Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 20-05-2011, n. 19977 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’I 1 marzo 2010, la Corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Nola, emessa a seguito di giudizio abbreviato il 1 ottobre 2009, con la quale l’imputato era stato condannato per il reato di detenzione di stupefacenti di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 con l’attenuante di cui al comma 5 dello stesso articolo, ritenuta prevalente sulla recidiva.

Avverso tale decisione il condannato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per; a) illogicità della motivazione sulla valutazione della prova; b) carenza di motivazione sul trattamento sanzionatorio.
Motivi della decisione

1. – Il ricorso è inammissibile, perchè proposto per motivi manifestamente infondati.

1.1. – Quanto alla censura sub a), va rilevato che la motivazione in ordine alla valutazione della prova contenuta nella sentenza impugnata appare sufficiente. Essa, infatti, oltre a richiamare per relationem gli elementi salienti della sentenza di primo grado, specifica che l’inattendibilità della versione alternativa dei fatti fornita dall’imputato si basa su elementi certi e incontrovertibili:

a) la constatazione da parte della polizia giudiziaria sia della presenza nell’abitazione dell’imputato – all’epoca agli arresti domiciliari – di un soggetto estraneo che deteneva sostanza stupefacente sia della diretta detenzione da parte dello stesso imputato di sostanza stupefacente e di una somma di denaro in contanti; b) le dichiarazioni accusatorie di tale soggetto estraneo a carico dell’imputato; c) gli accertamenti tecnici sulla sostanza stupefacente.

A fronte di una siffatta motivazione – che deve essere ritenuta congrua ed esente da vizi logici – la censura del ricorrente si risolve, in sostanza, nella richiesta di una rivalutazione del quadro probatorio, che si concretizza in un riesame del merito della sentenza impugnata, precluso in sede di legittimità.

Deve, infatti, farsi richiamo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, nè nell’autonomo richiamo a nuovi e diversi criteri di giudizio (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951;

Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110;

Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, n. 8096 del 2011).

La censura deve, pertanto, essere dichiarata manifestamente infondata.

1.2. – In relazione al motivo di impugnazione riferito al trattamento sanzionatorio, va rilevato che la sentenza contiene, sul punto, una motivazione sufficiente, laddove fonda il diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla considerazione che la condotta, di per sè non grave, è stata tenuta da un soggetto pregiudicato per reato specifico e agli arresti domiciliari e precisa che la modestia oggettiva dell’episodio è già stata congruamente tenuta in considerazione sia in sede di applicazione dei parametri dell’art. 133 c.p., sia nella ritenuta prevalenza dell’attenuante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, sulla contestata recidiva.

Anche tale motivazione deve essere ritenuta congrua ed esente da vizi logici, con la conseguenza che – in applicazione del principio richiamato al punto 1.1. – la censura del ricorrente deve essere considerata alla stregua di una richiesta di una rivalutazione, che si concretizza in un riesame del merito della sentenza impugnata, precluso in sede di legittimità.

Ne deriva la manifesta infondatezza del relativo motivo di ricorso.

2. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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