacità di moltiplicarsi in dosi destinate al consumo, sia del dato ponderale relativo alla quantità di droga trattata e utilmente manipolabile. A tal fine, l’ingente quantità va ritenuta quando il quantitativo sia tale da rappresentare un pericolo per la salute pubblica, ovvero per un rilevante, ancorchè indefinito, numero di consumatori, e, pertanto, allorchè sia idoneo a soddisfare le esigenze di un numero molto elevato di tossicodipendenti, senza ulteriore riferimento al mercato e alla sua eventuale saturazione:

tale riferimento, infatti, non è appropriato rispetto alla ratio della norma e non è facilmente accertabile, anche per il carattere di mercato clandestino rispetto al quale mancano conoscenze certe e riscontrabili.

Tale essendo la prospettiva in cui è necessario porsi, legata alla certezza oggettiva del dato ponderale e non all’impalpabile percezione della condizione del mercato degli stupefacenti, deve però riaffermarsi che, in mancanza di una quantificazione operata dal legislatore, spetta al giudice di merito valutare caso per caso la ricorrenza in concreto della circostanza, senza che questa Corte possa precostituire limiti quantitativi fissi. Pertanto, in sede di legittimità si dovrà soltanto svolgere il normale sindacato sulla congruità della motivazione data dal giudice di merito circa la sussistenza, nei singoli casi di specie, dei presupposti per l’applicazione della circostanza.

Non sembra, dunque, condivisibile il diverso orientamento espresso da questa Corte (Sez. 6, 2 marzo 2010, n. 20119; 4 novembre 2010, nn. 41691 e 42027) secondo cui non possono, di regola, definirsi ingenti i quantitativi di droghe pesanti (ad esempio, eroina e cocaina) oppure leggere (ad esempio, hashish e marijuana) che, sulla base di una percentuale media di principio attivo per il tipo di sostanza, siano rispettivamente al di sotto dei limiti di due chilogrammi e di cinquanta chilogrammi.

Venendo alla fattispecie in esame, va rilevato che la sentenza censurata muove dal dato di fatto che lo stupefacente sequestrato (più di 6 kg. di eroina) "avrebbe potuto coprire il fabbisogno di un tossicodipendente medio per un periodo oscillante da 3100 a 7700 giorni" e ne desume correttamente la conseguenza che il quantitativo di sostanza stupefacente di cui si tratta sia ingente, in quanto idoneo a soddisfare le esigenze di un rilevante numero di consumatori, con elevato pericolo per la salute pubblica.

Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere ritenuta sul punto esente da vizi, con conseguente rigetto dei relativi motivi di ricorso.

1.2. – Quanto al motivo sub 3), relativo all’illogicità della motivazione circa la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, esso si fonda sul rilievo che alla stessa imputata non sarebbe stato possibile riferire all’autorità nulla di più di quanto effettivamente riferito, e cioè l’identità del soggetto che l’aveva incaricata del trasporto dello stupefacente.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata conferma, infatti, sul punto quella del Tribunale – la quale ha sufficientemente motivato sulla scarsa importanza del contributo delle dichiarazioni accusatorie dell’imputata – e ribadisce che la chiamata in correità non ha comportato l’interruzione dell’attività criminosa, nè la sottrazione di risorse rilevanti per la commissione di ulteriori analoghi delitti, perchè ha avuto quale unico oggetto il nome del fornitore della droga.

Trova, perciò, applicazione il principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 non è sufficiente la mera indicazione del nominativo di qualche complice, ma è necessario che la collaborazione prestata porti alla sottrazione di risorse rilevanti ed eviti la commissione di ulteriori attività delittuose (ex plurimìs, Sez. 4, 23 gennaio 2007, n. 10115; Sez. 3, 25 febbraio 2009, n. 15060; Sez. 6, 2 marzo 2010, n. 20799; Sez. 6, 26 gennaio 2011, n. 5574).

1.3. – La censura, prospettata con il motivo sub 4), di carenza della motivazione sulla mancata riduzione della pena è del pari infondata.

Sul punto, la sentenza impugnata richiama per relationem la pronuncia di primo grado, specificando che la misura della pena irrogata dal GUP è congrua rispetto alla gravità del fatto e che non sussistono ragioni per ridurla. Una tale motivazione appare sufficiente, perchè, nel caso di specie, le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado non contengono elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati e disattesi da detta sentenza, quali l’ingenuità e la giovane età dell’imputata.

Trova applicazione, infatti, il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudice d’appello può legittimamente avvalersi della tecnica della motivazione per relationem a condizione che le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado non contengano elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati e disattesi dal primo giudice (ex plurimis, Sez. 5, 8 aprile 1999, n. 4415; Sez. 5, 11 giugno 1999, n. 7572; Sez. 6, 15 luglio 2004, n. 31080; Sez. 3, 16 febbraio 2011, n. 8424).

2. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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