Corte Costituzionale sentenza N. 120 SENTENZA 3 – 5 giugno 2013

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 63 e
70 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali), promosso dal Tribunale
ordinario di Napoli nel procedimento vertente tra Boccellino Giovanni
ed altri e Nespoli Vincenzo ed altro, con ordinanza del 14 marzo 2012
iscritta al n. 262 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale,
dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 aprile 2013 il Giudice
relatore Paolo Grossi.

Ritenuto in fatto

1. – In un giudizio promosso (con ricorso depositato il 5
dicembre 2011) da cittadini elettori nei confronti del Sindaco di
Afragola – per accertare la sussistenza in capo a questo della causa
di incompatibilita’ tra tale carica e quella di senatore della
Repubblica italiana e dichiararne la decadenza dalla prima – il
Tribunale ordinario di Napoli, prima sezione civile, con ordinanza
emessa il 14 marzo 2012, ha sollevato questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 63 del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali), «in combinato disposto con l’art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000,
nella parte in cui il suddetto articolo 63, nel sancire le cause di
incompatibilita’, non prevede l’incompatibilita’ tra la carica di
parlamentare e quella di Sindaco di un Comune con popolazione
superiore ai 20.000 abitanti, non consentendo cosi’ l’esercizio
dell’azione popolare, per la lesione degli articoli 3, 51, 67 e 97
della Costituzione nonche’ del principio di ragionevolezza in
riferimento agli artt. 1, 2, 3 e 4 della L. n. 53/1960 [recte: n.
60/1953] come dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla
sentenza n. 277 del 2011 della Corte Costituzionale».
Il rimettente espone che l’elezione a sindaco del convenuto era
avvenuta nella tornata elettorale del 13 e 14 aprile 2008 e nel
successivo turno di ballottaggio del 28 e 29 aprile 2008 (ed era
stata convalidata l’11 giugno 2008), mentre il medesimo rivestiva
anche la carica di parlamentare nazionale in quanto eletto al Senato
della Repubblica nella XVI legislatura, in data 13 aprile 2008
(proclamato il 24 aprile 2008, con convalida in data 1° luglio 2008),
con conseguente contemporanea assunzione delle due cariche.
Cio’ premesso – esaminato il quadro normativo vigente in tema di
incompatibilita’ tra cariche pubbliche e di modalita’ di
contestazione e di accertamento, in particolare con riguardo alle
cariche di parlamentare e di sindaco -, il Collegio rileva che nel
decreto legislativo n. 267 del 2000, tra le disposizioni che
prevedono le cause di ineleggibilita’ ed incompatibilita’, anche
sopravvenute, non si rinviene alcuna previsione che sancisca
l’ineleggibilita’ del parlamentare a sindaco e l’incompatibilita’ tra
le due cariche, giacche’ un riferimento ai profili di interferenza
tra dette cariche si trova solo nell’art. 62, che disciplina (con
previsione coincidente a quella contenuta nell’art. 7 del decreto del
Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, recante
«Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati», e negli artt. 2 e 5 del decreto
legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, recante «Testo unico delle
leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica») il
diverso caso in cui la accettazione della candidatura a parlamentare
comporta la decadenza dalla carica di sindaco di un Comune con
popolazione superiore a 20.000 abitanti.
Richiamate analiticamente le argomentazioni contenute nella sopra
citata sentenza di questa Corte n. 277 del 2011, nel respingere le
eccezioni del convenuto di inammissibilita’ del ricorso per difetto
di giurisdizione e decadenza dall’azione, il Tribunale osserva, da un
lato, che – se va considerato che l’incompatibilita’ tra la carica di
parlamentare e quella di sindaco, enucleata da detta sentenza, non
ricade direttamente sull’ambito applicativo del decreto legislativo
n. 267 del 2000, ove e’ disciplinata l’azione popolare – non puo’ non
considerarsi che la mancata possibilita’ di esercitarla, conseguente
a questa assenza normativa, determinerebbe una disarmonia ed un
disequilibrio del sistema, cosi’ da causare una sperequazione tra il
diritto di elettorato passivo rispetto al diritto di elettorato
attivo, «atteso che la valutazione di una incompatibilita’ ricadente
su due diverse cariche elettive (parlamentare e sindaco) si
troverebbe ad essere parzialmente sottratta all’ordinario sistema di
accertamento e contestazione previsto per una delle due (sindaco)»;
laddove, comunque, la domanda proposta in giudizio non verterebbe in
materia coperta dalla riserva di autodichia di cui all’art. 66 Cost.,
giacche’ «la qualita’ di parlamentare non e’ in nessun caso
suscettibile di subire riflessi giuridici, diretti o indiretti, dalla
decisione che l’A.G.O. e’ tenuta ad assumere nel merito dell’azione
popolare esperita in relazione alla carica di Sindaco». Dall’altro
lato, il Tribunale rileva che secondo il consolidato orientamento
della Suprema Corte, l’azione elettorale si colloca su un piano di
assoluta autonomia rispetto alla delibera consiliare di convalida
dell’elezione, involgendo posizioni di diritto soggettivo perfetto; e
che pertanto i pieni poteri di cognizione del giudice ordinario,
comprendenti anche quello di correggere il risultato delle elezioni,
non sono influenzati da eventuali provvedimenti del consiglio
comunale, ne’ il relativo procedimento amministrativo puo’ incidere
sulla proponibilita’ dell’azione giudiziaria, che prescinde sia dalla
esistenza di un deliberato consiliare sia dalla correlativa
impugnativa di esso.
Escluso che la censurata lacuna normativa possa essere colmata in
via di applicazione estensiva o analogica, ovvero di interpretazione
costituzionalmente orientata (atteso il principio di tassativita’
delle cause di ineleggibilita’ e di incompatibilita’), il rimettente
osserva, dunque, come la mancata previsione nel decreto legislativo
n. 267 del 2000 della incompatibilita’ (legislativamente prevista,
sia pure in altra legge, in ragione della richiamata sentenza n. 277
del 2011) tra la carica di sindaco di un Comune con piu’ di 20.000
abitanti e di parlamentare, non consentendo tra l’altro la
utilizzabilita’ dell’azione popolare, si ponga in contrasto: a) con
l’art. 3 Cost., «sotto il profilo della ragionevolezza, per la
violazione del principio generale secondo cui un soggetto non puo’
assumere e mantenere durante il proprio mandato la carica di
parlamentare e di sindaco tra le quali e’ stata sancita una
incompatibilita’ ex lege ex artt. 2, 3 e 4 della legge n. 60/1953
come dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza n. 277
del 2011 della Corte Costituzionale, senza che sia consentito ai
cittadini elettori di sottoporre questa situazione al vaglio della
giurisdizione ordinaria ai sensi dell’art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000,
come previsto per tutte le altre ipotesi di incompatibilita’ dettate
ex lege per il Sindaco»; e con il «principio di eguaglianza
specificamente sancito in materia elettorale dall’art. 51 Cost.»; b)
con l’art. 67 Cost., «nella parte in cui viene in evidenza una
possibile contrapposizione d’interessi tra enti locali, e
segnatamente tra Comuni aventi una rilevante popolazione, ed
organizzazione statuale nazionale, con conseguente vulnus del
principio di liberta’ di mandato» e di imparzialita’ nell’esercizio
delle funzioni; c) con l’art. 97 Cost., atteso che il cumulo degli
uffici di sindaco di un Comune con rilevante popolazione e di
parlamentare nazionale puo’ ripercuotersi negativamente
sull’efficienza e imparzialita’ delle funzioni cumulativamente
esercitate, come ripetutamente affermato dalla Corte (di cui cita le
sentenze n. 143 del 2010, n. 44 del 1997 e n. 235 del 1988).
2. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per la declaratoria di inammissibilita’ della sollevata
questione, in ragione del fatto che – prevista dall’art. 62 del
decreto legislativo n. 267 del 2000 la decadenza (azionabile ai sensi
del successivo art. 70) dalle cariche elettive ricoperte per i
sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20 mila abitanti ed i
presidenti di Provincia che accettino la candidatura a deputato o
senatore – il rimettente muoverebbe dall’erroneo presupposto che la
mancata previsione nell’impugnato art. 63 della incompatibilita’ tra
le cariche de quibus precluderebbe la possibilita’ per il cittadino
di far valere la decadenza in oggetto. La difesa erariale rileva
viceversa che, nel caso in esame, le conseguenze della
contemporaneita’ dell’incarico parlamentare con quello di sindaco
sarebbero gia’ previste e disciplinate con la decadenza, che ben puo’
essere fatta valere (come e’ stata concretamente esercitata) con
l’azione prevista dal citato art. 70.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale ordinario di Napoli, prima sezione civile –
chiamato a pronunciarsi su una azione popolare promossa da cittadini
elettori nei confronti del Sindaco di Afragola, per accertare la
sussistenza in capo ad esso della causa di incompatibilita’ (per
contemporanea assunzione all’esito delle rispettive elezioni tenutesi
entrambe nel mese di aprile del 2008) tra tale carica e quella di
senatore della Repubblica italiana e dichiararne la decadenza dalla
prima – censura dell’articolo 63 del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali), «in combinato disposto con l’art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000,
nella parte in cui il suddetto articolo 63, nel sancire le cause di
incompatibilita’, non prevede l’incompatibilita’ tra la carica di
parlamentare e quella di Sindaco di un Comune con popolazione
superiore ai 20.000 abitanti, non consentendo cosi’ l’esercizio
dell’azione popolare, per la lesione degli articoli 3, 51, 67 e 97
della Costituzione nonche’ del principio di ragionevolezza in
riferimento agli artt. 1, 2, 3 e 4 della L. n. 53/1960 [recte: n.
60/1953] come dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla
sentenza n. 277 del 2011 della Corte Costituzionale», «nella parte in
cui non prevedono l’incompatibilita’ tra la carica di parlamentare e
quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000
abitanti».
Secondo il rimettente – escluso che la censurata lacuna normativa
possa essere colmata nel giudizio a quo mediante applicazione
estensiva o analogica, ovvero interpretazione costituzionalmente
orientata, stante il principio di tassativita’ delle cause di
ineleggibilita’ e di incompatibilita’ -, la norma impugnata si pone
in contrasto: a) con gli articoli 3 e 51 della Costituzione, «sotto
il profilo della ragionevolezza, per la violazione del principio
generale secondo cui un soggetto non puo’ assumere e mantenere
durante il proprio mandato la carica di parlamentare e di sindaco tra
le quali e’ stata sancita una incompatibilita’ ex lege […] senza
che sia consentito ai cittadini elettori di sottoporre questa
situazione al vaglio della giurisdizione ordinaria ai sensi
dell’art.70 del D.Lgs. n. 267/2000, come previsto per tutte le altre
ipotesi di incompatibilita’ dettate ex lege per il Sindaco»; e con il
«principio di eguaglianza specificamente sancito in materia
elettorale»; b) con l’art. 67 Cost., «nella parte in cui viene in
evidenza una possibile contrapposizione d’interessi tra enti locali,
e segnatamente tra Comuni aventi una rilevante popolazione, ed
organizzazione statuale nazionale, con conseguente vulnus del
principio di liberta’ di mandato» e di imparzialita’ nell’esercizio
delle funzioni; c) con l’art. 97 Cost., atteso che il cumulo degli
uffici di sindaco di un Comune con rilevante popolazione e di
parlamentare nazionale puo’ ripercuotersi negativamente
sull’efficienza e imparzialita’ delle funzioni cumulativamente
esercitate.
2. – L’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel presente
giudizio in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei
ministri, eccepisce l’inammissibilita’ della sollevata questione, in
ragione di una dedotta erroneita’ della premessa da cui muove il
rimettente, secondo cui la mancata previsione (nell’impugnato art. 63
della incompatibilita’) tra le cariche de quibus verrebbe a
precludere la possibilita’ per il cittadino di far valere la
decadenza in oggetto. Il rimettente, infatti, non avrebbe considerato
che le conseguenze della contemporaneita’ dell’incarico parlamentare
con quello di sindaco sarebbero gia’ previste e disciplinate, con la
specifica decadenza sancita dal precedente art. 62, che ben potrebbe
essere fatta valere con l’azione popolare.
2.1. – L’eccezione non e’ fondata.
Essa si basa sull’assunto (privo di fondamento normativo) in base
al quale il rimettente (anziche’ proporre l’incidente di
costituzionalita’) avrebbe dovuto applicare per la definizione della
fattispecie sottoposta al suo giudizio il rimedio disciplinato
dall’art. 62 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (azionabile
anch’esso con la generale azione di cui all’art. 70, la quale dunque,
in tesi, non rimarrebbe preclusa al cittadino elettore). Detto
articolo dispone che, «Fermo restando quanto previsto dall’articolo 7
del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e
dall’articolo 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533,
l’accettazione della candidatura a deputato o senatore comporta, in
ogni caso, per i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai
20.000 abitanti e per i presidenti delle province la decadenza dalle
cariche elettive ricoperte». Dalla lettura dell’inequivoco disposto
normativo emerge viceversa con chiarezza che la norma richiamata
dalla difesa dello Stato regola gli effetti derivanti dalla
accettazione di una candidatura a parlamentare nazionale da parte di
colui il quale (all’atto della candidatura medesima) sia gia’ sindaco
di un grande Comune (ovvero presidente di Provincia).
E’ vero che la previsione della decadenza dalla carica locale
gia’ rivestita in ragione della semplice candidatura (svincolata
nella sua immediata operativita’ da qualunque incidenza della
successiva elezione alla carica nazionale) risulta finalizzata a
realizzare in anticipo (ed «in ogni caso») l’effetto preclusivo di un
eventuale cumulo di cariche. Ed e’ altrettanto vero che – rammentato
che costituisce principio costantemente affermato dalla
giurisprudenza costituzionale quello secondo cui la eleggibilita’
costituisce la regola, mentre la ineleggibilita’ rappresenta una
eccezione; sicche’ le norme che disciplinano quest’ultima sono di
stretta interpretazione, analogamente a quanto avviene per le cause
di incompatibilita’, introducendo le une e le altre limitazioni al
diritto di elettorato passivo (sentenza n. 283 del 2010) – il
censurato art. 63 si riferisce a fattispecie di incompatibilita’
affatto differente rispetto a quella regolata dal richiamato all’art.
62, che quindi costituisce norma inconferente e non applicabile.
Cio’, a meno di non attribuire ad essa (con opzione ermeneutica che
smentirebbe radicalmente il menzionato consolidato orientamento) un
generale effetto decadenziale derivante dalla mera candidatura al
Parlamento nazionale (non caratterizzato dal peculiare rapporto di
priorita’ temporale tra la carica locale gia’ rivestita e quella cui
il soggetto aspira), cosi’ estendendone inammissibilmente la portata
limitativa del diritto di elettorato passivo anche alla fattispecie
che ha dato origine al giudizio a quo, in cui (secondo la
prospettazione, non contestata) le cariche oggetto del contenzioso
sono state conseguite pressoche’ contemporaneamente, e comunque senza
che si sia verificata in concreto il presupposto richiesto dalla
disposizione evocata di una accettazione da parte del convenuto della
candidatura alle elezioni del Senato, intervenuta in un momento
successivo alla elezione del medesimo a Sindaco del Comune di
Afragola.
La sottolineata eterogeneita’ delle fattispecie porta pertanto ad
escludere che le lamentate conseguenze della contemporaneita’ della
assunzione dell’incarico parlamentare con quello di sindaco avrebbero
potuto essere ovviate dal rimettente attraverso il rimedio di cui
all’art. 62 del d.lgs. n. 267 del 2000.
2.2. – Non assume, inoltre, rilevanza ai fini della decisione del
presente scrutinio quanto sancito dall’art. 13, comma 3, del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, il quale
prevede che, «Fermo restando quanto previsto dalla legge 20 luglio
2004, n. 215, e successive modificazioni, le cariche di deputato e di
senatore, nonche’ le cariche di governo di cui all’articolo 1, comma
2, della citata legge n. 215 del 2004, sono incompatibili con
qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica
relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi,
alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione
superiore a 5.000 abitanti, fermo restando quanto previsto
dall’articolo 62 del testo unico di cui al decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267. Le incompatibilita’ di cui al primo periodo si
applicano a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative
alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata
in vigore del presente decreto. […]». Come evidenziato dallo stesso
rimettente, la espressa posticipazione alla prossima legislatura
della operativita’ della nuova previsione di incompatibilita’ del
parlamentare successivamente eletto sindaco rende la nuova normativa
priva di incidenza, ratione temporis, sulla sollevata questione;
laddove le eventuali problematiche derivanti dalla duplice
regolamentazione della medesima materia troveranno evidentemente
soluzione nei giudizi a quibus secondo le generali regole della
successione di leggi nel tempo.
Altrettanto e’ a dirsi quanto alle vicende di fatto sopravvenute
rispetto alla proposizione dell’odierno scrutinio di
costituzionalita’, quali la cessazione del mandato parlamentare
ricoperto dal convenuto a seguito della intervenuta conclusione della
XVI legislatura: infatti, secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, tali mutamenti non sono idonei ad esplicare effetti sul
giudizio incidentale, in quanto questo, una volta iniziato in seguito
ad ordinanza di rinvio del giudice rimettente, non e’ suscettibile di
essere influenzato da successive vicende di fatto concernenti il
rapporto dedotto nel processo che lo ha occasionato, come previsto
dall’art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, nel testo approvato il 7 ottobre 2008 (sentenze n.
274 del 2011 e n. 227 del 2010).
3. – Nel merito, la questione e’ fondata.
3.1. – Va premesso che – sebbene formalmente risulti censurato
l’art. 63 del decreto legislativo n. 267 del 2000 «in combinato
disposto con l’art. 70» dello stesso testo unico degli enti locali –
nella sostanza, per il rimettente, la denunciata impossibilita’ di
avvalersi dell’azione popolare in mancanza di una previsione che
sancisca l’incompatibilita’ tra le cariche de quibus, non deriva dal
dettato dell’art. 70 (che, quale norma processuale, in se’ non
produce alcuno dei vizi lamentati, trattandosi di un generale rimedio
giurisdizionale, utilizzabile per rimuovere tutti i casi in cui siano
state violate le regole di ineleggibilita’, incompatibilita’ e
incandidabilita’ previste dall’intero capo II del titolo III del
decreto legislativo n. 267 del 2000), ma costituisce un mero effetto
della lacuna normativa che il rimettente ravvisa sussistere nella
incompleta previsione, appunto, dell’art. 63, richiedendo di colmarla
attraverso l’estensione ad essa del dictum di cui alla sentenza n.
277 del 2011.
3.2. – Cosi’ individuato il thema decidendum, anche in rapporto
al petitum formulato dal rimettente (che, depurato dai richiami di
valenza meramente argomentativa, va individuato nella richiesta di
dichiarare l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 63 del decreto
legislativo n. 267 del 2000, nella parte in cui non prevede
l’incompatibilita’ tra la carica di parlamentare e quella di sindaco
di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti), questa
Corte rileva, in primo luogo, che nella specie la sollevata questione
risulta diretta ad accertare non se debba essere (ri)affermata
l’incompatibilita’ tra l’ufficio di parlamentare nazionale e la
carica di sindaco di un Comune di grandi dimensioni. Piuttosto (una
volta riconosciuta, con la sentenza n. 277 del 2011, tale causa di
incompatibilita’ attraverso la dichiarazione di incostituzionalita’
diretta a rimediare ad una omissione presente nel plesso normativo
delle leggi sulle incompatibilita’ parlamentari) che tale previsione
– ove si presenti rispetto ad una fattispecie che il rimettente
(mediante motivazione non implausibile ne’ contestata) afferma essere
regolata dal differente sistema di leggi sull’ordinamento degli enti
locali, che deve trovare applicazione nel giudizio a quo in ragione
della domanda azionata dai cittadini elettori – venga formalmente ad
essere estesa anche a questo, stante la eadem ratio fondata sul
naturale carattere bilaterale della causa di incompatibilita’, attesa
la medesima necessita’ di rimediare ad una omissione, gia’ ritenuta
incostituzionale dalla Corte rispetto ad altra legge (sentenza n. 67
del 2012).
Orbene, nella sentenza n. 277 del 2011 – premesso che l’art. 7,
primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica
30 marzo 1957, n. 361 (Testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati), sancisce che: «Non sono
eleggibili: […] c) i sindaci dei Comuni con popolazione superiore
ai 20.000 abitanti»; e che, a sua volta, l’art. 5 del decreto
legislativo 2 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti
norme per l’elezione del Senato della Repubblica), dispone che: «Sono
eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni,
hanno compiuto il quarantesimo anno di eta’ e non si trovano in
alcuna delle condizioni d’ineleggibilita’ previste dagli articoli 7,
8, 9 e 10 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione
della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 30 marzo 1957, n. 361» – questa Corte ha dichiarato
l’illegittimita’ costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della
legge 15 febbraio 1953, n. 60, recante le regolamentazione delle
«Incompatibilita’ parlamentari» (censurati in quanto nulla
disponevano, in termini di incompatibilita’, per il caso in cui la
identica causa di ineleggibilita’ fosse sopravvenuta rispetto alla
elezione a parlamentare), nella parte in cui non prevedono
l’incompatibilita’ tra la carica di parlamentare e quella di sindaco
di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
Trattandosi in quel contesto decisionale di «verificare la
coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata
dal legislatore (che evidentemente produce in se’ una indubbia
incidenza sul libero esercizio del diritto di elettorato passivo) di
escludere l’eleggibilita’ alla Camera o al Senato di chi
contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non
si accompagni la previsione di una causa di incompatibilita’ per il
caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a
membro del Parlamento nazionale», questa Corte ha innanzi tutto
sottolineato, sotto il profilo sistematico, che la valutazione della
mancata previsione della causa di incompatibilita’ in oggetto deve
muoversi non solo sul versante della diversita’ di ratio e di
elementi distintivi propri’, per causa ed effetti, delle cause di
ineleggibilita’ rispetto a quelle di incompatibilita’ (le prime
tradizionalmente intese a limitare lo jus ad officium, onde evitare
lo strumentale insorgere di fenomeni di captatio benevolentiae e di
metus publicae potestatis; le altre incidenti sullo jus in officio,
per scongiurare l’insorgere di conflitti di interessi: sentenze n.
288 del 2007 e n. 235 del 1988).
Deve, viceversa, essere condotta – in ossequio alla esigenza di
ricondurre il sistema ad una razionalita’ intrinseca altrimenti lesa
– alla stregua di un criterio piu’ propriamente teleologico, nel cui
contesto va evidenziato «il naturale carattere bilaterale
dell’ineleggibilita’», il quale inevitabilmente «finisce con il
tutelare, attraverso il divieto a candidarsi in determinate
condizioni, non solo la carica per la quale l’elezione e’ disposta,
ma anche la carica, il cui esercizio e’ ritenuto incompatibile con la
candidatura in questione» (sentenza n. 276 del 1997).
Ed ha quindi affermato, in primo luogo, che «tale profilo
finalistico non puo’ trovare attuazione se non attraverso
l’affermazione della necessita’ che il menzionato parallelismo sia
assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia,
comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed
efficiente espletamento della carica, ai sensi del combinato disposto
degli artt. 3 e 51 Cost. (sentenza n. 201 del 2003)»; in secondo
luogo, che – poiche’ in ultima analisi le cause di ineleggibilita’ e
di incompatibilita’ si pongono quali strumenti di protezione non
soltanto del mandato elettivo, ma anche del pubblico ufficio che
viene ritenuto causa di impedimento del corretto esercizio della
funzione rappresentativa – il potere discrezionale del legislatore di
introdurre (o mantenere) dei temperamenti alla esclusione di cumulo
tra le due cariche «trova un limite nella necessita’ di assicurare il
rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni, con la
conseguente incostituzionalita’ di previsioni che ne rappresentino
una sostanziale elusione (sentenza n. 143 del 2010)».
Sulla base di tali argomentazioni, anche nella specie va ribadito
che, in assenza di una causa normativa (enucleabile all’interno della
legge impugnata ovvero dal piu’ ampio sistema in cui la previsione
opera) idonea ad attribuirne ragionevole giustificazione, la
previsione della non compatibilita’ di un munus pubblico rispetto ad
un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro,
una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della
naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilita’ e di
incompatibilita’, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe
le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere
dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione.
Tanto piu’, allorquando «la regola della esclusione
"unidirezionale" viene in concreto fatta dipendere, quanto alla sua
effettiva operativita’, dalla circostanza – meramente casuale –
connessa alla cadenza temporale delle relative tornate elettorali ed
alla priorita’ o meno della assunzione della carica elettiva
"pregiudicante" a tutto vantaggio della posizione del parlamentare;
da cio’ la lesione non soltanto del canone di uguaglianza e
ragionevolezza ma anche della stessa liberta’ di elettorato attivo e
passivo» (sentenza n. 277 del 2011; nonche’ sentenza n. 67 del 2012).
3.3 – Pertanto, la sussistenza di un’identica situazione di
incompatibilita’ derivante dal cumulo tra la carica di parlamentare
nazionale e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore a
ventimila abitanti – in assenza di un peculiare motivo (enucleabile
all’interno delle disposizioni impugnate ovvero nel piu’ ampio
sistema in cui esse operano) idoneo ad attribuirne ragionevole
giustificazione ed a prescindere dal momento di assunzione delle
cariche medesime – porta (stante l’assoluta identita’ di ratio) alla
declaratoria di illegittimita’ costituzionale della mancata specifica
previsione di tale incompatibilita’ nella norma impugnata.
3.4. – Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura
formulati dal rimettente.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 63 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede
l’incompatibilita’ tra la carica di parlamentare e quella di sindaco
di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.

F.to:
Franco GALLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2013.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *