Corte Costituzionale sentenza N. 131 SENTENZA 3 – 7 giugno 2013

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 46
della legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8 (Ordinamento
del bilancio e della contabilita’ della Regione Calabria), promosso
dal Tribunale ordinario di Catanzaro nel giudizio vertente tra la
Regione Calabria ed altro e la Publiday s.a.s. di I.A. & C., con
ordinanza del 22 novembre 2010, iscritta al n. 275 del registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Udito nella camera di consiglio del 24 aprile 2013 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto in fatto

1.- Il Tribunale ordinario di Catanzaro, in composizione
monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in
riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera l), della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo
46 della legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8
(Ordinamento del bilancio e della contabilita’ della Regione
Calabria).
In punto di fatto, il rimettente premette che: a) con atto
pubblico del 24 luglio 2007, M.F.G., quale titolare della omonima
impresa individuale, cedeva alla Publiday s.a.s. di I.A. & C. il
credito di euro 69.211,92 vantato nei confronti della Regione
Calabria, in corrispettivo di lavori di somma urgenza eseguiti per
conto di tale ente ed in relazione ai quali era stato emesso
certificato di regolare esecuzione; b) l’atto di cessione era
notificato all’amministrazione regionale, dipartimento lavori
pubblici, in data 8 agosto 2007; c) in difetto di pagamento, la
societa’ cessionaria richiedeva la pronuncia di decreto ingiuntivo,
emesso il 10 luglio 2008; d) la Regione Calabria proponeva
opposizione, eccependo, in via preliminare, l’inefficacia della
cessione di credito non accettata dalla amministrazione regionale; e)
la societa’ creditrice si costituiva nel giudizio di opposizione,
insistendo nella domanda proposta in via monitoria e chiedendo di
essere autorizzata a chiamare in causa il sig. V.A., responsabile dei
procedimenti amministrativi dai quali era sorto il credito poi
cedutole, affinche’, in via subordinata, fosse accertata la validita’
del rapporto contrattuale intercorso tra la ditta M.F.G. ed il sig.
V.A., e quest’ultimo fosse condannato al pagamento integrale del
debito nascente dalle fatture di cui agli ordinativi oggetto della
controversia; f) autorizzata la chiamata in causa del terzo,
quest’ultimo si costituiva eccependo, tra l’altro, l’inefficacia
della cessione di credito; g) autorizzato lo scambio di memorie ai
sensi dell’art. 183 del codice di procedura civile, all’udienza
dell’8 luglio 2010 era sollecitato il contraddittorio tra le parti
sulla possibile esistenza di dubbi di legittimita’ costituzionale
dell’art. 46 della legge della Regione Calabria n. 8 del 2002,
autorizzando lo scambio, sul punto, di ulteriori memorie difensive.
Il giudice a quo trascrive il testo dell’art. 46 della legge ora
citata, ai sensi del quale: «Le cessioni di credito hanno effetto nei
confronti della Regione qualora siano alla stessa notificate presso
la sede legale ed accettate con provvedimento del dirigente della
struttura regionale competente, prima della liquidazione della
correlata spesa».
Il rimettente rileva che dalla citata norma risulta come non
abbiano effetto nei confronti della Regione Calabria le cessioni di
credito che non siano state accettate, prima della liquidazione della
spesa, dal dirigente della struttura regionale competente.
In punto di rilevanza, il giudicante osserva che occorre fare
applicazione del detto art. 46, al fine di risolvere la questione
preliminare di merito relativa all’efficacia, nei confronti
dell’amministrazione pubblica regionale, della cessione del credito
verso la Regione Calabria, intervenuta tra M.F.G. e la Publiday
s.a.s. di I.A. & C.
Preliminarmente, il giudice a quo rileva che il giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo, di cui e’ investito, non e’
improcedibile, benche’ la causa sia stata iscritta a ruolo il settimo
giorno dalla notificazione del relativo atto. Sul punto, afferma di
non condividere il mutato orientamento di cui alla sentenza della
Corte di cassazione, resa a sezioni unite, il 9 settembre 2010, n.
19246, in tema di improcedibilita’ dell’opposizione a decreto
ingiuntivo per costituzione dell’opponente oltre il quinto giorno
dalla notificazione ed afferma di condividere il consolidato
orientamento giurisprudenziale precedente, secondo il quale il
termine di iscrizione della causa a ruolo, nell’ipotesi di
concessione all’opposto di termini a comparire non inferiori a quelli
ordinari, era di dieci giorni.
Il rimettente, al fine di verificare come la norma censurata
incida sulla risoluzione della questione di merito, ricostruisce la
disciplina in materia di opponibilita’ della cessione dei crediti,
con particolare riferimento ai crediti vantati nei confronti
dell’amministrazione pubblica.
Egli richiama la regula iuris di carattere generale di cui
all’art. 1260 del codice civile, ai sensi del quale «Il creditore
puo’ trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche
senza il consenso del debitore, purche’ il credito non abbia
carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato
dalla legge».
Aggiunge che, in base all’art. 1264 cod. civ., la cessione ha
effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’abbia
accettata o, in alternativa, quando gli sia stata notificata, fermo
restando che il debitore il quale paga al cedente prima della
notificazione o dell’accettazione non e’ liberato dal debito, se si
dia dimostrazione che era a conoscenza dell’avvenuta cessione.
Il giudicante sottolinea come, al momento dell’emanazione del
codice civile, era presente nell’ordinamento una specifica disciplina
in ordine alla cessione dei crediti vantati nei confronti delle
amministrazioni pubbliche.
L’art. 9, allegato E, della legge 20 marzo 1865, n. 2248 (Legge
sul contenzioso amministrativo-Allegato E) e successive
modificazioni, stabiliva, in materia di contratti pubblici, che «Sul
prezzo dei contratti in corso non potra’ avere effetto alcun
sequestro, ne’ convenirsi cessione, se non vi aderisca
l’amministrazione interessata».
L’art. 339, allegato F, della legge 20 marzo 1865, n. 2248 (Legge
sui lavori pubblici-Allegato F) – abrogato dal decreto del Presidente
della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di attuazione
della legge 11 febbraio 1994, n. 109-legge quadro in materia di
lavori pubblici e successive modificazioni) – sanciva: «E’ vietata
qualunque cessione di credito e qualunque procura, le quali non siano
riconosciute».
Il giudice a quo evidenzia come una piu’ generale disciplina
della cessione dei crediti vantati nei confronti delle
amministrazioni pubbliche fosse contenuta nel regio decreto 18
novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull’amministrazione del
patrimonio e sulla contabilita’ generale dello Stato), di cui
richiama gli artt. 69 e 70.
Il Tribunale sottolinea come, in questo contesto normativo,
sorgesse, in primo luogo, la questione se la disposizione originaria
dell’art. 9, allegato E, della legge n. 2248 del 1865, concernente
tutti i contratti, fosse stata confermata da quella successiva
dell’art. 70 r.d. n. 2440 del 1923, oppure se il legislatore avesse
cosi’ inteso restringere la portata della prima, limitando la
necessita’ dell’adesione dell’amministrazione pubblica soltanto per
determinati crediti, cioe’ per quelli derivanti dall’esecuzione di
contratti di somministrazione, di appalto o di fornitura.
Il rimettente prosegue esponendo che quest’ultima tesi e’ stata
ritenuta preferibile dalla Corte di cassazione, sezione terza civile,
con la sentenza 28 gennaio 2002, n. 981, in forza del principio di
cui all’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale,
essenzialmente in base al rilievo che la disciplina speciale in
questione deroga a quella ordinaria, secondo la quale la cessione ha
effetto nei confronti del debitore ceduto in conseguenza della
semplice accettazione o notificazione.
La Corte suddetta, inoltre, ha ritenuto tale soluzione conforme
al principio per cui, nei rapporti nei quali lo Stato agisce iure
privatorum, le disposizioni che definiscono l’area di incidenza dei
privilegi della pubblica amministrazione, comportanti una restrizione
dell’autonomia negoziale dei privati, devono essere interpretate in
senso restrittivo, in linea con il precetto di cui all’art. 41, primo
comma, Cost.
Cio’ ha comportato, ad avviso della Corte di cassazione,
l’abrogazione del citato art. 9, ai sensi dell’art. 15 delle
disposizioni sulla legge in generale, per tutti i casi in cui non e’
espressamente richiamato dall’art. 70 del r.d. n. 2440 del 1923.
Il rimettente sottolinea come, alla stregua di quanto esposto, il
divieto di cessione senza l’adesione della pubblica amministrazione
si applicasse, in definitiva, solo ai rapporti di durata come
l’appalto e la somministrazione (o la fornitura), rispetto ai quali
il legislatore aveva ravvisato, in deroga al principio generale della
cedibilita’ dei crediti anche senza il consenso del debitore (art.
1260 cod. civ.), l’esigenza di garantire con questo mezzo la regolare
esecuzione, evitando che, durante la medesima, potessero venire meno
le risorse finanziarie al soggetto obbligato e, cosi’, potesse essere
compromessa l’ulteriore regolare prosecuzione del rapporto
(Cassazione, sezione prima civile, sentenza 18 novembre 1994, n.
9789).
Il giudice a quo evidenzia come, secondo la giurisprudenza di
legittimita’ (Cassazione, sezione terza civile, sentenza 21 settembre
2005, n. 18610), la disciplina sopra richiamata trovasse applicazione
non solo nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ma anche
degli altri enti pubblici, in tal senso deponendo sia la portata
generale di tali disposizioni – confermata dal riferimento delle
predette leggi anche ai beni ed alle attivita’ di enti diversi dallo
Stato, nonche’ dalle norme secondarie che le estendevano ai Comuni ed
alle Province – sia il comune scopo delle norme in questione,
consistente nel garantire la regolare esecuzione dei contratti di
durata in esse considerati, impedendo che, nel corso degli stessi,
l’appaltatore potesse privarsi dei mezzi finanziari erogatigli dalla
pubblica amministrazione secondo lo stato di avanzamento dei lavori e
lo sviluppo delle forniture.
Il rimettente richiama, altresi’, l’orientamento
giurisprudenziale (Cassazione, sezione prima civile, sentenza 8
maggio 2008, n. 11475; sezione terza civile, sentenza 6 febbraio
2007, n. 2541) secondo cui la deroga al principio della libera
cedibilita’ dei crediti, essendo intesa ad evitare che, durante
l’esecuzione del contratto, potessero venire a mancare i mezzi
finanziari al soggetto obbligato alla prestazione in favore della
pubblica amministrazione, cessava alla conclusione del rapporto
contrattuale – come si desumeva dall’inciso «contratti in corso» –
con la conseguenza che risultavano opponibili all’amministrazione le
cessioni di credito fatte valere e realizzate senza la preventiva
adesione, purche’ intervenute dopo la conclusione del rapporto.
Peraltro, ad avviso della giurisprudenza di legittimita’, in tema
di appalto di opere pubbliche il contratto cessa di essere
considerato in corso soltanto a seguito dell’espletamento e
dell’approvazione del collaudo da parte della pubblica
amministrazione, costituendo tale approvazione lo strumento legale
con il quale le conclusioni dell’appaltatore sono accettate dalla
amministrazione con conseguente obbligo della medesima di liquidare
il corrispettivo sulla base dell’importo determinato in quella sede.
Solo in tale momento puo’ ritenersi esaurito il rapporto contrattuale
e superata la ragione della deroga.
Il Tribunale rileva come, in questo contesto normativo, sia stato
introdotto l’art. 26, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109
(Legge quadro in materia di lavori pubblici), ai sensi del quale «Le
disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52 , sono estese
ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti
di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da
contratti di progettazione nell’ambito della realizzazione di lavori
pubblici».
Il decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n.
554 (Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di
lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni)
disponeva: «Ai sensi dell’articolo 26, comma 5, della legge, le
cessioni di crediti vantati nei confronti delle amministrazioni
pubbliche a titolo di corrispettivo di appalto possono essere
effettuate dagli appaltatori a banche o intermediari finanziari
disciplinati dalle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui
oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attivita’ di acquisto di
crediti di impresa.
La cessione deve essere stipulata mediante atto pubblico o
scrittura privata autenticata e deve essere notificata
all’amministrazione debitrice.
La cessione del credito da corrispettivo di appalto e’ efficace
ed opponibile alla pubblica amministrazione qualora questa non la
rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario
entro quindici giorni dalla notifica di cui al comma 2.
L’amministrazione pubblica, al momento della stipula del
contratto o contestualmente, puo’ preventivamente riconoscere la
cessione da parte dell’appaltatore di tutti o di parte dei crediti
che devono venire a maturazione.
In ogni caso, l’amministrazione ceduta puo’ opporre al
cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al
contratto di appalto».
Il giudice a quo rileva come la disciplina risultante dalla legge
e dal regolamento sia stata sostanzialmente integrata nel decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), peraltro ritenuto non applicabile al caso
di specie in quanto successivo all’avvenuta cessione di credito.
Il Tribunale sottolinea che la giurisprudenza di legittimita’,
coordinando l’innovativa disciplina dettata a partire dal 1994 in
materia di appalti pubblici con quella gia’ in vigore, ha concluso
nel senso che l’estensione ai crediti vantati nei confronti delle
pubbliche amministrazioni (derivanti da contratti di appalto di
lavori pubblici) delle previsioni della legge 21 febbraio 1991, n. 52
(Disciplina della cessione dei crediti di impresa), derogatorie
rispetto alla disciplina comune prevista dal codice civile ed
applicabili a condizione che il cessionario sia una banca o un
intermediario finanziario, non avrebbe significato l’abrogazione
delle norme speciali che regolavano in precedenza la cessione dei
crediti nei confronti della pubblica amministrazione. Pertanto,
continuerebbe ad essere applicabile la normativa speciale di cui
all’art. 9, allegato E, della legge n. 2248 del 1865, nonche’,
trattandosi di contratto della pubblica amministrazione, quella di
cui agli artt. 69 e 70 del r.d. n. 2440 del 1923 (Cassazione, sezione
prima civile, sentenza 24 settembre 2007, n. 19571).
Il giudice a quo, schematizzando quanto sopra enunciato, precisa
che, in ragione delle norme di diritto privato speciale applicabili
all’amministrazione pubblica, si possono avere le seguenti ipotesi:
1) cessione a soggetto non qualificato, ai sensi della legge n. 52
del 1991, di crediti vantati nei confronti della pubblica
amministrazione, derivanti da contratti non relativi a
"somministrazioni, forniture ed appalti" ovvero, pur rientranti in
tale categoria, non piu’ in corso di esecuzione: la cessione, ai
sensi dell’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, ha efficacia quando,
redatta in forma solenne, e’ notificata all’amministrazione centrale
ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il
pagamento; 2) cessione a soggetto non qualificato, ai sensi della
legge n. 52 del 1991, di crediti vantati nei confronti della pubblica
amministrazione derivanti da contratti relativi a "somministrazioni,
forniture ed appalti" ancora in corso di esecuzione: la cessione, ai
sensi dell’art. 70 del r.d. n. 2240 del 1923 e dell’art. 9, allegato
E della legge n. 2248 del 1865, ha efficacia solo a seguito
dell’accettazione da parte dell’amministrazione pubblica; 3) cessione
a soggetto qualificato, ai sensi della legge n. 52 del 1991, di
crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione
derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori: la cessione,
ai sensi dell’art. 117 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha efficacia se e’
stata preventivamente accettata dall’amministrazione nel contratto di
appalto o in altro atto separato e contestuale ovvero, se stipulata
in forma solenne e notificata all’amministrazione, non sia da questa
rifiutata nel termine normativamente previsto; 4) cessione a soggetto
qualificato, ai sensi della legge n. 52 del 1991, di crediti vantati
nei confronti della pubblica amministrazione non derivanti da
contratti di servizi, forniture e lavori: e’ applicabile la
disciplina di cui all’art. 69 del r.d. n. 2240 del 1923, per cui la
cessione redatta in forma solenne deve essere semplicemente
notificata all’amministrazione.
Il rimettente osserva che la norma regionale censurata deroga al
complesso normativo delineato, "appiattendo" l’articolata
regolamentazione di diritto privato speciale. Infatti, ai sensi della
detta norma, le cessioni dei crediti, qualunque sia la loro origine,
in ogni tempo ed indipendentemente dalla natura del cessionario, non
risultano opponibili all’amministrazione regionale se non accettate
da questa per il tramite del dirigente del competente settore e
sempre che la spesa non sia stata gia’ liquidata.
Il Tribunale ritiene rilevante la questione, dato che, nella
fattispecie concreta devoluta alla sua cognizione, la cessione del
credito a soggetto non qualificato, ai sensi della legge n. 52 del
1991, in mancanza della censurata norma regionale derogatoria,
sarebbe stata certamente opponibile alla Regione Calabria, in quanto
– pur essendo il credito relativo ad opere pubbliche – i sottostanti
rapporti negoziali erano esauriti al momento della cessione, peraltro
regolarmente notificata all’amministrazione regionale.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo dubita
della legittimita’ costituzionale dell’art. 46 della legge della
Regione Calabria n. 8 del 2002, in riferimento all’evocato parametro
costituzionale.
Il rimettente richiama una serie di pronunce della Corte
costituzionale, nelle quali si e’ precisato che e’ sottratta alla
potesta’ legislativa regionale l’emanazione di norme di diritto
privato (cosi’ intendendosi le norme oggetto di codificazione, ma
anche le norme extravagantes regolanti i rapporti tra le parti che si
pongano su un piano paritario) e, in particolare, di regole inerenti
alla disciplina dei contratti, delle obbligazioni, della proprieta’
intellettuale e delle garanzie patrimoniali.
Alla luce di tale giurisprudenza, il giudicante sottolinea come
il censurato art. 46 della legge della Regione Calabria n. 8 del 2002
– al contrario di quanto sostenuto, nel giudizio a quo, dalla difesa
regionale – pone una regola che non si riferisce alla materia
dell’ordinamento contabile della Regione, ovvero alla «gestione
finanziaria ed economica della Regione» (art. 1, comma 2, della
medesima legge regionale n. 8 del 2002), ma incide direttamente
sull’efficacia della cessione dei crediti verso l’amministrazione ed
e’, pertanto, volta a disciplinare i rapporti privatistici.
Il rimettente esclude che, attraverso un’interpretazione
adeguatrice e costituzionalmente orientata, la norma censurata possa
essere diversamente intesa, attribuendole un significato tale che
essa non vada ad esplicare effetti sull’ordinamento civile, ma su
ambiti diversi.
Infine, il giudice a quo sottolinea la legittimazione del giudice
comune a sollevare la questione di legittimita’ costituzionale anche
in relazione al parametro costituzionale che disciplina il riparto
delle competenze legislative tra Stato e Regioni, benche’ il Governo
non abbia proposto detta questione in via principale, ai sensi
dell’art. 127, primo comma, Cost. (sul punto, e’ richiamata la
sentenza n. 370 del 2008).

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale ordinario di Catanzaro, in composizione
monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in
riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera l) della
Costituzione, della legittimita’ costituzionale dell’articolo 46
della legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8 (Ordinamento
del bilancio e della contabilita’ della Regione Calabria), il quale
disciplina le cessioni di credito.
Ad avviso del rimettente, detta disposizione violerebbe l’evocato
parametro, nella materia dell’ordinamento civile, riservata alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Infatti – premesso che e’ sottratta alla potesta’ legislativa
regionale la emanazione di norme di diritto privato e, in
particolare, di regole inerenti alla disciplina dei contratti, delle
obbligazioni e delle garanzie patrimoniali – la disposizione
censurata, nel disporre che non hanno effetto nei confronti della
Regione Calabria le cessioni di credito che non siano accettate,
prima della liquidazione della correlata spesa, dal dirigente della
struttura regionale competente, verrebbe ad incidere in via diretta,
"appiattendo" l’articolata regolamentazione del cosiddetto diritto
privato speciale, sull’efficacia della cessione dei crediti vantati
nei confronti della pubblica amministrazione e, pertanto, sulla
disciplina dei rapporti privatistici, sottratti alla potesta’
legislativa regionale.
2.- In via preliminare, si deve osservare che, come il rimettente
rileva, la causa di opposizione a decreto ingiuntivo e’ stata
iscritta a ruolo sette giorni dopo la notificazione del relativo
atto. Il Tribunale, pero’, «ritiene che essa non sia improcedibile
(secondo quanto invece ritenuto in un obiter dictum da Cassazione
civile, sezioni unite, 9 settembre 2010, n. 19246), nel qual caso si
porrebbe nell’oblio dell’irrilevanza la questione che quivi si
solleva. Infatti, la posizione della Suprema Corte – non vincolante –
non appare condivisibile [in tal senso, nella giurisprudenza di
questa Autorita’ giudiziaria: Tribunale di Catanzaro, sezione seconda
civile, ordinanza del 4 novembre 2010 (…)] e, comunque, tale da non
comportare un giudizio di tardivita’ della costituzione della parte
opponente che confidava sul precedente, costante orientamento
giurisprudenziale per il quale il termine di iscrizione a ruolo,
nell’ipotesi di concessione all’opposto di termini a comparire non
inferiori a quelli ordinari, era di dieci giorni (sull’overruling
della giurisprudenza di legittimita’ e sulla non imputabilita’ degli
errori di diritto commessi sulla base dell’orientamento smentito cfr.
Cass. civ., Sez. II, 17 giugno 2010 n. 14627)».
Al riguardo, va rilevato che, in epoca successiva all’ordinanza
di rimessione, e’ entrata in vigore, in data 20 gennaio 2012, la
legge 29 dicembre 2011, n. 218 (Modifica dell’articolo 645 e
interpretazione autentica dell’articolo 165 del codice di procedura
civile in materia di opposizione a decreto ingiuntivo). In
particolare, l’art. 1 della citata legge, intitolato «Modifica
all’articolo 645 del codice di procedura civile», ha disposto la
soppressione nel secondo comma di detta norma delle parole «ma i
termini di comparizione sono ridotti a meta’». Inoltre, l’art. 2
della legge medesima, recante «Disposizione transitoria», ha previsto
che «Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della
presente legge, l’art. 165, primo comma, del codice di procedura
civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di
costituzione dell’attore ivi prevista si applica, nel caso di
opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l’opponente abbia assegnato
all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui
all’articolo 163-bis, primo comma, del medesimo codice».
Nel caso in esame, il giudizio a quo era certamente pendente alla
data di entrata in vigore della citata legge, mentre, come si desume
dall’ordinanza di rimessione, all’opposto erano stati concessi
termini a comparire non inferiori a quelli ordinari. Ne deriva che al
detto giudizio e’ applicabile la normativa sopravvenuta, sicche’ il
profilo messo in luce dal rimettente non ha piu’ ragion d’essere.
3.- Nel merito, la questione e’ fondata.
La disposizione censurata, sotto la rubrica «Cessioni di
credito», stabilisce che: «Le cessioni di credito hanno effetto nei
confronti della Regione qualora siano alla stessa notificate presso
la sede legale ed accettate con provvedimento del dirigente della
struttura regionale competente, prima della liquidazione della
correlata spesa».
Al riguardo, si deve osservare che la cessione dei crediti e’ un
istituto proprio del diritto civile e trova la sua prima fonte di
disciplina nel relativo codice (artt. da 1260 a 1267). Essa rientra
nel novero delle modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio
dal lato attivo e risponde all’esigenza di regolare le fattispecie
nelle quali si debba trasferire non una cosa ma un diritto di
credito. Dalla stessa esigenza e’ nata la possibilita’ di incorporare
il credito in un documento, attuando la cessione con la semplice
dazione del documento stesso: e’ il caso dei titoli di credito e,
segnatamente, della cambiale.
In particolare, l’art. 1260, primo comma, cod. civ., dispone che
«Il creditore puo’ trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo
credito, anche senza il consenso del debitore, purche’ il credito non
abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia
vietato dalla legge». L’art. 1264, primo comma, cod. civ. stabilisce
che «La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando
questi l’ha accettata o quando gli e’ stata notificata».
A fianco della citata disciplina generale del codice,
l’ordinamento civile prevede varie normative speciali, dirette a
regolare determinate categorie di crediti. Si possono ricordare,
oltre al settore dei titoli di credito cui dianzi si e’ fatto cenno,
i crediti d’impresa per i quali la cessione e’ disciplinata dalla
legge 21 febbraio 1991, n. 52 (Disciplina della cessione dei crediti
di impresa), le cui disposizioni sono richiamate dall’art. 117 del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e l’articolata regolamentazione
statale della cessione dei crediti vantati nei confronti della
pubblica amministrazione (richiamata nell’ordinanza di rimessione e
in narrativa).
Con riferimento a tale ultima categoria di crediti, si deve
sottolineare che le loro caratteristiche peculiari non giovano a
sottrarli alla materia dell’ordinamento civile. Tali caratteristiche,
infatti, attengono alla necessita’ di particolari requisiti di forma,
oppure a talune deroghe alla disciplina stabilita dalle norme del
codice civile, ma non incidono sullo schema legale della cessione e,
soprattutto, non fanno venir meno la natura negoziale di essa.
Orbene, questa Corte ha piu’ volte affermato che l’ordinamento
del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale,
in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale
di eguaglianza, di garantire sul territorio nazionale l’uniformita’
della disciplina dettata per i rapporti tra privati. Il limite
dell’ordinamento civile, quindi, identifica un’area riservata alla
competenza esclusiva della legislazione statale e comprende i
rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione (ex plurimis:
sentenze n. 123 del 2010, n. 295 e n. 160 del 2009, n. 326 e n. 51
del 2008).
La disposizione censurata, introducendo – per le cessioni di
credito vantate nei confronti della Regione Calabria – una apposita
disciplina, supera il suddetto limite dell’ordinamento civile e,
quindi, viola l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Di essa, pertanto, va dichiarata l’illegittimita’ costituzionale.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 46 della
legge della Regione Calabria 4 febbraio 2002, n. 8 (Ordinamento del
bilancio e della contabilita’ della Regione Calabria).
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.

F.to:
Franco GALLO, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2013.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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