Corte Costituzionale sentenza N. 121 SENTENZA 3 – 5 giugno 2013

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 3, comma
10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in
materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e
potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con
modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, promosso dalla
Regione Veneto, con ricorso notificato il 27 giugno 2012, depositato
in cancelleria il 5 luglio 2012 ed iscritto al n. 102 del registro
ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 26 marzo 2013 il Giudice relatore
Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Daniela Palumbo e Luigi Manzi per la Regione
Veneto e l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- La Regione Veneto, con ricorso notificato il 27 giugno 2012,
ha promosso questioni di legittimita’ costituzionale dell’art. 3,
comma 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti
in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e
potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con
modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44. Detta disposizione
prevede che «A decorrere dal 1° luglio 2012, non si procede
all’accertamento, all’iscrizione a ruolo e alla riscossione dei
crediti relativi ai tributi erariali, regionali e locali, qualora
l’ammontare dovuto, comprensivo di sanzioni amministrative e
interessi, non superi, per ciascun credito, l’importo di euro 30, con
riferimento ad ogni periodo d’imposta».
Le questioni sono promosse in riferimento: a) all’art. 117, terzo
comma, della Costituzione, sotto il profilo del coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario; b) all’art. 119 Cost., in
combinato disposto con gli artt. 97 e 118 Cost., e con l’art. 11 del
decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di
autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle
province, nonche’ di determinazione dei costi e dei fabbisogni
standard nel settore sanitario), quale norma interposta; c) all’art.
120 Cost., sotto il profilo del principio di leale collaborazione.
1.1.- Con riguardo alla questione sub a), la ricorrente premette
che la previgente normativa stabiliva che non si procedesse
all’accertamento dei tributi erariali, regionali e locali, qualora
l’ammontare dovuto, per ciascun credito, con riferimento ad ogni
periodo di imposta, non superasse l’importo stabilito, fino al 31
dicembre 1997, di lire trentaduemila (corrispondenti ad euro 16,53);
somma che rappresentava la soglia al di sotto della quale il credito
era qualificato di «modesta entita’» e, pertanto, non era esigibile,
i versamenti non erano dovuti e non erano effettuati i rimborsi (art.
1 del d.P.R. 16 aprile 1999, n. 129, recante «Regolamento recante
disposizioni in materia di crediti tributari di modesta entita’, a
norma dell’articolo 16, comma 2, della legge 8 maggio 1998, n. 146»,
emesso in attuazione dell’art. 16, comma 2, della legge 8 maggio
1998, n. 146, a sua volta recante «Disposizioni per la
semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario e per
il funzionamento dell’Amministrazione finanziaria, nonche’
disposizioni varie di carattere finanziario»). La disposizione
impugnata – prosegue la Regione – e’ intervenuta dopo la riforma del
Titolo V della Parte II della Costituzione apportata dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione), quando era ormai venuta meno la
competenza legislativa esclusiva dello Stato a provvedere in materia
di tributi regionali e locali. La ricorrente ne trae la conclusione
dell’illegittimita’ del suddetto innalzamento della soglia della
«modesta entita’» dei crediti tributari da euro 16,53 ad euro 30,00,
in quanto la norma statale censurata che lo dispone integra non un
«principio fondamentale di coordinamento del sistema tributario», ma
una statuizione di dettaglio di immediata applicazione nei confronti
delle Regioni e degli enti locali, come tale non consentita allo
Stato nella suddetta materia di potesta’ legislativa concorrente.
A sostegno di questa conclusione, la Regione invoca l’autorita’
della sentenza n. 30 del 2005, con la quale questa Corte ha
dichiarato l’illegittimita’, per violazione dell’articolo 117, terzo
comma, Cost., di una normativa che la ricorrente ritiene analoga a
quella in esame, cioe’ dell’articolo 25 della legge 27 dicembre 2002,
n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), nella parte in cui
prevedeva che, con appositi decreti ministeriali, fosse regolata la
riscossione dei crediti di modesto ammontare e di qualsiasi natura,
anche tributaria, benche’ di competenza di altre amministrazioni.
Secondo la ricorrente, detta normativa e’ stata dichiarata in
contrasto con la Costituzione in quanto di dettaglio e di immediata
applicazione nei confronti delle Regioni e degli enti locali e,
percio’, non integrante un principio fondamentale nella materia, di
competenza legislativa concorrente, del «coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario».
1.2.- Con riguardo alla questione sub b), relativa alla
denunciata violazione dell’art. 119 Cost., in combinato disposto con
gli artt. 97 e 118 Cost. e con l’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011,
invocato quale parametro interposto, la ricorrente lamenta che la
norma impugnata, precludendole la possibilita’ di introitare gli
importi dovuti per crediti tributari "regionali", qualora essi siano
di ammontare inferiore al limite stabilito, costituisce un ostacolo
al corretto esercizio delle attribuzioni regionali, cosi’ invadendo
la sfera di autonomia finanziaria riconosciutale dalla Costituzione.
La Regione, infatti, evidenzia che l’ampiezza della formulazione
letterale della impugnata normativa include nella sua portata
applicativa anche i tributi regionali individuati dal comma l,
lettera b), dell’art. 7 (rubricato «Principi e criteri direttivi
relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito
dei tributi erariali») della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al
Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art.
119 della Costituzione), riguardante sia i tributi propri derivati
istituiti e regolati da leggi statali il cui gettito e’ attribuito
alle Regioni, sia le addizionali sulla basi imponibili dei tributi
erariali. Per la ricorrente, tali tributi, benche’ istituiti con
legge statale, generano un gettito di spettanza regionale, con la
conseguenza che l’innalzamento della soglia di esigibilita’ dei
corrispondenti crediti tributari, stabilito dalla impugnata
disposizione, comporterebbe una riduzione del suddetto gettito. La
ricorrente aggiunge che l’indicato effetto negativo si produrrebbe,
ad esempio, con le tasse di concessione regionale relative alla
licenza di pesca di tipo B o quelle concernenti le farmacie rurali.
La vigenza della disposizione impugnata, con decorrenza dal 1° luglio
2012, – soggiunge la Regione – potrebbe comportare un minor gettito
regionale stimabile in circa 9 milioni di euro su base annua. Da tale
riduzione delle entrate e dalla mancata previsione di un meccanismo
compensativo deriverebbe, sempre secondo la ricorrente,
l’impossibilita’ di fronteggiare i costi connessi all’esercizio delle
funzioni amministrative di attribuzione regionale, con correlativa
lesione dell’art. 118 Cost., soprattutto nella fase attuale, nella
quale non e’ stata ancora pienamente attuata la capacita’ impositiva
regionale. Di conseguenza, si afferma nel ricorso, tale situazione
comporta la violazione anche del principio di buon andamento della
pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., il quale,
richiedendo che ciascuna amministrazione provveda rapidamente ed
efficacemente all’espletamento delle proprie funzioni, esige che
l’esercizio di queste ultime sia adeguatamente sorretto da beni e
risorse, anche finanziarie.
La ricorrente, nel ribadire la necessita’ che alla riduzione del
gettito si accompagnino misure compensative (nella specie non
disposte), richiama l’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, il quale
prevede che «gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle
aliquote dei tributi regionali […] sono possibili, a parita’ di
funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale
adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di
aliquota o attribuzione di altri tributi». Viene citata, in
proposito, la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, pur
potendosi determinare riduzioni nella disponibilita’ finanziaria
delle Regioni a seguito di manovre di finanza pubblica, e’ comunque
indispensabile che tali manovre non comportino uno squilibrio
incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale, che
renda insufficienti i mezzi finanziari dei quali ciascuna Regione
dispone per l’adempimento dei propri compiti (sentenze n. 145 del
2008, n. 431 e n. 381 del 2004). La Regione Veneto ribadisce che lo
Stato dovrebbe garantire l’invarianza delle entrate regionali
rispetto alla situazione precedente anche nel caso di intervento sia
sui tributi derivati (cioe’ istituiti con legge statale, ma con
gettito attribuito alle Regioni), sia sulle addizionali sulle basi
imponibili di tributi erariali, effettuato mediante modifica delle
basi imponibili o delle aliquote.
La medesima Regione rileva che non potrebbe essere ritenuto
strumento idoneo ad ovviare alla suddetta riduzione del gettito di
spettanza regionale il potere delle regioni di deliberare aumenti dei
tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni
di aliquote di tributi ad esse attribuiti con legge dello Stato,
previsto dall’art. 1, comma 7, del decreto-legge 27 maggio 2008, n.
93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto
delle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio
2008, n. 126, articolo recentemente ripristinatosi per effetto
dell’abrogazione dell’art. 77-ter, comma 19, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico,
la semplificazione, la competitivita’, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che aveva invece
sospeso temporaneamente l’esercizio di tale potere «per il triennio
2009-2011, ovvero sino all’attuazione del federalismo fiscale se
precedente all’anno 2011». Infatti, questo «potere delle regioni»,
prosegue la ricorrente, costituisce una mera facolta’ e la norma
impugnata non potrebbe trasformarlo sostanzialmente in un obbligo per
le Regioni, costrette ad esercitarlo per ovviare al decremento del
gettito complessivo: in tal modo verrebbe menomato un tratto
determinante dell’autonomia regionale costituzionalmente tutelata e
garantita. Si sottolinea nel ricorso che – per effetto dell’impugnata
normativa – la soglia della «modesta entita’» del credito,
autonomamente fissata dalla Regione Veneto in euro 16,53 (art. 7
della legge della Regione Veneto 21 dicembre 2006, n. 27, recante
«Disposizioni in materia di tributi regionali») non puo’ piu’ essere
applicata a decorrere dal 1° luglio 2012, con gravissimo pregiudizio
finanziario per l’amministrazione regionale. Analogo discorso, si
soggiunge, vale per le altre Regioni che hanno disciplinato con
proprie leggi i «crediti di modesta entita’» (sono citati,
esemplificativamente: l’art. 29 della legge della Regione Piemonte 11
aprile 2001, n. 7, recante «Ordinamento contabile della Regione
Piemonte»; l’art. 42 della legge della Regione Marche 11 dicembre
2001, n. 31, recante «Ordinamento contabile della Regione Marche e
strumenti di programmazione»; l’art. 14 della legge della Regione
Toscana 18 febbraio 2005, n. 31, recante «Norme generali in materia
di tributi regionali relativa ai crediti tributari di modesto
ammontare»).
1.3.- Con riguardo alla questione sub c), concernente la
violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120
Cost., la Regione Veneto deduce che la decisione dello Stato di
estendere anche ai tributi regionali la medesima disciplina dei
tributi statali in tema di crediti di "modesta entita’" e’ avvenuta
inopinatamente e senza alcun raccordo con la Regione, non essendo
stato previsto ed adottato (diversamente da altre leggi statali)
alcun momento di concertazione (come la Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica prevista dagli artt. 2, comma 2,
lettera t), e 5 della legge delega n. 42 del 2009).
1.4.- La ricorrente, infine, chiede in via cautelare – ai sensi
dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) – la
sospensione dell’esecuzione della norma impugnata in considerazione
del pregiudizio finanziario grave ed irreparabile derivante «alla
cittadinanza veneta» per l’impossibilita’ di riscuotere i crediti
tributari regionali di importo fino a 30 euro.
2.- Si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo dichiararsi non fondata la questione.
2.1.- Il Presidente del Consiglio – citando la sentenza di questa
Corte n. 123 del 2010 e la giurisprudenza costituzionale in essa
menzionata – premette che, in forza del combinato disposto del
secondo comma, lettera e), del terzo e del quarto comma dell’art. 117
Cost., nonche’ dell’art. 119 Cost.: a) la piena esplicazione di
potesta’ regionali autonome in materia tributaria presuppone una
legislazione statale di coordinamento; b) in difetto di tale
legislazione e’ precluso alle Regioni il potere di istituire e
disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi
dello Stato e di legiferare sui tributi esistenti istituiti e
regolati da leggi statali; c) va considerato statale e non gia’
"proprio" della Regione, nel senso di cui al vigente art. 119 Cost.,
il tributo istituito e regolato da una legge statale, ancorche’ il
relativo gettito sia devoluto alla Regione stessa; d) la disciplina,
anche di dettaglio, dei tributi statali e’ riservata alla legge
statale e l’intervento del legislatore regionale e’ precluso, se non
nei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa.
Il Presidente del Consiglio premette, altresi’, che la Regione
Veneto non ha istituito tributi propri e che, pertanto, le sue
entrate tributarie derivano da tributi regionali derivati, cioe’ da
tributi istituiti e disciplinati da legge statale ed il cui gettito
e’ attribuito alle Regioni.
Poste tali premesse, la difesa dello Stato osserva che la
normativa impugnata – nell’elevare la soglia dei crediti di «modesta
entita’» (in precedenza disciplinata dall’art. 12-bis del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 602, recante «Disposizioni sulla riscossione delle
imposte sul reddito», e, successivamente, dal combinato disposto
dell’art. 16 della legge n. 146 del 1998 e del d.P.R. n. 129 del
1999), in considerazione del fisiologico incremento dei costi
complessivi dell’attivita’ di controllo e riscossione – persegue
l’obiettivo di evitare, in un’ottica di risparmio della spesa
pubblica, che i costi di riscossione ed accertamento superino i
benefici dell’entrata nelle casse della pubblica amministrazione: la
misura di tale soglia dovrebbe, cioe’, contemperare l’interesse degli
enti creditori a riscuotere quanto dovuto con la necessita’ di
contenere i costi di gestione. Tale esigenza, secondo il Presidente
del Consiglio, prescinderebbe dall’assetto federalista dei rapporti
tra Stato, Regioni ed autonomie: la disposizione in esame, infatti,
sancirebbe un principio fondamentale nell’armonizzazione dei bilanci
pubblici e nel coordinamento della finanza pubblica, trovando
applicazione anche per quei tributi derivati che, seppur produttivi
di un gettito di spettanza regionale, sono stati istituiti e devono
essere disciplinati con legge statale. Inoltre, ad avviso della
medesima parte resistente, il censurato art. 3, comma 10, del d.l. n.
16 del 2012 sarebbe coerente anche con i principi dettati dall’art.
2, comma 2, lettera c), della legge n. 42 del 2009, tra i cui criteri
direttivi sono indicati la «razionalita’ e coerenza dei singoli
tributi e del sistema tributario nel suo complesso» e l’«efficienza
nell’amministrazione dei tributi».
La difesa dello Stato afferma, poi, che – contrariamente a quanto
sostenuto dalla ricorrente – non e’ pertinente al caso in esame la
sentenza di questa Corte n. 30 del 2005, la quale ha motivato la
dichiarazione di illegittimita’ costituzionale dell’art. 25 della
legge n. 289 del 2002, in materia di riscossione di crediti di
modesto ammontare, non con la natura di dettaglio di tale
disposizione, ma con l’illegittimita’ del rinvio da essa operato, in
materia di potesta’ legislativa concorrente, a regolamenti di
delegificazione per determinare la misura minima dei crediti
esigibili. Anzi, prosegue l’Avvocatura generale dello Stato, proprio
in tale sentenza la Corte ha riconosciuto che lo stesso art. 25,
nella parte in cui stabiliva che, in sede di prima applicazione,
1’importo minimo non poteva essere inferiore a euro 12,00, costituiva
"norma di principio" e, quindi, era riconducibile alla competenza
statale, con conseguente non fondatezza della questione di
legittimita’ costituzionale sollevata sul punto. Nella specie,
1’impugnato art. 3, comma 10, del d.l. n. 16 del 2012, nell’elevare
la "soglia" di esigibilita’ dei crediti, si sarebbe limitato a
modificare direttamente un principio fondamentale di coordinamento,
senza rinviare ad alcun regolamento di delegificazione e, quindi,
senza incorrere nell’illegittimita’ rilevata in quella sentenza.
2.2.- Quanto alla dedotta violazione dell’art. 11 del d.lgs. n.
68 del 2011, per la mancata previsione nella legge statale di misure
compensative della riduzione delle entrate regionali causata
dall’applicazione della norma impugnata, la difesa dello Stato rileva
che non ricorrono i presupposti per l’applicazione di detto articolo,
in quanto la norma statale impugnata non interviene «sulle basi
imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali», come invece
richiesto dal citato art. 11. Inoltre, sempre secondo la parte
resistente, la Regione Veneto non avrebbe dimostrato che la riduzione
delle entrate regionali derivante dalla disposizione impugnata ha
provocato uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di
spesa regionale (viene citata la sentenza di questa Corte n. 289 del
2009), tanto piu’ che, anche a volere considerare l’entita’ della
riduzione di gettito indicata dalla ricorrente (nove milioni di
euro), la parte non ha tenuto conto ne’ del risparmio dei costi di
accertamento e riscossione ne’ del notevole importo del gettito
complessivo della Regione Veneto (circa 16 miliardi di euro di
entrate tributarie in base al bilancio di previsione per l’anno
2012).
2.3.- Infine, il Presidente del Consiglio afferma l’insussistenza
della dedotta violazione del principio di leale collaborazione di cui
all’art. 120 Cost. ed osserva al riguardo che, secondo la
giurisprudenza costituzionale, l’esercizio dell’attivita’ legislativa
sfugge alle procedure di leale collaborazione (sono richiamate le
sentenze n. 371 del 2008, n. 222 del 2008, n. 401 del 2007). In ogni
caso, rileva che la disposizione censurata, in quanto contenuta in un
decreto-legge emanato in presenza di casi straordinari di necessita’
e urgenza art. 77 Cost.), non poteva essere preceduta da un
coinvolgimento delle Regioni.
3.- Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza pubblica,
la Regione Veneto ha replicato alla difesa dello Stato.
In primo luogo, la Regione, con riferimento alla sentenza di
questa Corte n. 30 del 2005, osserva che: a) mentre l’art. 25 della
legge n. 289 del 2002, oggetto della suddetta sentenza, si riferiva a
crediti di qualsiasi natura, compresi quelli tributari, e rientrava
nella materia, di competenza legislativa concorrente, «armonizzazione
dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica» (come
affermato in detta sentenza), la disciplina impugnata, invece, fa
riferimento ai soli crediti tributari e, pertanto, dovrebbe ritenersi
rientrare nella materia, anch’essa di competenza legislativa
concorrente, «coordinamento del sistema tributario»; b) la sentenza
ha riconosciuto che l’entita’ della "modestia del credito" puo’
essere stabilita con intervento regolamentare per lo Stato e con
legislazione concorrente («armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica») per le Regioni ed ha
attribuito carattere di principio al comma 4 del predetto art. 25, il
quale stabiliva che, in sede di prima applicazione, 1’importo dei
crediti "modesti" non poteva essere inferiore a euro 12,00 e
consentiva, percio’, alle Regioni di fissare limiti piu’ elevati; c)
dalla sentenza si desume, percio’, la competenza della Regione ad
emanare atti esecutivi attuativi della citata norma di principio
contenuta nel menzionato comma 4 dell’art. 25; d) la disposizione
impugnata, a differenza del ricordato art. 25, non lascia alla
Regione alcun margine per l’eventuale esercizio della potesta’
legislativa di dettaglio ed impone un mero limite contabile, come
tale avulso da qualsiasi margine di apprezzamento decisionale (viene
citata, per analogia, la sentenza di questa Corte n. 156 del 2010,
che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale, perche’ di
dettaglio, dell’art. 9, comma 1-bis, del decreto-legge 1° luglio
2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, nonche’ proroga di
termini», in materia di «armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica»).
In secondo luogo, la ricorrente rileva che la ratio del
denunciato art. 3, comma 10, del d.l. n. 16 del 2012, indicata dal
resistente nel risparmio della spesa pubblica derivante da una
disciplina che eviti l’eccedenza dei costi di riscossione e di
accertamento rispetto all’entrata tributaria, vale anche per l’art. 7
della legge reg. Veneto n. 27 del 2006, che, appunto, individua la
soglia del credito di modesta entita’ in euro 16,53.
In terzo luogo, nella memoria depositata, viene sottolineato che
la riduzione del gettito derivante dalla norma impugnata corrisponde,
in sostanza, alla riduzione derivante dagli interventi statali sulle
basi imponibili o aliquote dei tributi previsti dall’art. 11 del
d.lgs. n. 68 del 2011.
In quarto luogo, in riferimento alla quantificazione dell’impatto
che la disposizione impugnata genererebbe sulle risorse finanziarie
regionali della ricorrente, la Regione produce una nota della
Direzione regionale delle risorse finanziarie, datata 1° marzo 2013,
nella quale si espongono in dettaglio, in relazione al denunciato
assetto normativo, l’ammontare delle minori entrate per l’anno 2011,
il depauperamento del gettito disponibile ed il consistente
incremento della quota riservata allo Stato (in difetto di qualsiasi
misura di compensazione).
In quinto luogo, infine, con riguardo alla denunciata lesione del
principio di leale collaborazione, la Regione ribadisce che la mera
attivita’ consultiva svoltasi presso le sedi dedicate alla
concertazione durante l’iter di conversione del decreto-legge non
rispetta l’indicato principio, il quale – in considerazione
dell’attuale riparto costituzionale delle competenze legislative tra
Stato e Regioni – richiederebbe un’intesa in sede di attuazione della
normativa statale.

Considerato in diritto

1.- La Regione Veneto ha impugnato l’art. 3, comma 10, del
decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle
procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla
legge 26 aprile 2012, n. 44, secondo cui «A decorrere dal 1° luglio
2012, non si procede all’accertamento, all’iscrizione a ruolo e alla
riscossione dei crediti relativi ai tributi erariali, regionali e
locali, qualora l’ammontare dovuto, comprensivo di sanzioni
amministrative e interessi, non superi, per ciascun credito,
l’importo di euro 30, con riferimento ad ogni periodo d’imposta».
La ricorrente premette che detta disposizione si inserisce nel
quadro normativo costituito dall’art. 16, comma 2, della legge 8
maggio 1998, n. 146 (Disposizioni per la semplificazione e la
razionalizzazione del sistema tributario e per il funzionamento
dell’Amministrazione finanziaria, nonche’ disposizioni varie di
carattere finanziario), e dall’art. 1 del d.P.R. 16 aprile 1999, n.
129 (Regolamento recante disposizioni in materia di crediti tributari
di modesta entita’, a norma dell’articolo 16, comma 2, della legge 8
maggio 1998, n. 146). In particolare, l’art. 16 prevedeva che un
apposito regolamento ministeriale, tenuto conto dei costi per
l’accertamento e la riscossione, stabilisse gli importi minimi al di
sotto dei quali i versamenti non erano dovuti e non erano effettuati
i rimborsi. Tale regolamento, all’art. 1 del predetto d.P.R. n. 129
del 1999, stabiliva che non si procedesse all’accertamento dei
tributi erariali, regionali e locali, qualora l’ammontare dovuto per
ciascun credito, con riferimento ad ogni periodo di imposta, non
superasse l’importo stabilito, fino al 31 dicembre 1997, di «lire
trentaduemila» (corrispondenti ad euro 16,53); somma che
rappresentava la soglia al di sotto della quale l’importo poteva
essere qualificato di «modesta entita’» e, come tale, non esigibile.
Secondo la Regione Veneto, la norma impugnata, nell’innalzare la
soglia della «modesta entita’» dei crediti tributari da «lire
trentaduemila» (euro 16,53) ad «euro 30», violerebbe: a) l’art. 117,
terzo comma, della Costituzione, sotto il profilo del coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario; b) l’art. 119 Cost.,
in combinato disposto con gli artt. 97 e 118 Cost. e, quale norma
interposta, con l’art. 11 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n.
68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a
statuto ordinario e delle province, nonche’ di determinazione dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario); c) l’art. 120
Cost., sotto il profilo del principio di leale collaborazione.
La ricorrente chiede altresi’, in via cautelare, la sospensione
dell’esecuzione della norma impugnata in considerazione del
pregiudizio finanziario grave ed irreparabile che le deriverebbe
dall’applicazione di detta norma.
2.- Nessuno di tali tre motivi di impugnazione puo’ essere
accolto e, pertanto, le corrispondenti questioni vanno dichiarate non
fondate, con assorbimento dell’istanza cautelare.
2.1.- Con la prima questione, la ricorrente deduce la violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la disposizione
impugnata conterrebbe non un «principio fondamentale di coordinamento
del sistema tributario», ma una statuizione di dettaglio di immediata
applicazione nei confronti delle Regioni e degli enti locali, non
rientrante nella competenza dello Stato nella suddetta materia di
potesta’ legislativa concorrente.
La questione non e’ fondata.
2.1.1.- Al riguardo, va preliminarmente rilevato che l’impugnato
comma 10 dell’art. 3 del d.l. n. 16 del 2012 riguarda esclusivamente
i «crediti tributari» e che il ricorso della Regione Veneto si
riferisce soltanto alla riduzione che l’applicazione di tale comma
apporterebbe al gettito sia dei tributi regionali cosiddetti
«derivati» (cioe’ istituiti e disciplinati dalla legge statale ed il
cui gettito e’ attribuito alle Regioni), sia delle addizionali
regionali (e locali) sulle basi imponibili di tributi definibili come
erariali in senso stretto (nel senso di tributi il cui gettito e’
attribuito allo Stato). Sotto il primo profilo, la natura tributaria
dei crediti si desume dall’inequivoco tenore letterale della
disposizione («crediti tributari»). Sotto il secondo profilo, la
limitazione della richiesta della ricorrente si evince chiaramente
dal contenuto del ricorso, nel quale si lamenta la riduzione del
gettito – nell’ambito dei «tributi delle regioni» di cui al comma l,
lettera b), dell’art. 7 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al
Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art.
119 della Costituzione) – solo dei «tributi propri derivati istituiti
e regolati da leggi statali, il cui gettito e’ attribuito alle
Regioni» (lettera b, numero 1) e delle «addizionali sulle basi
imponibili dei tributi erariali» (lettera b, numero 2), nel senso di
addizionali regionali (e locali), senza che venga fatta menzione dei
«tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi in
relazione ai presupposti non gia’ assoggettati ad imposizione
erariale» (lettera b, numero 3).
2.1.2.- Cosi’ delimitato il thema decidendum, deve osservarsi che
e’ erroneo il presupposto interpretativo da cui muove la ricorrente,
secondo il quale la disciplina dei crediti relativi a «tributi
regionali derivati» e’ ascrivibile alla materia, di competenza
legislativa concorrente, «coordinamento del sistema tributario» di
cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.
In base alla costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, i
suddetti tributi regionali derivati e le indicate addizionali, in
quanto istituiti e regolati dalla legge statale, rientrano nella
materia «ordinamento tributario dello Stato», che l’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. riserva alla competenza legislativa statale,
a nulla rilevando che il gettito sia attribuito alle Regioni. Puo’
qui soggiungersi (anche se il punto non rientra strettamente nel
thema decidendum) che osservazioni analoghe valgono per i tributi
locali «derivati», istituiti e regolati dalla legge statale ed il cui
gettito e’ attribuito agli enti locali. La disciplina dei suddetti
tributi «derivati» – analogamente a quella delle addizionali
regionali, istituite con leggi statali, sulle basi imponibili di
tributi erariali – e’ riservata, dunque, alla legge statale, con la
conseguenza che, da un lato, il legislatore statale puo’ introdurre
norme non solo di principio, ma anche di dettaglio, e, dall’altro,
l’intervento del legislatore regionale puo’ integrare detta
disciplina solo entro i limiti stabiliti dalla legislazione statale
stessa (sentenze n. 123 del 2010, n. 298 e n. 216 del 2009, n. 2 del
2006, n. 397 del 2005, n. 241 e n. 37 del 2004, n. 311, n. 297 e n.
296 del 2003). Dall’erroneita’ del suddetto presupposto
interpretativo della ricorrente discende la non fondatezza della
censura in esame.
2.1.3.- A sostegno di una diversa conclusione non puo’ essere
invocata – come invece fa la Regione Veneto – la sentenza di questa
Corte n. 30 del 2005.
Va innanzitutto rilevato che tale pronuncia ha ad oggetto l’art.
25 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2003), nella parte in cui prevedeva che, con appositi
decreti ministeriali (costituenti regolamenti di delegificazione),
fosse regolata la riscossione dei crediti "di modesto ammontare" di
qualsiasi natura, anche tributaria, benche’ di competenza di altre
amministrazioni. Detto art. 25 fissava direttamente anche alcuni
criteri per la riscossione di tali crediti e, in particolare, con il
comma 4 disponeva che, in sede di prima applicazione, 1’importo dei
crediti "di modesto ammontare" non poteva essere inferiore ad euro
12,00, consentendo cosi’ alle Regioni di fissare limiti piu’ elevati.
La sentenza n. 30 del 2005, nel riferirsi ad una norma riguardante i
crediti di qualsiasi natura, deve qui essere esaminata limitatamente
alle sue affermazioni in tema di crediti tributari. Nella pronuncia
si precisa, quanto alla disciplina dei tributi «dello Stato», che
questa rientra nella potesta’ legislativa esclusiva statale, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e si afferma, quanto
alla disciplina dei tributi «degli altri enti», che per essa non puo’
«che venire in considerazione la materia "[…] coordinamento della
finanza pubblica"» (evidentemente intesa in senso ampio, comprensiva
del «coordinamento del sistema tributario»), rientrante nella
potesta’ legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma,
Cost. Ne segue che la pronuncia in discorso, la’ dove considera norma
di principio la parte dell’art. 25 della legge n. 289 del 2002
secondo cui 1’importo dei crediti "di modesto ammontare" non poteva
essere inferiore ad euro 12,00, si riferisce chiaramente alla materia
di competenza legislativa concorrente «coordinamento del sistema
tributario» e, quindi, riguarda – per quanto attiene ai crediti di
natura tributaria – la disciplina dei tributi non «dello Stato», ma
«degli altri enti».
Poiche’ oggetto del presente giudizio di costituzionalita’ e’ una
norma relativa ai tributi «derivati» e, quindi, a tributi
indubbiamente «dello Stato» (cioe’ istituiti e regolati dallo Stato),
la disciplina dei quali e’ di competenza legislativa esclusiva
statale, non e’ pertinente (contrariamente a quanto affermato dalla
ricorrente) il richiamo alla citata sentenza n. 30 del 2005, nella
parte in cui si riferisce a tributi non statali e ad una competenza
legislativa concorrente.
Per le stesse ragioni non e’ pertinente il richiamo della
medesima sentenza la’ dove questa dichiara l’illegittimita’
costituzionale del sopra menzionato art. 25 della legge n. 289 del
2002, nella parte in cui tale articolo rinvia, in materia di potesta’
legislativa concorrente, a regolamenti di delegificazione (decreti
ministeriali) la determinazione della misura minima dei crediti
esigibili. Anche in questo caso, infatti, la sentenza si riferisce ad
una ipotesi di competenza legislativa concorrente e, quindi, con
riguardo ai crediti tributari, a tributi non dello Stato, istituiti e
regolati da leggi regionali, cioe’ ad un tema estraneo a quello del
presente giudizio di costituzionalita’.
2.2.- Con la seconda questione, la Regione Veneto deduce la
violazione dell’art. 119 Cost., in combinato disposto con gli artt.
97 e 118 Cost. e, quale «parametro interposto», con l’art. 11 del
d.lgs. n. 68 del 2011, perche’ – in mancanza delle misure
compensative previste dal citato art. 11 per il caso di diminuzione
di entrate tributarie – la disposizione impugnata ridurrebbe il
gettito dei tributi regionali di un importo tale (che la ricorrente
indica in nove milioni di euro su base annua) da impedire il corretto
esercizio delle attribuzioni della Regione (art. 118 Cost.), cosi’
violando la sua autonomia finanziaria (art. 119 Cost.) ed il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97
Cost.). In particolare, l’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, viene
evocato dalla ricorrente in quanto prevede che «gli interventi
statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali
[…] sono possibili, a parita’ di funzioni amministrative conferite,
solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa
compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri
tributi»
Tale censura non e’ fondata.
La Regione, infatti, non ha fornito la prova del presupposto
della censura, cioe’ del fatto che l’applicazione della norma
impugnata determinerebbe una diminuzione del gettito dei tributi
regionali «derivati» (e delle addizionali regionali su tributi
erariali), in misura tale da compromettere lo svolgimento delle sue
funzioni.
La ricorrente, in particolare, non ha dimostrato che la
riscossione dei suddetti crediti tributari regionali di importo
compreso tra euro 16,53 (gia’ inesigibili in base alla previgente
normativa) ed euro 30,00 (soglia introdotta dalla disposizione
impugnata) non sarebbe antieconomica per l’entita’ dei costi di
riscossione coattiva o spontanea. E’ appena il caso di osservare, a
titolo esemplificativo, che la ricorrente non ha indicato ne’
l’entita’ e le caratteristiche del gettito di ciascun tributo, in una
con la dinamica delle sanzioni e con riferimento alla dedotta
impossibilita’ di superare la soglia della franchigia; ne’ la
peculiarita’ delle fasi di accertamento e liquidazione dei vari
tributi, con particolare riguardo ai costi di accertamento e di
controllo; ne’ la serie storica delle percentuali degli esiti
negativi delle procedure di riscossione in relazione ad ogni prelievo
fiscale regionale. Cio’ implica che non risulta provato dalla difesa
della Regione ne’ l’an ne’ il quantum della riduzione del gettito,
restando, cosi’, indimostrato l’assunto della ricorrente circa
l’incidenza negativa della riduzione del gettito sugli equilibri
della finanza della Regione Veneto e sull’esercizio delle funzioni
regionali.
L’evocazione a parametro dell’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011,
poi, e’ inammissibile, perche’ tale disposizione non costituisce
norma di rango costituzionale e perche’, versandosi in materia di
competenza legislativa statale esclusiva (come sopra evidenziato),
non costituisce neppure parametro interposto. E cio’ a prescindere
dal fatto che la norma impugnata non solo non comporta la riduzione
delle basi imponibili o delle aliquote dei tributi regionali, cioe’
la condizione che, sola, legittimerebbe l’applicazione del citato
art. 11; ma non ha neppure – come visto – l’effetto di provocare una
significativa diminuzione del gettito dei medesimi tributi.
2.3.- Con la terza ed ultima questione, la ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 120 Cost., perche’ il denunciato comma 10
dell’art. 3 del d.l. n. 16 del 2012, quale convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, non e’ stato preceduto da
alcuna adeguata forma di leale collaborazione.
Neppure tale questione e’ fondata.
Come e’ stato sopra rilevato, infatti, la norma impugnata e’
stata adottata nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva
statale in materia di «sistema tributario dello Stato», per la quale
la Costituzione non impone alcun coinvolgimento delle Regioni.
Inoltre, come osservato dalla parte resistente, l’esercizio
dell’attivita’ legislativa sfugge, in ogni caso, alle procedure di
leale collaborazione (ex plurimis, sentenze n. 371 e n. 222 del 2008,
n. 401 del 2007).

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dell’art. 3, comma 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16
(Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di
efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44,
promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, 97, 118, 119
e 120 della Costituzione, nonche’ all’art. 11 del decreto legislativo
6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata
delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonche’ di
determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore
sanitario), dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.

F.to:
Franco GALLO, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2013.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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