CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 1 dicembre 2009, n.25286 GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO E RELATIVO AMBITO COGNITIVO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

§1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 99 del codice di procedura civile in relazione all’articolo 360 n. 3 dello stesso codice”, nonché “omessa e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360 n. 5 del codice di procedura civile”.

Vi si censura la decisione impugnata nella parte relativa alla motivazione adottata quanto alla domanda concernente il credito per il maggior danno.

Dopo aver rilevato che nel ricorso per decreto ingiuntivo erano stati chiesti gli interessi ed il maggior danno ex art. 1224 c.c., si assume che “la domanda di risarcimento [era] stata comunque riportata sia nella comparsa di costituzione sia nella comparsa conclusionale del processo di primo grado”, si rileva che l’opposto nel giudizio di cognizione ordinaria che si instaura a seguito dell’opposizione non può proporre domande nuove, che, dunque, la sua domanda deve necessariamente individuarsi “in relazione alle richieste formulate con il ricorso per ingiunzione”, che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte sottolineato che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione sulla domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione, che l’atto di opposizione è equiparabile ad una comparsa di riposta che si correla alla domanda proposta con il ricorso ingiuntivo ed, infine, che la stessa richiesta di rigetto dell’opposizione comportava automaticamente “la richiesta di conferma della statuizione di cui al decreto ingiuntivo e, pertanto, anche la condanna al pagamento del maggior danno”.

Con il secondo motivo si denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1224 del codice civile in relazione all’articolo 360 n. 3 del codice di procedura civile”, nonché “omessa e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360 n. 5 del codice di procedura civile”.

Vi si censura espressamente “il capo della sentenza che non ha riconosciuto il diritto della stessa X S.p.A. al risarcimento del maggior danno” e la relativa illustrazione si articola con argomenti a sostegno della sussistenza dei presupposti per riconoscersi il maggior danno ai sensi dell’art. 1224 del codice civile e per il suo ragguaglio “al costo sostenuto dal farmacista mandante al fine di ottenere dalla società ricorrente, mandataria all’incasso e rappresentante processuale, l’anticipazione degli importi capitale non puntualmente erogati dalle Aziende Sanitarie Locali”.

§2. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Allorquando con il ricorso per decreto ingiuntivo viene chiesto il riconoscimento di un credito in difetto delle condizioni speciali di ammissibilità della tutela monitoria e venga successivamente proposta l’opposizione da parte dell’ingiunto con la deduzione, fra l’altro dell’emissione del decreto nonostante quel difetto (per tutto o parte del credito), nel giudizio a cognizione piena che viene introdotto formalmente con l’opposizione, la domanda giudiziale oggetto della cognizione del giudice dell’opposizione, a parte l’eventualità che lo stesso opponente introduca a sua volta in via riconvenzionale domande ed a parte l’eventualità – sui cui limiti non è qui necessario soffermarsi – che a sua volta ne introduca lo stesso opposto, è individuata automaticamente in quanto è stato richiesto, sia pure parzialmente o totalmente, con il ricorso per decreto ingiuntivo, atteso che l’opposizione determina l’insorgenza del dovere di provvedere con le regole della cognizione piena su quanto è stato richiesto con il decreto ingiuntivo e nel relativo giudizio l’opposto è attore in senso sostanziale e l’opponente è convenuto in senso sostanziale.

Ne consegue che la circostanza che l’opposta e qui ricorrente, a seguito dell’opposizione al decreto della qui resistente si fosse limitata a chiedere il rigetto dell’opposizione non ha potuto avere affatto il valore che le ha riconosciuto la Corte mamertina, cioè – sembrerebbe – quello di restringere la cognizione del giudice dell’opposizione al solo controllo sul se il decreto ingiuntivo era stato emesso ritualmente e, particolarmente, sul se ne era stata legittima l’emissione per il credito a titolo di risarcimento del maggior danno. La cognizione del giudice dell’opposizione, una volta introdotta l’opposizione, si estendeva automaticamente, oltre che a quel controllo, se sollecitato, come era stato dall’opponente, all’accertamento della sussistenza o meno della pretesa creditoria in parte qua. Di modo che l’esplicita richiesta, per il caso di disconoscimento della ritualità dell’emissione del decreto quanto a detto credito (cosa in effetti avvenuta), di pronuncia sulla debenza della relativa somma, formulata con l’atto di appello, del tutto erroneamente è stata ritenuta una nuova domanda e ricondotta all’ambito dell’art. 345 c.p.c.

Quanto appena osservato è conforme a consolidata giurisprudenza di questa Corte.

Si vedano, fra le tante, le seguenti decisioni: «L’opposizione a decreto ingiuntivo instaura un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione che sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio, investe il giudice del potere-dovere di statuire sulla pretesa originariamente fatta valere con la domanda d’ingiunzione e sulle eccezioni e difese contro di essa proposte (salvo il caso in cui manchi la possibilità di emettere una pronuncia di merito), restando regolato, nel grado d’appello, dalle norme che lo disciplinano ivi comprese quelle sulle eccezioni deducibili a norma dell’art. 345 cod. proc. civ.» (Cass. n. 63 del 1989); «Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza – e non a quello anteriore della domanda o dell’emissione del provvedimento opposto -, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione» (Cass. sez. un. n. 7448 del 1993); «Non sussiste il vizio di “extrapetizione” (art. 112 cod. proc. civ.) se il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo – giudizio di cognizione proposto non solo per accertare l’esistenza delle condizioni per l’emissione dell’ ingiunzione, ma anche per esaminare la fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi, offerti dal medesimo e contrastati dall’ingiunto – revoca il provvedimento monitorio ed emette una sentenza di condanna di questi per somma anche minore rispetto a quella ingiunta, dovendosi ritenere che nella originaria domanda di pagamento di un credito, contenuta nel ricorso per ingiunzione, e nella domanda di rigetto dell’opposizione (o dell’appello dell’opponente) sia ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo minore» (Cass. n. 1954 del 2009); «L’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (art. 633, 644 ss. cod. proc. civ.), si svolge nel contraddittorio delle parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 cod. proc. civ.). Ne consegue che il giudice dell’opposizione, anche quando si tratti di giudice di pace, è investito del potere – dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l’eventuale domanda riconvenzionale dell’opponente) ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all’esito dello stesso» (Cass. n. 1184 del 2007; n. 13001 del 2006).

La sentenza impugnata (com’è già accaduto per altre consimili della stessa Corte territoriale, Cass. n. 16014 e 16015 del 2008) va, dunque, cassata in applicazione dei suddetti principi.

§2. Il secondo motivo – che sarebbe stato inammissibile, perché la Corte territoriale non si è pronunciata sulla effettiva debenza della somma ingiunta a titolo di risarcimento del maggior danno, avendo ravvisato erroneamente una ragione di rito ostativa, che è quella censurata dal primo motivo – resta comunque assorbito.

La relativa questione non è scrutinabile da questa Corte ai fini di un’eventuale decisione sul merito, per essere necessari accertamenti di fatto. Essa andrà esaminata dal giudice di rinvio, che si designa nella stessa Corte d’Appello di Messina, che deciderà con diversa sezione e in diversa composizione.

Ciò, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Messina, che deciderà con diversa sezione e in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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