Corte Costituzionale sentenza N. 116 SENTENZA 3 – 5 giugno 2013

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 18, comma
22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti
per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24,
comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre
2011, n. 214, promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale
per la Regione Campania, con ordinanza del 20 luglio 2012, e dalla
Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con
due ordinanze del 25 febbraio 2013, rispettivamente iscritte al n.
254 del registro ordinanze 2012 ed ai nn. 55 e 56 del registro
ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2012 e n. 12, prima serie
speciale, dell’anno 2013.
Visti gli atti di costituzione di Bozzi Giuseppe ed altri,
dell’INPS, nella qualita’ di successore ex lege dell’INPDAP, nonche’
gli atti di intervento del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati e del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 maggio 2013 il Giudice relatore
Giuseppe Tesauro;
uditi gli avvocati Vincenzo Greco per il Gruppo Romano
Giornalisti Pensionati, Giovanni C. Sciacca per Bozzi Giuseppe ed
altri, Filippo Mangiapane per l’INPS, nella qualita’ di successore ex
lege dell’INPDAP e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione
Campania, in composizione monocratica, con ordinanza del 20 luglio
2012, iscritta al reg. ord. n. 254 del 2012, ha sollevato, in
riferimento agli articoli 2, 3, 36, 53, 42, terzo comma, e 97, primo
comma, della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale
dell’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
1.1.- Il rimettente premette che il ricorrente – magistrato
Presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21 dicembre 2007,
titolare di pensione diretta di importo superiore a euro 90.000,00
annui – ha chiesto il riconoscimento del proprio diritto di percepire
il trattamento pensionistico ordinario, privo delle decurtazioni
introdotte dall’art. 18, comma 22-bis, del d.l. 6 luglio n. 98 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011,
nonche’ la condanna dell’Amministrazione ai conseguenti pagamenti. La
Corte ricorda, inoltre, come a sostegno del ricorso sia stata dedotta
l’illegittimita’ costituzionale della citata norma, per violazione
degli artt. 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53, 97, 100, 101, 108, 111 e 113
Cost.
1.2.- In punto di rilevanza, il rimettente assume in primo luogo
che il ricorso ha un petitum separato e distinto dalla questione di
costituzionalita’, sul quale e’ chiamato, in ragione della propria
competenza, a decidere, trattandosi di una domanda tesa ad ottenere
il riconoscimento del diritto a conservare il proprio trattamento
pensionistico senza le decurtazioni disposte dal citato comma 22-bis.
Inoltre, osserva che, laddove non si dubitasse della compatibilita’
costituzionale della norma, la pretesa dovrebbe senz’altro essere
dichiarata infondata, in quanto le decurtazioni stipendiali censurate
risultano fissate direttamente ed inderogabilmente dalle «stringenti
ed inequivoche disposizioni di legge applicate doverosamente
dall’amministrazione datrice di lavoro», senza alcuna possibilita’ di
interpretazioni alternative.
1.3.- Cio’ posto, il giudice a quo osserva che la disposizione
impugnata si colloca nel quadro di una serie di previsioni
finalizzate al contenimento della spesa pubblica ed alla
stabilizzazione finanziaria, in particolare in materia previdenziale,
che impone ai pensionati pubblici sacrifici di considerevole entita’.
1.4.- In primo luogo, secondo la Corte dei conti, la norma in
questione si configurerebbe come prestazione patrimoniale imposta, ai
sensi dell’art. 23 Cost., nonche’ come prelievo forzoso di natura
tributaria, non rispettoso, tuttavia, dei principi di eguaglianza e
ragionevolezza (art. 3 Cost.) correlati a quello di capacita’
contributiva (art. 53 Cost.).
A suo giudizio, infatti, l’imposizione del sacrificio economico
individuale avrebbe tutte le caratteristiche del prelievo tributario,
perche’ realizzato attraverso un atto autoritativo di carattere
ablatorio, il cui gettito e’ destinato al fabbisogno finanziario
dello Stato sotto forma di risparmio di spesa (richiama in proposito
la sentenza di questa Corte n. 11 del 1995).
Al di la’ del nomen iuris utilizzato, dunque, si tratterebbe di
un prelievo forzoso di somme stipendiali, privo di
"sinallagmaticita’" e destinato a copertura di fabbisogni finanziari
indifferenziati dello Stato apparato.
Il rimettente osserva, tuttavia, che tale prestazione graverebbe
soltanto su «alcune categorie di pensionati, lasciando
inspiegabilmente ed illogicamente indenni tutte le altre categorie
dei settori previdenziali privato ed autonomo: categorie tutte
caratterizzate dall’unitarieta’ riconducibile al principio
costituzionale di tutela dei pensionati». Non si tratterebbe di una
mera rideterminazione o "raffreddamento" dei livelli previdenziali
pubblici, in astratto possibile essendo acquisito il principio della
possibilita’ di una disciplina differenziata del rapporto
previdenziale pubblico rispetto a quello privato, ma di una vera e
propria imposta, gravante non su tutti i pensionati, ma
esclusivamente su quelli pubblici.
Tale disciplina si porrebbe in contrasto con il principio
solidaristico di cui all’art. 2 Cost., coordinato con i principi di
eguaglianza, parita’ di trattamento e capacita’ contributiva (artt. 3
e 53 Cost.).
Il rimettente ricorda in proposito che la giurisprudenza di
questa Corte, su analoga questione relativa alla "manovra di
bilancio" approntata con il decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384
(Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita’ e di pubblico
impiego, nonche’ disposizioni fiscali), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438 (ordinanze n. 341
del 2000 e n. 299 del 1999), aveva precisato che il sacrificio
economico richiesto dal provvedimento legislativo deve avere
carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario e consentaneo allo
scopo prefisso, sicche’ non solo deve essere limitato ad un ristretto
periodo di tempo, ma deve anche essere razionalmente ripartito fra
categorie diverse di cittadini.
La norma impugnata avrebbe violato, pertanto, i parametri
costituzionali invocati (artt. 3, 36 e 53 Cost.) non solo sotto il
profilo della sproporzione ed irrazionalita’ della misura, ma anche
specificamente sotto il profilo della disparita’ di trattamento, in
quanto non sarebbero state colpite le altre categorie di pensionati,
pur se percettori di elevati trattamenti, e i contribuenti in
generale titolari degli stessi redditi.
Il prelievo in questione, in definitiva, non solo non sarebbe
idoneo a garantire risparmi di spesa o introiti tali da realizzare
significativamente l’obiettivo di stabilizzazione della finanza
pubblica, ma si presenterebbe come irrazionale e discriminatorio,
essendo diretto a colpire una limitata categoria di soggetti,
anziche’ la collettivita’ nel suo insieme, nel rispetto del principio
di proporzionalita’, in violazione quindi sia del principio
solidaristico, che di quello di uguaglianza e di assoggettamento al
prelievo fiscale in proporzione alla capacita’ retributiva.
Richiamando, poi, testualmente precedenti ordinanze di rimessione
di altri giudici, il rimettente afferma che il legislatore avrebbe
«inspiegabilmente ed ingiustificatamente aumentato gli squilibri,
trascurando del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e
persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le
rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia
specifica di pensionati, colpevoli unicamente di appartenere al
settore pubblico e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora
piu’ facilmente "attaccabili"».
1.5.- La norma censurata infine, secondo il giudice a quo, si
porrebbe anche in contrasto con gli artt. 42, terzo comma, e 97,
primo comma, Cost., in quanto realizzerebbe per via legislativa un
intervento ablatorio della proprieta’, colpendo una determinata
categoria di soggetti, in assenza di previa valutazione degli
interessi coinvolti e senza che sia prevista la corresponsione di
un’indennita’ di ristoro, in quanto, «l’accurato esame degli
interessi in gioco e la ponderata decisione della misura e delle
modalita’ del sacrificio secondo il principio costituzionale di buon
andamento (art. 97 Cost.) non puo’ non valere anche per il
legislatore-amministratore».
2.- E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, concludendo per l’infondatezza della questione.
La manovra di finanza pubblica oggi censurata sarebbe, a suo
giudizio, intervenuta in maniera non dissimile dalla manovra del 1993
(art. 7 del d.l. n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 438 del 1992), rispetto alla quale la Corte
costituzionale aveva dichiarato analoghe questioni manifestamente
infondate (ordinanza n. 299 del 1990). In quelle occasioni questa
Corte aveva affermato che norme di tale natura non si ponevano in
contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto intervenute «in un momento
assai delicato per la vita economico-finanziaria del paese».
Inoltre, a sostegno dell’infondatezza della questione,
l’Avvocatura dello Stato ricorda altresi’ che anche la sentenza n.
223 del 2012 ha ribadito la possibilita’ dell’utilizzo necessario da
parte del legislatore di strumenti eccezionali in situazioni di
difficolta’ economica, «nel difficile compito di contemperare il
soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e
la protezione di cui tutti i cittadini necessitano».
Cio’ posto, in questo caso la norma impugnata non si porrebbe in
contrasto con l’art. 3 Cost., giacche’ si tratterebbe di un
intervento che non limita la platea dei soggetti passivi ai soli
pensionati pubblici, ma si rivolge a tutti i percettori di
trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di
previdenza obbligatorie, e quindi anche ai gia’ dipendenti del
settore privato ed alle gestioni pensionistiche dei lavoratori
autonomi.
Inoltre, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, anche
in riferimento all’art. 53 Cost. l’intervento censurato sarebbe
pienamente rispettoso dei criteri di capacita’ contributiva e di
progressivita’.
Infine, viene contestata la questione sollevata con riferimento
all’art. 42 Cost., in quanto, trattandosi di materia tributaria, non
sarebbe concepibile alcun indennizzo come ristoro per un prelievo
fiscale.
Da ultimo, l’Avvocatura dello Stato rileva che l’impatto sulla
finanza pubblica della normativa censurata, alla luce delle relazioni
tecniche presentate in Parlamento nel corso dell’iter di conversione
del d.l. n. 98 del 2011, viene stimato in circa 26 milioni di euro
per anno.
3.- Nel giudizio si e’ costituito l’INPS (Istituto Nazionale
della Previdenza Sociale), successore ex lege dell’INPDAP (Istituto
Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dipendenti
dell’Amministrazione Pubblica), ai sensi dell’art. 21 del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la
crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici),
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214,
eccependo in via pregiudiziale l’inammissibilita’ della questione per
carenza di giurisdizione del giudice rimettente.
Secondo l’ente previdenziale, poiche’ il prelievo previsto dal
citato art. 18, comma 22-bis, alla luce della costante giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 421 del 1995, n. 11 del 1995, n. 63 del
1990 e n. 146 del 1972) ha natura di prestazione patrimoniale
imposta, la giurisdizione sarebbe riservata in via esclusiva alle
Commissioni tributarie (sentenza della Corte di cassazione civile,
sezioni unite, 27 ottobre 2011, n. 22381). La circostanza secondo la
quale il prelievo fiscale operato dal sostituto d’imposta
determinerebbe una materiale riduzione dell’importo erogato al
pensionato, non sarebbe infatti idonea all’individuazione della
giurisdizione in capo al Giudice delle pensioni, poiche’ il
trattamento oggetto di prelievo forzoso rimarrebbe integro «tal quale
determinato dall’Ente previdenziale, senza alcuna modificazione delle
poste contabili gia’ individuate».
3.1.- Nel merito, la parte costituita ritiene la questione
infondata, in primo luogo con riferimento all’art. 3 Cost., in quanto
la disposizione in esame riguarderebbe l’intera platea dei titolari
di trattamenti pensionistici, ivi compresi quelli integrativi, senza
l’asserita esclusione degli ordinamenti previdenziali privato ed
autonomo. Tale assunto sarebbe, poi, dimostrato dalle modalita’
applicative seguite dall’INPDAP prima, dall’INPS e dagli enti gestori
di forme di previdenza obbligatoria, poi, i quali hanno emanato
apposite circolari al fine di regolare le modalita’ concrete per
disporre il prelievo.
Neppure sarebbe sussistente, secondo l’INPS, una discriminazione
rispetto alla generalita’ dei consociati, in quanto secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, la formulazione dell’art.
53 Cost. andrebbe valutata in termini non assoluti, ma relativi,
imponendo di interpretare il principio dell’universalita’
dell’imposizione in necessario coordinamento con il principio
solidaristico e di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost., essendo
ben possibile l’introduzione, per singole categorie di cittadini, di
specifici tributi, purche’ nei limiti della ragionevolezza.
Infine, quanto alla questione relativa alla violazione del
principio della espropriabilita’ della proprieta’ privata, salva
corresponsione di un indennizzo, ai sensi dell’art. 42, terzo comma,
Cost., il dubbio sarebbe infondato, in quanto la speciale ablazione
della proprieta’ privata, ordinata al fine del concorso dei
consociati alle pubbliche spese di cui all’art. 53 Cost., non
prevede, ne’ potrebbe prevedere, alcun indennizzo.
4.- Con le due ordinanze, di identico tenore ed entrambe
depositate in data 25 febbraio 2013, iscritte rispettivamente al
registro ordinanze con i nn. 55 e 56 del 2013, la Corte dei conti,
sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ha sollevato, in
riferimento agli articoli 2, 3, 53, Cost., questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011.
4.1.- Il rimettente premette che i ricorrenti – tutti magistrati
ordinari, magistrati della Corte dei conti, magistrati militari
titolari di pensione ordinaria diretta, ovvero aventi causa da
magistrati della Corte dei conti e da magistrati amministrativi –
hanno proposto ricorso avverso il trattamento pensionistico loro
attribuito a partire dal mese di agosto 2011, nella parte in cui e’
assoggettato al "contributo di perequazione" previsto dal comma
22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, come reintrodotto
dall’art. 2, comma l, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre
2011, n. 148, nelle percentuali ivi stabilite, come risultanti dalle
rispettive certificazioni CUD per l’anno 2011.
Nell’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 55 del 2013, si afferma
che i ricorrenti hanno chiesto, altresi’, la corresponsione della
mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico
in applicazione del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.
Tutti i ricorrenti hanno chiesto, dunque, la corresponsione del
proprio trattamento pensionistico senza assoggettamento al predetto
"contributo di perequazione" e con conseguente condanna alla
restituzione di quanto trattenuto per tali titoli, con rivalutazione
monetaria e interessi sino al soddisfo.
4.2.- In particolare, i ricorrenti hanno chiesto alla Corte dei
conti, nel giudizio di cui all’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 55
del 2013, di rimettere alla Corte costituzionale le questioni di
costituzionalita’: A) del comma 22-bis dell’art. 18. del d.l. n. 98
del 2011, per contrasto con gli artt. 2, 3, 53, 23 e 97 Cost.; B) del
comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 20l del 2011 convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, per contrasto con gli
artt. 3, 53, 97, 36 e 38 Cost.
Quanto alla questione di legittimita’ costituzionale di cui al
punto B), il giudice a quo, ancorche’ rilevante, la riteneva
manifestamente infondata con separato provvedimento.
4.3.- Nel giudizio di cui all’ordinanza iscritta al reg. ord. n.
56 del 2013, i ricorrenti hanno chiesto alla Corte dei conti, di
rimettere alla Corte costituzionale le questioni di legittimita’
costituzionale: A) del comma 22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del
2011, per contrasto con gli artt. 2, 3, 53, 23 e 97 Cost.; B)
dell’art. 2, commi l e 2, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; C) dell’art. l, commi l e
5, della legge 6 luglio 2012, n. 96 (Norme in materia di riduzione
dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti
politici, nonche’ misure per garantire la trasparenza e i controlli
dei rendiconti dei medesimi. Delega al Governo per l’adozione di un
testo unico delle leggi concernenti il finanziamento dei partiti e
dei movimenti politici e per l’armonizzazione del regime relativo
alle detrazioni fiscali).
La Corte riteneva irrilevante la questione sub B) e
manifestamente infondata quella sub C).
4.4.- Cio’ posto, il giudice a quo – dopo aver osservato, in
punto di rilevanza, di trovarsi nell’impossibilita’ di poter definire
il giudizio indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimita’ costituzionale – in ordine alla specifica eccezione
sollevata dalla resistente INPS, quale successore ex lege
dell’INPDAP, afferma la propria giurisdizione sulle domande avanzate.
Secondo il rimettente, la giurisdizione della Corte dei conti in
materia di pensioni ha carattere esclusivo, in quanto affidata al
criterio di collegamento costituito dalla materia. In essa sono,
dunque, comprese tutte le controversie in cui il rapporto
pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum
sostanziale ovvero sia comunque in questione la misura della
prestazione previdenziale.
La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto da
una norma "di natura tributaria" non trasformerebbe il rapporto tra
enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e beneficiari dei
relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario.
Nella fattispecie tale rapporto, al quale e’ estranea
l’Amministrazione finanziaria – coerentemente non evocata in giudizio
– non riguarderebbe una contestazione diretta della debenza
all’Erario della somma trattenuta, ovvero un rapporto tributario tra
contribuente ed Amministrazione. Le controversie relative
all’indebito pagamento dei tributi seguirebbero, infatti, la regola
della devoluzione alla giurisdizione speciale del giudice tributario
soltanto allorche’ si debba impugnare uno degli atti previsti
dall’art. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413)
e il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati
nell’art. 10 di tale decreto legislativo. Quando la controversia si
svolga tra due soggetti privati in assenza di un provvedimento
impugnabile soltanto dinanzi al giudice tributario, il giudice
ordinario, quindi, si riapproprierebbe della giurisdizione, non
rilevando che la composizione della lite necessiti della
interpretazione di una norma tributaria.
4.5.- Quanto alle questioni sub A), il rimettente, con ordinanze
identiche quanto a motivazione, premette che questa Corte ha
espressamente riconosciuto la natura tributaria della misura in
questione. In particolare, viene ricordato che la sentenza n. 241 del
2012 ha affermato che il "contributo di perequazione" di cui comma
22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del 2011 «ha natura certamente
tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello
effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti
pubblici […] nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con
la sentenza n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria e’ stata
espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza». La norma
impugnata, infatti, integrerebbe una decurtazione patrimoniale
definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al
bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i
requisiti richiesti dalla giurisprudenza della Corte per
caratterizzare il prelievo come tributario, ovvero, indipendentemente
dal nomen iuris attribuitole dal legislatore, quelli di un prelievo
coattivo finalizzato al concorso delle pubbliche spese, posto a
carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di
capacita’ contributiva che deve esprimere l’idoneita’ di tale
soggetto all’obbligazione tributaria.
Il giudice a quo, inoltre, dopo aver richiamato i principi
enucleati nella sentenza n. 223 del 2012, assume che l’impugnato art.
18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011 si pone in contrasto con
gli articoli 3 e 53 Cost.
In primo luogo, infatti, a parita’ di reddito con la categoria
dei lavoratori (pubblici o privati), il prelievo sarebbe
ingiustificatamente posto a carico della sola categoria dei
pensionati degli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria,
con conseguente irragionevole limitazione della platea dei soggetti
passivi. Il legislatore, affrontando l’eccezionale situazione
economica avrebbe utilizzato uno strumento eccezionale, senza
tuttavia garantire il rispetto dei principi fondamentali
dell’ordinamento costituzionale e, in particolare, del principio di
uguaglianza (come specificato dalla citata sentenza n. 223 del 2012,
che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 9,
comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita’
economica», convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122).
Peraltro, la norma censurata si porrebbe in contrasto con gli
articoli artt. 2, 3 e 53 Cost. anche in quanto lo speciale prelievo
di solidarieta’ si imporrebbe nei confronti dei soli magistrati in
pensione, come conseguenza indotta dalla dichiarazione di
illegittimita’ costituzionale dell’analogo prelievo scrutinato dalla
sentenza n. 223 del 2012. Conseguentemente, il principio di
uguaglianza in relazione alla capacita’ contributiva di cui agli
artt. 3 e 53 Cost. sarebbe ulteriormente vulnerato, nella specie, in
quanto la suddetta categoria di pensionati verrebbe «colpita in
misura maggiore rispetto ai titolari di altri redditi e, piu’
specificamente, di redditi da lavoro dipendente» (in analogia con
quanto deciso dalla sentenza n. 119 del 1981).
La Corte rimettente, inoltre, assume quale ulteriore motivo di
censura anche la stessa entita’ del contributo di perequazione, posto
in comparazione con quello previsto dall’art. 2, comma 2, del
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 148 del 2011. Sarebbe, infatti, irragionevole ed
ingiustificato che – con riferimento a interventi di solidarieta’
connotati da sostanziale identita’ di ratio – i contribuenti titolari
di un reddito complessivo superiore a 300.000 euro siano tenuti al
versamento di un contributo di solidarieta’ del 3% sulla parte di
reddito che eccede il predetto importo, qualunque siano le componenti
del loro reddito complessivo, compresi i redditi pensionistici,
mentre i ricorrenti siano tenuti (per far fronte alla medesima
eccezionale situazione economica) ad un prelievo maggiore.
Sintomatico sarebbe peraltro che, oltre la soglia di reddito di
300.000 euro lordi annui, a parita’ di reddito, l’una categoria
(tendenzialmente universale) subisce un’imposizione del 3%, l’altra
(circoscritta ai soli pensionati titolari di trattamenti di
quiescenza corrisposti da enti gestori di forme di previdenza
obbligatoria) un’imposizione del 15%, in violazione dei canoni
costituzionali dell’eguaglianza e della ragionevolezza stabiliti
dall’art. 3 Cost., nonche’ del canone della capacita’ contributiva e
del criterio di progressivita’ delle imposte sanciti dall’art. 53
Cost.
Secondo la Corte dei conti, quindi, qualora la norma impugnata
non venisse espunta dall’ordinamento giuridico, determinerebbe un
ulteriore profilo di irrazionalita’ complessiva del sistema delle
imposte speciali, inducendo un correlato irragionevole effetto
discriminatorio, tenuto conto che lo stesso contributo di
solidarieta’ di cui citato art. 2, comma 2, del d.l. n. 138 del 2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, non si
applica sui redditi di cui all’articolo 9, comma 2, del d.l. n. 78
del 2010, con conseguente «irragionevole ed arbitrario
disallineamento normativo derivante dall’asimmetricita’ nel
meccanismo impositivo del contributo di solidarieta’».
5.- Anche in tali giudizi e’ intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, ribadendo le argomentazioni svolte nell’altro
giudizio, in particolare con riferimento alla legittimita’ di manovre
di bilancio poste in essere «in un momento assai delicato per la vita
economico-finanziaria del paese» ed alla conseguente infondatezza
delle questioni, non trattandosi di un intervento che limita la
platea dei soggetti passivi ai soli pensionati pubblici, in quanto si
rivolge a tutti i percettori di trattamenti pensionistici corrisposti
da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie. Non rileverebbe,
infatti, la qualificazione pubblicistica o privatistica del rapporto
di lavoro, ma unicamente la natura del trattamento, come sarebbe
dimostrato, peraltro, dalla circolare INPS n. 109 del 2011, la quale
espressamente dispone che, ai fini dell’individuazione dei soggetti
per i quali opera il contributo, devono essere presi in
considerazione tutti i trattamenti pensionistici obbligatori e i
trattamenti pensionistici integrativi e complementari, sia erogati
dall’INPS che da enti diversi dall’INPS.
Inoltre, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, anche
in riferimento all’art. 53 Cost. l’intervento censurato sarebbe
pienamente rispettoso dei criteri di capacita’ contributiva e di
progressivita’.
6.- Anche in questi giudizi si e’ costituito l’INPS, con atto di
tenore identico a quello relativo al giudizio iscritto al reg. ord.
n. 254 del 2012.
7.- Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 55 del 2013, si sono
costituite le parti private ricorrenti nel giudizio a quo, che hanno
ripercorso pedissequamente le motivazioni dell’ordinanza di
rimessione, sostenendo che, alla luce della natura di prestazione
imposta del prelievo, la norma censurata sarebbe illegittima perche’
in contrasto con il principio di uguaglianza tributaria e di
capacita’ contributiva nonche’ con il principio solidaristico,
essendo una misura che colpirebbe soltanto la categoria dei
pensionati, anche in considerazione dell’intervenuta pronuncia di
illegittimita’ costituzionale relativa al contributo di cui all’art.
9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010. A giudizio dei ricorrenti, le
motivazioni adottate dalla Corte con riferimento a quella norma
sarebbero applicabili anche al caso di specie, tenuto conto della
pacifica "natura di retribuzione differita" da attribuire alle
pensioni (citano in proposito la sentenza n. 30 del 2004).
8.- Nel medesimo giudizio e’ intervenuto il Gruppo Romano
Giornalisti Pensionati, il quale, premesso di essere un’associazione,
senza fini di lucro, che intende tutelare i suoi circa 300 soci che
hanno subito le decurtazioni pensionistiche, tramite l’INPGI, fra i
quali 4 dei 12 che compongono l’attuale consiglio direttivo, e di
poter essere dunque annoverato fra gli enti esponenziali di interessi
diffusi, conclude per l’accoglimento delle questioni, precisando,
quanto all’ordinanza n. 254 del 2012, che il tertium comparationis
non potrebbe essere individuato nei pensionato privati, alla luce del
tenore letterale della disposizione.

Considerato in diritto

1.- Sono sottoposte all’esame della Corte questioni di
legittimita’ costituzionale dell’articolo 18, comma 22-bis, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, nel testo successivamente modificato
dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.
201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equita’ e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sollevate dalla Corte dei
conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania e per la
Regione Lazio, con tre ordinanze depositate rispettivamente il 20
luglio 2012 ed il 22 febbraio 2013, iscritte al reg. ord. n. 254 del
2012 e nn. 55 e 56 del 203.
2.- Secondo la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della
Campania (ordinanza iscritta al reg. ord. n. 254 del 2012), la norma
censurata, disponendo che, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al
31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti
gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi
complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati
ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte
eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche’ pari al 10
per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per
la parte eccedente 200.000 euro, si porrebbe in contrasto con gli
articoli 2, 3, 36 e 53, della Costituzione in quanto tale prelievo,
avendo natura tributaria – perche’ realizzato attraverso un atto
autoritativo di carattere ablatorio, con destinazione del gettito al
fabbisogno finanziario dello Stato -, sarebbe operato in violazione
dei principi di eguaglianza e ragionevolezza, correlati a quello di
capacita’ contributiva. L’intervento censurato, in primo luogo,
colpirebbe la sola categoria dei pensionati pubblici, «lasciando
inspiegabilmente ed illogicamente indenni tutte le altre categorie
dei settori previdenziali privato ed autonomo: categorie tutte
caratterizzate dall’unitarieta’ riconducibile al principio
costituzionale di tutela dei pensionati»; in secondo luogo, analoga
misura non sarebbe prevista per i contribuenti in generale, titolari
degli stessi redditi.
A giudizio della Corte campana, poi, la disciplina in esame
recherebbe vulnus anche agli artt. 42, terzo comma, e 97, primo
comma, Cost., poiche’ realizzerebbe per via legislativa un intervento
ablatorio della proprieta’, colpendo una determinata categoria di
soggetti, in assenza di previa valutazione degli interessi coinvolti
e senza che sia prevista la corresponsione di un’indennita’ di
ristoro, in quanto «l’accurato esame degli interessi in gioco e la
ponderata decisione della misura e delle modalita’ del sacrificio
secondo il principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.)
non puo’ non valere anche per il legislatore-amministratore».
2.1.- Le ordinanze iscritte al reg. ord. nn. 55 e 56 del 2013, di
identico tenore ed entrambe emesse dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale del Lazio, assumono che la norma impugnata violerebbe
gli artt. 2, 3 e 53 Cost., poiche’, come precisato anche dalla
sentenza n. 241 del 2012 di questa Corte, pur avendo il «contributo
di perequazione» natura «certamente tributaria, in quanto costituisce
un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico
complessivo dei dipendenti pubblici […] nella parte dichiarata
illegittima dalla Corte con la sentenza n. 223 del 2012», e pur
essendo stato adottato in una eccezionale situazione economica, non
garantirebbe il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a
parita’ di reddito con la categoria dei lavoratori (pubblici o
privati), essendo ingiustificatamente posto a carico della sola
categoria dei pensionati degli enti gestori di forme di previdenza
obbligatoria, con conseguente irragionevole limitazione della platea
dei soggetti passivi.
Il contributo in questione sarebbe stato adottato, poi, in
violazione del principio di uguaglianza in relazione alla capacita’
contributiva, perche’ imposto nei confronti dei soli magistrati in
pensione, categoria «colpita in misura maggiore rispetto ai titolari
di altri redditi e, piu’ specificamente, di redditi da lavoro
dipendente», come conseguenza indotta dalla dichiarazione di
illegittimita’ costituzionale dell’analogo prelievo dichiarato
illegittimo dalla sentenza n. 223 del 2012.
Inoltre, posto in comparazione con il contributo previsto
dall’art. 2, comma 2, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre
2011, n. 148, il prelievo sarebbe palesemente irragionevole ed
ingiustificato, perche’ – con riferimento a interventi di
solidarieta’ connotati da sostanziale identita’ di ratio – i
contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a 300.000
euro sarebbero tenuti al versamento di un contributo di solidarieta’
del 3% sulla parte di reddito che eccede il predetto importo,
qualunque siano le componenti del loro reddito complessivo, compresi
redditi pensionistici, mentre i ricorrenti nei giudizi principali,
sarebbero tenuti (per far fronte alla medesima eccezionale situazione
economica) ad un prelievo maggiore, in violazione non solo dei canoni
costituzionali dell’eguaglianza e della ragionevolezza, ma anche di
quelli della capacita’ contributiva e del criterio di progressivita’
delle imposte.
Infine, la disposizione in esame determinerebbe, a giudizio dei
rimettenti, un irragionevole effetto discriminatorio, in quanto lo
stesso contributo di solidarieta’ di cui al citato art. 2, comma 2,
del d.l. n. 138 del 2011, non trova applicazione sui redditi di cui
all’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
(Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitivita’ economica), convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, con conseguente «irragionevole ed arbitrario
disallineamento normativo derivante dall’asimmetricita’ nel
meccanismo impositivo del contributo di solidarieta’».
3.- Tutte le ordinanze hanno ad oggetto la stessa norma,
censurata con argomentazioni in larga misura coincidenti, e, quindi,
va disposta la riunione dei giudizi, ai fini di un’unica trattazione
e di un’unica pronuncia.
4.- Preliminarmente, va confermata l’ordinanza letta nella
pubblica udienza del 7 maggio 2013, che ha dichiarato inammissibile
l’intervento spiegato nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 55 del
2013 dal Gruppo Romano Giornalisti Pensionati. L’intervento di
soggetti estranei al giudizio principale e’ ammissibile soltanto per
i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo
diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle
norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all’udienza
del 23 ottobre 2012, confermata con la sentenza n. 272 del 2012;
ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata con la
sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31 marzo
2009, confermata con la sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del
2009, n. 96 del 2008 e n. 245 del 2007).
Nel giudizio, da cui traggono origine le questioni di
legittimita’ costituzionale, i rapporti sostanziali dedotti in causa
riguardano profili che possono riguardare le posizioni previdenziali
dei soci dell’ente intervenuto, ma non concernono direttamente
prerogative o diritti dei medesimi, con conseguente inammissibilita’
dell’intervento.
5.- Ancora in via preliminare, va respinta l’eccezione, sollevata
dall’INPS, di inammissibilita’ della questione, sotto il profilo che
la giurisdizione spetterebbe non al rimettente, ma al giudice
tributario.
In considerazione dell’autonomia del giudizio incidentale di
costituzionalita’ rispetto a quello principale, questa Corte ha
costantemente affermato che il difetto di giurisdizione puo’ rilevare
soltanto nei casi in cui appaia macroscopico, cosi’ che nessun dubbio
possa aversi sulla sua sussistenza; non anche quando il rimettente
abbia motivato in maniera non implausibile in ordine alla sua
giurisdizione (da ultimo sentenze n. 279 del 2012 e n. 241 del 2008).
Nella specie, i rimettenti, in particolare nelle ordinanze n. 55 e n.
56 del 2013, sulla specifica eccezione sollevata dalla parte
costituita in quel giudizio, hanno affermato la propria giurisdizione
sulla base di motivazioni del tutto plausibili. A loro giudizio, la
natura tributaria della norma che prevede il contributo di
perequazione non trasforma il rapporto tra enti gestori di forme di
previdenza obbligatorie e beneficiari dei relativi trattamenti
pensionistici in un rapporto tributario, in quanto la devoluzione
alla giurisdizione speciale del giudice tributario presuppone che sia
impugnato uno degli atti previsti dall’art. 19 del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art.
30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e che il convenuto in senso
formale sia uno dei soggetti indicati nell’art. 10 di tale decreto
legislativo.
A fronte di siffatta espressa statuizione, il sindacato di questa
Corte non puo’ che arrestarsi, attesa la non implausibilita’ di una
simile motivazione, peraltro in linea con i principi espressi dalle
sezioni unite della Corte di cassazione, in sede di regolamento di
giurisdizione, richiamati dalle ordinanze di rimessione.
6.- La questione sollevata in riferimento agli articoli 3 e 53
Cost. e’ fondata.
7.- La norma censurata si inserisce nell’ambito del d.l. n. 98
del 2011, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria, emanato nel quadro di una piu’ articolata manovra di
stabilizzazione che ha avuto inizio con il d.l. n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, recante
misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitivita’ economica, sviluppatasi in seguito attraverso altri
interventi, contenuti nel d.l. n. 138 del 2011. In tali manovre sono
state contemplate, per quanto attiene specificamente alle situazioni
evocate dalle ordinanze in esame, misure dirette a perseguire un
generale "raffreddamento" delle dinamiche retributive del pubblico
impiego, oltre a interventi temporanei di riduzione delle
retribuzioni e ad interventi "di solidarieta’", variamente
articolati, quanto a diverse categorie di cittadini, posti a carico
sia del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, sia
della generalita’ di cittadini.
Per quanto qui interessa, con riferimento alla norma censurata,
questa Corte ha ricostruito la portata dell’attuale formulazione e
dell’attuale vigenza della disposizione. La legge 14 settembre 2011,
n. 148, nel non convertire in legge l’originaria formulazione del
comma 1 dell’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011 (che aveva abrogato il
comma 22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del 2011), ha sostituito,
come gia’ osservato nella sentenza n. 241 del 2012, il comma non
convertito con una disposizione che si e’ limitata a riaffermare la
perdurante efficacia del comma 22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del
2011 («le disposizioni di cui agli articoli […] 18, comma 22-bis,
del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano ad applicarsi nei
termini ivi previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al 31
dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014»).
Conseguentemente, con la mancata conversione, la stessa abrogazione
e’ venuta meno, con effetto retroattivo, ai sensi dell’art. 77, terzo
comma, Cost., cosi’ da determinare la reviviscenza del comma 22-bis
abrogato dal decreto non convertito.
7.1.- Va altresi’ osservato che, alla luce del chiaro tenore
letterale, la disposizione trova applicazione, in relazione alle
erogazioni di trattamenti pensionistici obbligatoria, sia in favore
del personale del pubblico impiego, sia in relazione a tutti gli
altri trattamenti corrisposti da enti gestori di forme di previdenza
obbligatori, ivi incluse le forme pensionistiche che garantiscono
prestazioni in aggiunta o ad integrazione del trattamento
pensionistico obbligatorio (comprese quelle di cui al decreto
legislativo 16 settembre 1996, n. 563, recante «Attuazione della
delega conferita dall’articolo 2, comma 23, lettera b), della legge 8
agosto 1995, n. 335, in materia di trattamenti pensionistici, erogati
dalle forme pensionistiche diverse da quelle dell’assicurazione
generale obbligatoria, del personale degli enti che svolgono le loro
attivita’ nelle materie di cui all’art. 1 del D.Lgs.C.P.S. 17 luglio
1947, n. 691», al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357,
recante «Disposizioni sulla previdenza degli enti pubblici
creditizi», al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante
«Disciplina delle forme pensionistiche complementari»), nonche’ i
trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle
regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo
1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del
rapporto di lavoro del personale dipendente), e successive
modificazioni.
7.2.- Questa Corte ha gia’ espressamente qualificato l’intervento
di perequazione in questione come avente natura tributaria, non solo
allorche’ si e’ occupata, dichiarandone l’illegittimita’
costituzionale, dell’analogo intervento di cui all’art. 9, comma 2
del decreto-legge n. 78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012), ma anche
e soprattutto allorche’ ha esaminato la stessa norma oggi impugnata,
con la citata sentenza n. 241 del 2012. In tale pronuncia e’ stato
affermato che «il contributo oggetto di censura e’ previsto a carico
dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di
previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto
costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento
economico complessivo dei dipendenti pubblici (sopra descritto al
punto 7.3.) previsto dallo stesso comma 1 nella parte dichiarata
illegittima da questa Corte con la suddetta sentenza n. 223 del 2012
e la cui natura tributaria e’ stata espressamente riconosciuta dalla
medesima sentenza. La norma impugnata, infatti, integra una
decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico,
con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che
presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa
Corte per caratterizzare il prelievo come tributario (ex plurimis,
sentenze n. 223 del 2012; n. 141 del 2009; n. 335, n. 102 e n. 64 del
2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005)».
Nella specie, la Corte ribadisce la natura tributaria della norma
impugnata, e pertanto la correttezza della premessa interpretativa
che ha condotto i rimettenti ad impugnare la norma per violazione
degli artt. 3 e 53 Cost.
7.3.- Le principali censure dei rimettenti individuano nella
misura in questione un intervento impositivo irragionevole e
discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini.
L’intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il
rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parita’ di
reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei
soggetti passivi, divenuta peraltro ancora piu’ evidente, in
conseguenza della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale
dell’analogo prelievo di cui al comma 2 dell’art. 9 del d.l. n. 78
del 2010 (sentenza n. 223 del 2012).
Cosi’ correttamente individuato il rapporto di comparazione fra
soggetti titolari di trattamenti pensionistici erogati da enti
gestori di forme di previdenza obbligatorie e tutti gli altri
titolari di redditi, anche e non solo da lavoro dipendente, come reso
palese nelle ordinanze nn. 54 e 55 del 2013, la questione, come con
la pronuncia n. 223 del 2012, va scrutinata in riferimento al
contrasto con il principio della "universalita’ della imposizione" ed
alla irragionevolezza della sua deroga, avendo riguardo, quindi, non
tanto alla disparita’ di trattamento fra dipendenti o fra dipendenti
e pensionati o fra pensionati e lavoratori autonomi od imprenditori,
quanto piuttosto a quella fra cittadini.
Va infatti, al riguardo, precisato che i redditi derivanti dai
trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una
natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a
riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non
consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da
lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004,
n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro
ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che
costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il
perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai
requisiti anagrafici e contributivi richiesti.
A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla
necessita’ di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il
legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari
di trattamenti pensionistici: il contributo di solidarieta’ si
applica su soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per
tutti gli altri cittadini la misura e’ ai redditi oltre 300.000 euro
lordi annui, con un’aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la
deducibilita’ dal reddito.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che «la
Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con
criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie
di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo
con la capacita’ contributiva, in un quadro di sistema informato a
criteri di progressivita’, come svolgimento ulteriore, nello
specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato
al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di
fatto alla liberta’ ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in
spirito di solidarieta’ politica, economica e sociale (artt. 2 e 3
della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000). Il controllo della
Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost.,
come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui
all’art. 3 Cost., non puo’, quindi, che essere ricondotto ad un
«giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso
abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al
fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta
con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta’
dell’entita’ dell’imposizione» (sentenza n. 111 del 1997).
In relazione agli interventi di stabilizzazione della finanza
pubblica, nel cui contesto si colloca la disposizione in esame,
questa Corte ha evidenziato la sostanziale coincidenza dei prelievi
tributari posti in comparazione, ritenendo irragionevole il diverso
trattamento fra dipendenti pubblici e contribuenti in generale
(sentenza n. 223 del 2012).
Anche in questo caso, e’ necessario analogamente rilevare
l’identita’ di ratio della norma oggi censurata rispetto sia
all’analoga disposizione gia’ dichiarata illegittima, sia al
contributo di solidarieta’ (l’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) del 3
per cento sui redditi annui superiori a 300.000 euro, quest’ultimo
assunto anche quale tertium comparationis.
Al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria,
il legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti
pensionistici, per la medesima finalita’, l’ulteriore speciale
prelievo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata
limitazione della platea dei soggetti passivi.
Va pertanto ribadito, anche questa volta, quanto gia’ affermato
nella citata sentenza n. 223 del 2012, e cioe’ che tale sostanziale
identita’ di ratio dei differenti interventi "di solidarieta’",
determina un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta’ del
diverso trattamento riservato alla categoria colpita, «foriero
peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben
diverso e piu’ favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse
rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarieta’
economica, anche modulando diversamente un "universale" intervento
impositivo». Se da un lato l’eccezionalita’ della situazione
economica che lo Stato deve affrontare e’ suscettibile di consentire
il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di
contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di
garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini
necessitano, dall’altro cio’ non puo’ e non deve determinare ancora
una volta un’obliterazione dei fondamentali canoni di uguaglianza,
sui quali si fonda l’ordinamento costituzionale.
Nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza
dell’intervento settoriale appare ancor piu’ palese, laddove si
consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il
trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione
differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del
2006); sicche’ il maggior prelievo tributario rispetto ad altre
categorie risulta con piu’ evidenza discriminatorio, venendo esso a
gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a
prestazioni lavorative gia’ rese da cittadini che hanno esaurito la
loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu’ possibile
neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro.
Va, quindi, pronunciata l’illegittimita’ costituzionale dell’art.
18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, come modificato dall’art.
24, comma 31-bis, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 18, comma
22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti
per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24,
comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre
2011, n. 214.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.

F.to:
Franco GALLO, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2013.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Allegato:
ordinanza letta all’udienza del 7 maggio 2013

ORDINANZA

Visti gli atti relativi al giudizio di legittimita’
costituzionale introdotto con ordinanza della Corte dei conti,
sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, depositata il 25
febbraio 2013 (n. 55 Reg. ordinanze 2013);
rilevato che in detto giudizio di legittimita’ costituzionale e’
intervenuto il Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, associazione,
senza fini di lucro, che intende con tale atto tutelare i suoi soci
che hanno subito le decurtazioni pensionistiche, tramite l’INPGI;
che l’ente in questione non e’ stato parte nel giudizio a quo;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono ammessi a
intervenire nel giudizio incidentale di legittimita’ costituzionale
(oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge
regionale, al Presidente della Giunta regionale), le sole parti del
giudizio principale, mentre l’intervento di soggetti estranei a
questo e’ ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse
qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex
plurimis: ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata
con sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31
marzo 2009, confermata con sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94
del 2009, n. 96 del 2008, n. 245 del 2007);
che, nel giudizio da cui traggono origine le questioni di
legittimita’ costituzionale in discussione, i rapporti sostanziali
dedotti in causa concernono profili che possono anche riguardare le
posizioni previdenziali dei soci dell’ente intervenuto, ma non
concernono direttamente prerogative o diritti dei medesimi;
che l’ammissibilita’ d’interventi ad opera di terzi, titolari di
interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale,
contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di
legittimita’ costituzionale, in quanto l’accesso delle parti al detto
giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della
non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a
quo;
che, pertanto, l’intervento spiegato nel giudizio di legittimita’
costituzionale sopra indicato deve essere dichiarato inammissibile.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile l’intervento spiegato dal Gruppo Romano
Giornalisti Pensionati nel giudizio di legittimita’ costituzionale
R.O. n. 55 del 2013.

F.to: Franco Gallo, Presidente

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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