Corte Costituzionale sentenza N. 139 SENTENZA 5 – 13 giugno 2013

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 1,
comma 3, e 2, comma 1, della legge della Regione Veneto 6 luglio
2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50
"Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo
venatorio"), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con
ricorso notificato il 10-13 settembre 2012, depositato in cancelleria
il 17 settembre 2012 ed iscritto al n. 122 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 7 maggio 2013 il Giudice relatore
Giorgio Lattanzi;
uditi l’avvocato dello Stato Cristina Gerardis per il Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Luigi Manzi e Daniela
Palumbo per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 10 settembre 2012 e depositato il
successivo 17 settembre (reg. ric. n. 122 del 2012) il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha sollevato questioni di legittimita’
costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, della legge
della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge
regionale 9 dicembre 1993, n. 50 "Norme per la protezione della fauna
selvatica e per il prelievo venatorio"), in riferimento all’articolo
117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.
Le disposizioni impugnate modificano la legge regionale 9
dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e
per il prelievo venatorio).
In particolare, l’art. 1, comma 3, aggiungendo un comma 3-bis
all’art. 20-bis di quest’ultimo testo normativo, stabilisce che «gli
appostamenti per la caccia al colombaccio di cui al presente articolo
sono soggetti alla comunicazione al comune e non richiedono titolo
abitativo edilizio ai sensi dell’articolo 6 del decreto del
Presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia" e
successive modificazioni e si configurano quali interventi non
soggetti ad autorizzazione paesaggistica, ove siano correttamente
mimetizzati e siano realizzati, secondo gli usi e le consuetudini
locali, in legno e metallo, di altezza non superiore il limite
frondoso degli alberi e siano privi di allacciamenti e di opere di
urbanizzazione e comunque non siano provvisti di attrezzature
permanenti per il riscaldamento».
Il ricorrente ritiene lesiva della competenza esclusiva dello
Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117,
secondo comma, lettera s, Cost.) la previsione che esclude gli
appostamenti per la caccia al colombaccio, indicati dalla norma
impugnata, dall’autorizzazione paesaggistica, dato che essa deve
ritenersi richiesta ai sensi degli artt. 146 e 149 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.
137). Tali interventi, infatti, non potrebbero avere carattere di
lieve entita’ e non ricadrebbero, quindi, nel regime
dell’"autorizzazione semplificata" di cui all’art. 1 del d.P.R. 9
luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di
autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entita’, a
norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, e successive modificazioni).
La seconda disposizione impugnata, cioe’ l’art. 2, comma 1,
aggiunge una previsione all’art. 9, comma 2, lettera h), della legge
regionale n. 50 del 1993, stabilendo che «tutte le tipologie di
appostamento di cui all’articolo 20 della presente legge e
all’articolo 12, comma 5 della legge n. 157 del 1992, realizzate
secondo gli usi e le consuetudini locali, sono soggette a
comunicazione al comune e non richiedono titolo abitativo edilizio ai
sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della repubblica 6
giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di edilizia" e successive modificazioni e si
configurano quali interventi non soggetti ad autorizzazione
paesaggistica; per gli appostamenti che vengono rimossi a fine
giornata di caccia non e’ previsto l’obbligo della comunicazione al
comune territorialmente competente».
Il ricorrente in primo luogo formula la medesima censura di
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. avanzata
nei confronti dell’art. 3, comma 1, per la sottrazione di tutti gli
appostamenti all’autorizzazione paesaggistica.
In secondo luogo, per l’esclusione della necessita’ del titolo
abilitativo edilizio, il ricorrente denuncia la violazione del
principio fondamentale in materia di governo del territorio (art.
117, terzo comma, Cost.) recato dall’art. 3, comma 1, lettera e.5),
del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A).
A parere del ricorrente, in base a questa disposizione restano
soggetti a permesso di costruire interventi edilizi privi del
carattere della precarieta’ funzionale, per la tipologia dei
materiali impiegati e l’uso non temporaneo.
Gli appostamenti per la caccia rientrerebbero in tale
fattispecie, avendo carattere fisso, sicche’ neppure in forza
dell’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, che
pure consente alla Regione di estendere il regime dell’attivita’
edilizia libera, il legislatore regionale avrebbe potuto derogare
all’obbligo del permesso di costruire.
2.- Si e’ costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo che
il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque non fondato.
La Regione rileva che lo Stato non ha impugnato l’art. 1 della
legge regionale 24 febbraio 2012, n. 12 (Modifiche alla legge
regionale 9 dicembre 1993, n. 50 "Norme per la protezione della fauna
selvatica e per il prelievo venatorio"), che ha esentato gli
appostamenti per la caccia a ungulati, ivi indicati,
dall’autorizzazione paesaggistica e dal titolo abilitativo edilizio,
ne’ l’art. 3 della stessa legge, recante analoga esenzione per gli
appostamenti nel territorio lagunare e vallivo.
Cio’ avrebbe indotto il legislatore regionale a confidare nella
legittimita’ degli analoghi interventi oggi impugnati. Del resto,
aggiunge la difesa regionale, la delibera di Giunta del 2 ottobre
2012, n. 2005, nell’approntare una disciplina piu’ puntuale circa il
regime degli appostamenti per la caccia ad ungulati e colombacci,
avrebbe recepito le indicazioni rese dalla Direzione regionale per i
beni culturali e paesaggistici.
Rispetto all’art. 1, comma 3, impugnato, e alla deroga ivi
introdotta all’obbligo di autorizzazione paesaggistica, andrebbe
considerato che gli appostamenti per la caccia ai colombacci sono
collocabili solo nelle zone identificate dalle Province, sulla base
di criteri minimi uniformi sull’assetto del territorio e la sicurezza
enunciati dalla Giunta regionale (art. 20-bis, comma 2, della legge
regionale n. 50 del 1993). La Regione ribadisce, a tale proposito,
che la relativa delibera di Giunta e’ stata preceduta da un parere
favorevole del competente organo statale.
Ne seguirebbe che i profili di tutela dell’ambiente di competenza
statale sarebbero da valutare solo con riguardo all’atto
amministrativo della Giunta, e non alla disposizione impugnata,
«priva di autonomo carattere precettivo».
Rispetto all’art. 2, comma 1, la Regione ritiene che, sotto il
profilo edilizio, tutti gli appostamenti per la caccia abbiano
carattere precario, poiche’ destinati ad un impiego limitato alla
stagione venatoria, percio’ la legge regionale potrebbe esentarli dal
titolo abilitativo, ai sensi dell’art. 6, comma 6, lettera a), del
d.P.R. n. 380 del 2001, al pari delle serre mobili stagionali
previste dal comma 1, lettera e), di tale ultima norma.
Ne’ sarebbe pertinente il richiamo fatto dal ricorrente alla
sentenza n. 171 del 2012 di questa Corte, con la quale sarebbe stata
dichiarata la illegittimita’ costituzionale di una norma regionale
che esentava dal titolo edilizio strutture di natura permanente, e
non precaria, come gli appostamenti per la caccia.
Quanto all’autorizzazione paesaggistica, la Regione reputa che
gli appostamenti per la caccia possano costituire interventi inerenti
all’esercizio dell’attivita’ agro-silvo-pastorale, per i quali l’art.
149, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 42 del 2004, a certe
condizioni, non richiede l’autorizzazione. Tale conclusione andrebbe
desunta dall’art. 10, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157
(Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio), che assoggetta tutto il territorio
agro-silvo-pastorale a pianificazione faunistico-venatoria.
Inoltre, la difesa regionale evidenzia che sono esentati gli
appostamenti realizzati secondo gli usi e le consuetudini locali:
essi, percio’, sarebbero per definizione "strutture integrate con il
territorio" e non potrebbero reputarsi "nuove costruzioni".

Considerato in diritto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questioni
di legittimita’ costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 2, comma
1, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche
alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 "Norme per la protezione
della fauna selvatica e per il prelievo venatorio"), in riferimento
all’articolo 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della
Costituzione.
Le disposizioni impugnate apportano modifiche alla legge
regionale 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna
selvatica e per il prelievo venatorio).
In particolare, l’art. 1, comma 3, della legge oggetto di ricorso
aggiunge un comma 3-bis all’art. 20 della legge regionale n. 50 del
1993, il quale, per quanto qui interessa, sottrae al regime
dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti per la caccia al
colombaccio, realizzati con particolari accorgimenti secondo gli usi
e le consuetudini locali.
L’art. 2, comma 1, impugnato modifica, invece, l’art. 9, comma 2,
lettera h), della legge regionale n. 50 del 1993 ed esclude la
necessita’ di richiedere sia l’autorizzazione paesaggistica, sia il
titolo abilitativo edilizio per gli appostamenti fissi per la caccia,
che sono definiti come attivita’ edilizia libera, ai sensi dell’art.
6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di edilizia – Testo A).
Il ricorrente impugna entrambe le disposizioni, con riferimento
alla deroga introdotta all’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica,
perche’ violerebbero la competenza esclusiva dello Stato in materia
di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma,
lettera s, Cost.).
Il solo art. 2, comma 1, viene censurato anche nella parte in cui
esenta gli appostamenti fissi per la caccia dal titolo abilitativo
edilizio, perche’ violerebbe il principio fondamentale espresso,
nella materia concorrente del governo del territorio (art. 117, terzo
comma, Cost.), dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il
quale tali manufatti sarebbero soggetti a permesso di costruire.
2.- In via preliminare, la Corte rileva che l’omessa
impugnazione, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, di
precedenti norme del legislatore veneto, analoghe alle disposizioni
oggetto di ricorso, non ha alcun rilievo, dato che l’istituto
dell’acquiescenza non e’ applicabile nel giudizio di legittimita’
costituzionale in via principale (ex plurimis, sentenze n. 71 del
2012 e n. 187 del 2011).
Ai fini della risoluzione delle odierne questioni, non e’ dunque
pertinente l’osservazione della difesa regionale, secondo cui l’art.
1, comma 3, impugnato estende agli appostamenti per la caccia ai
colombacci quanto era gia’ stato stabilito per gli ungulati dall’art.
1 della legge regionale 24 febbraio 2012, n. 12 (Modifiche alla legge
regionale 9 dicembre 1993, n. 50 "Norme per la protezione della fauna
selvatica e per il prelievo venatorio"). Ugualmente privo di
pertinenza e’ il riferimento all’art. 3 della medesima legge
regionale, che ha sottratto gli appostamenti per la caccia in
territorio lagunare e vallivo, sia al titolo edilizio, sia
all’autorizzazione paesaggistica.
3.- Le questioni di legittimita’ costituzionale di entrambe le
disposizioni impugnate, nella parte in cui esse derogano all’obbligo
dell’autorizzazione paesaggistica, sono fondate in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che non compete al
legislatore regionale disciplinare ipotesi di esenzione, rispetto ai
casi per i quali la normativa dello Stato subordina l’esecuzione di
un intervento al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (sentenze
n. 66 del 2012; n. 235 del 2011; n. 232 del 2008). Questo istituto
persegue, infatti, finalita’ di tutela dell’ambiente e del paesaggio,
rispetto alle quali la legge regionale, nelle materie di propria
competenza, puo’ semmai ampliare, ma non ridurre, lo standard di
protezione assicurato dalla normativa dello Stato (ex plurimis,
sentenze n. 58 del 2013; n. 66 del 2012; n. 225 del 2009; n. 398 del
2006; n. 407 del 2002).
Cio’ posto, deve ritenersi che l’impatto prodotto nelle aree
tutelate dagli appostamenti venatori, siano essi fissi, ovvero
destinati a cacciare i colombacci, comporti la necessita’ di una
preventiva valutazione di compatibilita’, mediante il ricorso
all’autorizzazione paesaggistica.
E’ da aggiungere che la Regione non sarebbe competente, in una
materia di esclusiva spettanza dello Stato, ad irrigidire nelle forme
della legge casi di deroga al regime autorizzatorio, neppure quando
essi fossero gia’ desumibili dall’applicazione in concreto della
disciplina statale. In ogni caso per gli appostamenti in questione e’
da escludere che, come invece pretenderebbe la difesa regionale, una
simile deroga possa venire tratta dall’art. 149, comma 1, lettera b),
del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137), posto che tale disposizione esenta
dall’autorizzazione taluni interventi attinenti all’attivita’
agro-silvo-pastorale, e non dunque a quella venatoria.
Va da se’, poi, che le finalita’ sottese al regime autorizzatorio
debbono venire assolte mediante lo strumento tipico previsto dalla
legge statale, senza che la Regione possa addurre, in via
surrogatoria, modalita’ procedimentali comunque diverse
dall’autorizzazione. Percio’ e’ irrilevante sia che la delibera della
Giunta regionale n. 2005 del 2012 abbia approvato criteri di
sicurezza e di uso del territorio ai fini della realizzazione degli
appostamenti per ungulati e colombacci; sia che tale atto sia stato
adottato su parere favorevole della competente amministrazione dello
Stato; sia che usi e consuetudini locali permettano, come prospetta
la difesa regionale, una favorevole integrazione degli appostamenti
fissi nel territorio.
4.- La questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 2,
comma 1, della legge regionale n. 25 del 2012, anche nella parte in
cui esenta dal titolo abilitativo edilizio gli appostamenti fissi per
la caccia, realizzati secondo usi e consuetudini locali, e’ fondata,
in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
Questa Corte ha gia’ affermato che la disciplina dei titoli
richiesti per eseguire un intervento edilizio, e l’indicazione dei
casi in cui essi sono necessari, costituisce un principio
fondamentale del governo del territorio, che vincola la legislazione
regionale di dettaglio (sentenza n. 303 del 2003; in seguito,
sentenze n. 171 del 2012; n. 309 del 2011).
Gli appostamenti regolati dalla norma impugnata, attraverso il
rinvio all’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157
(Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio), e all’art. 20 della legge regionale n. 50 del
1993, sono "fissi"; essi, in altri termini, comportano una
significativa e permanente trasformazione del territorio, che la
stessa realizzazione secondo usi e consuetudini non e’ in grado di
sminuire: basti pensare che dall’art. 1, comma 3, impugnato si deduce
la compatibilita’ con gli usi di strutture in legno o metallo, di
un’altezza che puo’ raggiungere «il limite frondoso degli alberi».
E’ da aggiungere che il carattere stagionale dell’attivita’
venatoria e, conseguentemente, dell’impiego dell’appostamento non
vale ad escludere, sulla base della legislazione vigente, il rilievo
che quest’ultimo assume sul piano edilizio. L’art. 3, comma 1,
lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, dedotto quale norma
interposta dal ricorrente, qualifica come nuova costruzione, soggetta
a permesso di costruire in forza dell’art. 10, comma 1, lettera a),
del medesimo testo normativo, l’installazione di manufatti leggeri
che non siano destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee.
Da tale disposizione si e’ tratto il piu’ generale principio che la
natura stagionale dell’uso non implica precarieta’ del manufatto,
quando esso sia volto a garantire bisogni destinati a reiterarsi nel
tempo, sia pure non continuativamente.
Ne consegue che l’appostamento fisso per la caccia, che la stessa
difesa regionale distingue «da quelli suscettibili di rimozione al
termine» della stagione venatoria, e’ soggetto a permesso di
costruire, in base agli artt. 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Cio’ premesso, si tratta di decidere se possa trovare
applicazione l’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, che indica casi di
attivita’ edilizia libera e prevede, con il comma 6, lettera a), che
le Regioni a statuto ordinario possono estendere tale disciplina a
«interventi edilizi ulteriori».
Questa Corte ha gia’ escluso che la disposizione appena citata
permetta al legislatore regionale di sovvertire le "definizioni" di
"nuova costruzione" recate dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001
(sentenza n. 171 del 2012).
L’attivita’ demandata alla Regione si inserisce pur sempre
nell’ambito derogatorio definito dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del
2001, attraverso la enucleazione di interventi tipici da sottrarre a
permesso di costruire e SCIA (segnalazione certificata di inizio
attivita’). Non e’ percio’ pensabile che il legislatore statale abbia
reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi
del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali della
materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano
cosi’ significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire.
Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi
sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che
sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del
2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo.
Gli appostamenti fissi per la caccia, sotto questo profilo, non
sono assimilabili, come sostiene la difesa regionale, alle serre
mobili stagionali, sprovviste di struttura in muratura e funzionali
allo svolgimento dell’attivita’ agricola, che costituiscono attivita’
edilizia libera ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera e), del d.P.R.
n. 380 del 2001.
Il perno del regime derogatorio, infatti, e’ costituito dalla
mobilita’ delle serre, requisito di cui l’appostamento "fisso" di per
se’ non gode.
Il legislatore regionale ha percio’ valicato il limite
determinato dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del
2001, relativo alla estensione dei casi di attivita’ edilizia libera
ad ipotesi non integralmente nuove, ma "ulteriori", ovvero coerenti e
logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del
medesimo art. 6.
Ne consegue che la norma impugnata, avendo ad oggetto manufatti
per i quali la normativa dello Stato esige il permesso di costruire,
ha ecceduto dalla sfera di competenza concorrente assegnata dall’art.
117, terzo comma, Cost.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 1,
comma 3, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25
(Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 "Norme per la
protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio"), nella
parte in cui esenta dall’assoggettamento al regime
dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti per la caccia al
colombaccio;
2) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 2,
comma 1, della legge della Regione Veneto n. 25 del 2012, nella parte
in cui esenta dall’assoggettamento al regime del titolo abilitativo
edilizio e dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti fissi
per la caccia.

Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2013.

F.to:
Franco GALLO, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2013.

Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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