Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-09-2011, n. 19264

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 26 giugno 2004 – 5 gennaio 2005 il Tribunale di Milano condannò la Saima Avandero S.p.A. a indennizzare la Ace Insurance Company S.A. N.V. (attualmente Ace European Group Ltd), la quale aveva agito in qualità di cessionaria dei diritti della SGS Thomson Microelectronics S.n.c., società che aveva incaricato la Saima di eseguire un trasporto di merce, poi non consegnata al destinatario. Con sentenza depositata in data 16 giugno 2008 la Corte d’Appello di Milano respingeva il gravame della Saima. La Corte territoriale osservava per quanto interessa: la Ace aveva agito in qualità di cessionaria dei diritti spettanti alla Thomson nei confronti del vettore in base all’indennizzo versato e non si era verificata alcuna mutatio libelli; l’eccezione di carenza di legittimazione era stata sollevata dalla Saima irritualmente e, comunque, risultava infondata; correttamente il primo giudice aveva qualificato la Thomson come venditrice della, merce e i singolo destinatari acquirenti di essa; la Convenzione dell’Aja non prevedeva l’estromissione del venditore mittente dal contratto di trasporto da lui concluso; dai documenti emergeva che nella prima fase del trasporto destinataria era la Saima; correttamente il Tribunale aveva ritenuto sussistente la colpa grave.

Avverso la suddetta sentenza la Saima Avandero ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Ace European ha resistito con controricorso e presentato memoria.
Motivi della decisione

1. – Il Collegio autorizza la motivazione semplificata della sentenza.

2. – Si premette che il ricorso de quo è soggetto, ratione temporis (avuto riguardo alla data di deposito della sentenza impugnata: 18 febbraio 2009), alla disciplina del D.Lgs. n. 40 del 2006, che ha introdotto l’art. 366-bis c.p.c. Secondo questa norma i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

3. – Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e "virtuoso" nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

4.1 – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1693, 1689, 1685, 2697 c.c., dell’art. 1362 c.c. e segg. dell’art. 2951 c.c., degli artt. 163, 180, 99, 112 c.p.c., artt. 4, 5, 6, 9, 12 e 17 della C.M.R. (Convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956, resa esecutiva in Italia con legge 6 dicembre 1960, n 1691) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 (non anche al n. 4, come – invece – occorre allorchè la denuncia concerna l’art. 112 c.p.c.).

La censura riguarda il carattere unitario – affermato da entrambi i giudici di merito – del contratto di trasporto avente ad oggetto non solo quello internazionale, ma anche quello – successivo – nazionale.

Essa in realtà attiene all’interpretazione dei dati contrattuali, attività riservata alla competenza del giudice di merito. Nella specie la Corte d’Appello ha interpretato e valutato le risultanze processuali.

Giova premettere che è orientamento giurisprudenziale costante (confronta, per tutte, Cass. 4849 del 2006; Cass. n. 15381 del 2004) che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e segg. Nell’ipotesi in cui il ricorrente lamenti espressamente tale violazione, egli ha l’onere di indicare, in modo specifico, i criteri in concreto non osservati dal giudice di merito e, soprattutto, il modo in cui questi si sia da essi discostato, non essendo, all’uopo, sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante. Tale orientamento è stato totalmente condiviso e applicato da questa stessa sezione che, infatti, ha ripetutamente affermato (Cass. Sez. 3^ n. 18735 del 2003;

Cass. Sez. 3^, n. 17427 del 2003) che l’interpretazione della volontà della parti in relazione al contenuto di un contratto o di una qualsiasi clausola contrattuale importa indagini e valutazioni di fatto affidate al potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabili in sede di legittimità ove non risultino violati i canoni normativi di ermeneutica contrattuale e non sussista un vizio nell’attività svolta dal giudice di merito, tale da influire sulla logicità, congruità e completezza della motivazione.

Anzi, questa sezione ha ulteriormente precisato (Cass., Sez. 3^, n. 15279 del 2003) che il ricorrente per Cassazione che censuri l’erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice del merito, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura.

Inoltre il motivo si rivela inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Infine, manca il momento di sintesi relativo al vizio di motivazione (denunciato con il riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5) mentre il quesito finale non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulle numerose norme indicate, ma si sostanzia in una richiesta di verifica della negata correttezza della sentenza impugnata, da compiersi in esito all’esame delle risultanze processuali e a valutazioni di merito, cioè attraverso attività non consentite in sede di legittimità. 3.2 – Il secondo motivo adduce violazione falsa applicazione degli artt. 1693, 1689, 2697, 2951 c.c., e dell’art. 1362 c.c. e segg., degli artt. 1260, 1916, 1201 c.c., nonchè degli artt. 163, 99, 100, 180, 183 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Il tema è la qualità di cessionaria da parte dell’Ace dei diritti della Thomson francese. Si assume che non era stato ceduto un diritto proprio verso la Saima Avandero poichè la Thomson non ne era portatrice.

La censura presenta i medesimi caratteri negativi evidenziati con riferimento al primo motivo e, quindi, risulta inammissibile per le medesime ragioni lì esposte.

3.3 – Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2951, 2943, 2697 c.c., dell’art. 1362 c.c. e segg., degli artt. 1693, 1689 c.c., nonchè degli artt. 163, 180, 183 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Si assume che la surroga non è avvenuta legittimamente. Anche per questa censura valgono i rilievi e le considerazioni svolte a proposito del primo motivo. La Corte territoriale ha statuito in base alla interpretazione, riservata al giudice di merito, dei dati contrattuali.

4. – Pertanto il ricorso è inammissibile. Le spese seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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