Corte Costituzionale sentenza N. 135 SENTENZA 3 – 7 giugno 2013

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito del provvedimento del Ministro della giustizia del 14
luglio 2011, protocollo numero GDAP-0254681-2011, con il quale e’
stato disposto di non dare esecuzione all’ordinanza del Magistrato di
sorveglianza di Roma del 9 maggio 2011, n. 3031, promosso dallo
stesso Magistrato di sorveglianza di Roma con ricorso notificato il 3
aprile 2012, depositato in cancelleria il 23 aprile 2012 ed iscritto
al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di
merito.
Udito nell’udienza pubblica del 7 maggio 2013 il Presidente
Franco Gallo, in luogo e con l’assenso del Giudice relatore Gaetano
Silvestri.

Ritenuto in fatto

1.- Il Magistrato di sorveglianza di Roma, con ricorso dell’11
novembre 2011, depositato il 14 novembre successivo, ha promosso
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del
«Governo della Repubblica, nelle persone del Presidente del Consiglio
dei ministri e del Ministro della giustizia», al fine di sentir
dichiarare che – ai sensi degli articoli 2, 3, 24, 110 e 113 della
Costituzione – non spetta al Ministro della giustizia e ad alcun
organo di Governo disporre che non venga data esecuzione ad un
provvedimento del magistrato di sorveglianza, assunto a norma degli
artt. 14-ter, 35 e 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta’), con il quale sia stato
dichiarato, in via definitiva, che un determinato comportamento
dell’Amministrazione penitenziaria e’ lesivo di un diritto in danno
del detenuto reclamante.
1.1.- Il ricorrente premette in fatto che, con provvedimento del
29 ottobre 2010, il competente Direttore generale del Ministero della
giustizia aveva disposto che venisse preclusa nella Casa
circondariale Rebibbia di Roma, per tutti i detenuti sottoposti a
regime di sospensione delle regole trattamentali (art. 41-bis ord.
pen.), la visione dei programmi irradiati dalle emittenti «Rai Sport»
e «Rai Storia». Al provvedimento era stata data immediata esecuzione.
Uno dei detenuti interessati aveva proposto, a norma degli artt.
35 e 69 ord. pen., un reclamo innanzi al magistrato di sorveglianza,
prospettando l’intervenuta lesione del proprio diritto soggettivo
all’informazione. Il giudice investito del reclamo, dopo aver
condotto il procedimento regolato dall’art. 14-ter ord. pen., aveva
provveduto con ordinanza del 9 maggio 2011, stabilendo che
l’oscuramento delle emissioni di «Rai Sport» e di «Rai Storia» aveva
leso, in effetti, un diritto soggettivo del detenuto reclamante. Lo
stesso giudice, di conseguenza, aveva annullato il provvedimento
assunto dall’Amministrazione penitenziaria, ordinando il ripristino
della possibilita’, per l’interessato, di assistere ai programmi
trasmessi dalle emittenti indicate.
In particolare, il Magistrato di sorveglianza aveva affermato
sussistere uno specifico diritto soggettivo dei detenuti ad essere
informati, promanante dall’art. 21 Cost. ed esplicitamente tutelato
dagli artt. 18 e 18-ter ord. pen. L’esercizio di tale diritto
potrebbe essere oggetto di particolari restrizioni, nei confronti dei
detenuti sottoposti a sospensione delle regole trattamentali, solo
nei limiti fissati al comma 2-quater, lettera a), dell’art. 41-bis
ord. pen., cioe’ allo scopo di prevenire contatti tra il detenuto ed
i membri delle organizzazioni criminali di riferimento. Nel caso di
specie, il giudice del reclamo non aveva accertato alcun nesso
concreto tra l’oscuramento del segnale delle due emittenti Rai e
l’esigenza di impedire che, attraverso la trasmissione in video di
brevi messaggi scritti provenienti dagli spettatori, giungessero ai
detenuti indebite comunicazioni. Cio’ anche in considerazione del
fatto che era rimasta libera, comunque, la ricezione dei programmi di
altre sette reti nazionali, mentre le trasmissioni di una ulteriore
emittente, effettivamente adusa alla riproduzione in video dei
messaggi inviati dal pubblico televisivo, erano gia’ state «oscurate»
con un precedente provvedimento, ritenuto legittimo dall’autorita’
giudiziaria.
Il ricorrente aggiunge che l’ordinanza del Magistrato di
sorveglianza era stata comunicata ritualmente all’Amministrazione
penitenziaria, la quale non aveva proposto la pur consentita
impugnazione.
1.2.- Il Magistrato di sorveglianza di Roma prosegue informando
d’essere stato investito, in data 1° luglio 2011, di un ulteriore
reclamo del detenuto che aveva promosso il precedente procedimento,
dal quale si apprendeva che l’Amministrazione penitenziaria non aveva
riattivato il segnale di «Rai Sport» e di «Rai Storia».
La conseguente istruttoria ha posto in luce come il Ministro
della giustizia, su proposta del Capo del Dipartimento
dell’Amministrazione penitenziaria, avesse disposto, con decreto del
14 luglio 2011, la «non esecuzione» del provvedimento giudiziale
adottato in esito al primo reclamo.
In queste condizioni il Magistrato di sorveglianza non sarebbe in
grado di assicurare effettiva tutela al diritto soggettivo la cui
lesione e’ gia’ stata accertata e dichiarata con l’ordinanza che il
Ministro della giustizia ha espressamente disposto di non eseguire.
Sarebbe dunque inevitabile, secondo il ricorrente, che venga
dichiarato che non spetta al Ministro e ad alcun organo del Governo
di stabilire se debba o non essere data esecuzione ad un
provvedimento assunto dal magistrato di sorveglianza, quale giudice
della tutela dei diritti soggettivi dei detenuti. Cio’ anche al fine
di procedere, da parte della Corte costituzionale, all’annullamento
del citato provvedimento ministeriale del 14 luglio 2011.
1.3.- Il ricorrente, in particolare, prospetta una lesione per
menomazione delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute al
potere giudiziario, avuto riguardo alla magistratura di sorveglianza
quale titolare della giurisdizione in materia di diritti dei detenuti
e di eventuali loro violazioni ad opera dell’Amministrazione
penitenziaria.
La rilevanza costituzionale della specifica attribuzione sarebbe
dimostrata, con immediatezza, dal fatto che la tutela in questione
non e’ regolata da norme positive, ma costituisce il frutto di una
«necessita’» individuata dalla Corte costituzionale, sul piano
generale, con la sentenza n. 26 del 1999, e poi specificamente
assicurata, mediante il procedimento per reclamo, in seguito ad una
decisione delle Sezioni unite penali della Corte di cassazione
(sentenza n. 25079 del 2003) e ad una successiva pronuncia della
stessa Corte costituzionale (sentenza n. 266 del 2009).
L’indicata attribuzione, che si connette al disposto degli artt.
2, 3, 24 e 113 Cost., sarebbe pregiudicata dal provvedimento
ministeriale di «non esecuzione» del deliberato del Magistrato di
sorveglianza di Roma, che pure espressamente accerta la lesione di un
diritto soggettivo in capo al detenuto reclamante. La tutela
giurisdizionale dei diritti delle persone ristrette in carcere,
costituzionalmente necessaria, sarebbe priva di effettivita’, ove si
riconoscesse all’Amministrazione la possibilita’ di decidere
discrezionalmente se dare esecuzione o non ai provvedimenti del
magistrato. Dunque il decreto del Ministro della giustizia,
implicando un’omissione tale da menomare le attribuzioni del potere
confliggente, dovrebbe essere annullato (sono citate le ordinanze n.
228 e n. 229 del 1975, n. 354 del 2005, e la sentenza n. 132 del
1993).
In sostanza, secondo il ricorrente, l’atto impugnato implica una
situazione ordinamentale, dal punto di vista della giurisdizione di
tutela dei diritti dei detenuti, equivalente a quella in essere prima
della pronuncia della Corte costituzionale n. 26 del 1999. Il
provvedimento del magistrato di sorveglianza sarebbe degradato a mera
sollecitazione rivolta verso l’Amministrazione, in specifico
contrasto con gli approdi piu’ recenti della stessa giurisprudenza
costituzionale, la quale avrebbe accreditato un’interpretazione del
comma 5 dell’art. 69 ord. pen. nel senso che i provvedimenti
giudiziali devono essere eseguiti dall’Autorita’ penitenziaria (e’
citata la sentenza n. 266 del 2009).
1.4.- Il Magistrato di sorveglianza considera anche, nel proprio
ricorso, il supporto motivazionale del provvedimento impugnato
(costituito da un atto del Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria, asseverato dal Ministro), ove si assume: che
l’Autorita’ penitenziaria potrebbe limitare i diritti dei detenuti
sottoposti allo speciale regime di cui all’art. 41-bis ord. pen.,
compreso il diritto all’informazione; che l’oscuramento del segnale
di alcune emittenti televisive era stato disposto dopo aver
riscontrato che, nel corso delle relative trasmissioni, «venivano
trasmessi sms del pubblico»; che, d’altra parte, l’ottemperanza al
provvedimento del magistrato avrebbe implicato l’accesso illimitato a
qualunque canale digitale per tutti i detenuti della Casa
circondariale.
Il ricorrente osserva, in primo luogo, che gli argomenti evocati
nell’atto erano gia’ stati valutati e respinti nel procedimento poi
concluso con l’ordine di ripristinare la visione dei canali «Rai
Sport» e «Rai Storia», sulla considerazione, tra l’altro, che nessuna
prova era emersa circa la trasmissione di messaggi provenienti dal
pubblico ad opera delle emittenti indicate (e che la circostanza era
stata verificata, semmai, quanto ai programmi di «Rai Due», mai
«filtrati» dall’Amministrazione).
Le difficolta’ tecniche genericamente addotte per l’esecuzione
del provvedimento non sussisterebbero, e sarebbe d’altra parte
inaccettabile, a parere del ricorrente, l’argomento per il quale il
reclamante avrebbe ottenuto, in caso di adempimento, un trattamento
migliore di quello riservato agli altri detenuti in analoga
condizione: una pari situazione di offesa per i diritti fondamentali
non puo’ legittimare il protrarsi della lesione nei confronti dei
singoli che la facciano valere, e spetta semmai all’Amministrazione
riconoscere l’illegittimita’ del proprio agire con un provvedimento a
carattere generale.
Il rimettente ricorda, anche in questo passaggio, che
l’Amministrazione non si era avvalsa, al momento opportuno, della
possibilita’ di impugnare l’ordinanza giudiziale mediante ricorso per
cassazione, determinandone cosi’ il carattere di pronuncia definitiva
sulla regiudicanda. Il carattere reiterativo, incongruo e infondato
delle argomentazioni mirate a giustificare l’inottemperanza darebbe
conferma della mera volonta’ dell’Amministrazione di disconoscere la
forza cogente dei provvedimenti assunti dalla magistratura di
sorveglianza a tutela dei diritti dei detenuti.
1.5.- Tutto cio’ premesso, il giudice ricorrente chiede sia
dichiarato che non spetta al Ministro della giustizia non ottemperare
ad un provvedimento dato dall’Autorita’ giudiziaria competente, posta
la pertinenza di questo ad un procedimento giurisdizionale, deputato
alla difesa di diritti soggettivi della persona, affidato in primo
grado al magistrato di sorveglianza ed in grado di legittimita’ alla
Corte di cassazione. Chiede di conseguenza l’annullamento del decreto
ministeriale posto ad oggetto del ricorso.
2.- Con ordinanza n. 46 del 2012, la Corte costituzionale ha
dichiarato ammissibile il presente conflitto di attribuzione tra
poteri, riconoscendo la legittimazione passiva del solo Ministro
della giustizia. Hanno fatto seguito la rituale notifica del
provvedimento e del ricorso al citato Ministro, ed il tempestivo
deposito degli atti, presso la cancelleria della stessa Corte, a cura
del Magistrato ricorrente.
Il Ministro della giustizia non si e’ costituito nel giudizio.
3.- Il ricorrente ha depositato, in data 27 marzo 2013, una
memoria illustrativa con allegata copia di due atti, pertinenti alla
vicenda dalla quale e’ scaturito il conflitto.
3.1.- Si tratta, in primo luogo, della circolare del 31 gennaio
2012 con la quale il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria
ha disposto che fosse assicurata, per tutti i detenuti sottoposti al
regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., la visione dei programmi
irradiati con segnale digitale da una serie di emittenti televisive,
tra le quali «Rai Sport» e «Rai Storia».
In secondo luogo, e’ prodotta la nota dell’11 giugno 2012 con la
quale la Direzione della Casa circondariale Rebibbia N.C. ha
comunicato al Magistrato di sorveglianza di Roma d’avere dato
esecuzione alle nuove disposizioni ministeriali, includendo le
emittenti citate tra quelle i cui programmi sono fruibili dai
detenuti in regime di sospensione delle regole trattamentali.
3.2.- Cio’ premesso, il Magistrato di sorveglianza di Roma
insiste per l’accoglimento del proprio ricorso, escludendo in
particolare che possa considerarsi cessata la materia del contendere.
Secondo il ricorrente, la giurisprudenza costituzionale ha
costantemente affermato che l’indicata cessazione si verifica solo
quando l’atto impugnato perda la propria efficacia ex tunc, e non
resti controvertibile l’appartenenza del potere contestato (sono
citate le sentenze della Corte costituzionale n. 74 del 1960, n. 3
del 1962, n. 150 del 1981 e n. 49 del 1998). In particolare – si
osserva – la cessazione e’ stata dichiarata quando lo stesso potere
confliggente ha riconosciuto la spettanza alla controparte del potere
contestato (sentenza n. 469 del 1999), o quando e’ venuta meno la
prerogativa sul cui esercizio era fondata la materia del contendere
(sentenze nn. 462 e 463 del 1993, relative all’intervenuta modifica,
nelle more dei giudizi, dell’art. 68 Cost., nella parte relativa alla
prescritta autorizzazione a procedere nei confronti dei
parlamentari).
Nel caso di specie, l’Amministrazione si sarebbe limitata a
modificare un proprio precedente provvedimento, non intervenendo in
alcun modo sul decreto del Ministro posto ad oggetto
dell’impugnazione, e senza alcuna ammissione, neppure implicita, che
non spettava al Ministro medesimo disporre che non fosse data
esecuzione al provvedimento giudiziale. D’altra parte, gli effetti
dell’atto lesivo si sarebbero esauriti, ma non con efficacia ex tunc,
essendo rimasta lungamente preclusa, per il detenuto interessato, la
visione dei programmi televisivi di suo interesse.
3.3.- Ribadendo i propri argomenti circa il merito del conflitto,
il Magistrato di sorveglianza di Roma segnala la recente pronuncia
resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in data 8 gennaio
2013, nella procedura Torreggiani v. Italia.
Si osserva, in primo luogo, come il Governo italiano,
nell’intento di documentare l’esistenza nell’ordinamento interno di
uno strumento efficace di tutela dei diritti dei detenuti, abbia
sostenuto innanzi alla Corte europea che la procedura di reclamo
disciplinata dagli artt. 35 e 69 ord. pen. consentirebbe di ottenere
«decisioni vincolanti e suscettibili di riparare eventuali violazioni
dei diritti dei detenuti». In particolare la Corte, motivando il
proprio provvedimento, ha rilevato che «secondo il Governo, il
procedimento davanti al magistrato di sorveglianza costituisce un
rimedio pienamente giudiziario, all’esito del quale l’autorita’ adita
puo’ prescrivere all’amministrazione penitenziaria misure
obbligatorie volte a migliorare le condizioni detentive della persona
interessata».
Per un verso, dunque, lo stesso potere confliggente avrebbe
(altrove) riconosciuto il fondamento della pretesa fatta valere nel
presente giudizio. Per altro verso, la Corte europea avrebbe
constatato che il carattere di effettivita’ della procedura di
reclamo e’ pregiudicato da inottemperanze dell’Autorita’
amministrativa, la quale, nel caso sottoposto al suo giudizio, non ha
dato esecuzione al provvedimento del Magistrato di sorveglianza
concernente il ricorrente, tanto che sarebbe stato ingiunto allo
Stato italiano di apprestare «senza indugio un ricorso che abbia
effetti preventivi e compensativi, volti a garantire una effettiva
riparazione delle violazioni della Convenzione».

Considerato in diritto

1.- Il Magistrato di sorveglianza di Roma ha promosso conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del «Governo
della Repubblica, nelle persone del Presidente del Consiglio dei
ministri e del Ministro della giustizia», al fine di sentir
dichiarare che – ai sensi degli articoli 2, 3, 24, 110 e 113 della
Costituzione – non spetta al Ministro della giustizia e ad alcun
organo di Governo disporre che non venga data esecuzione ad un
provvedimento del magistrato di sorveglianza, assunto a norma degli
artt. 14-ter, 35 e 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta’), con il quale sia stato
dichiarato, in via definitiva, che un determinato comportamento
dell’Amministrazione penitenziaria e’ lesivo di un diritto in danno
del detenuto reclamante.
Oggetto del ricorso e’ un provvedimento assunto dal Ministro
della giustizia, in data 14 luglio 2011, con il quale era stato
disposto che non fosse data esecuzione ad una ordinanza del
Magistrato di sorveglianza di Roma deliberata il 9 maggio 2011, e non
impugnata dall’Amministrazione penitenziaria.
La decisione giudiziale aveva accolto il reclamo di un detenuto,
con cui si denunciava l’asserita illegittimita’ di un provvedimento
che aveva precluso, riguardo alle persone soggette al regime di cui
all’art. 41-bis ord. pen., la possibilita’ di assistere a programmi
televisivi trasmessi dalle emittenti «Rai Sport» e «Rai Storia». Il
Magistrato di sorveglianza, con riferimento alle due emittenti in
questione, aveva ritenuto ingiustificato il provvedimento assunto
dall’Amministrazione, mancando la prova dell’esigenza di cautela che
avrebbe dovuto giustificarlo (cioe’ la trasmissione, nel corso dei
programmi televisivi, di messaggi scritti inviati dal pubblico, con
la possibilita’ che si trattasse di comunicazioni dirette ai detenuti
in regime speciale di reclusione). Per altro verso, il giudice del
reclamo aveva ritenuto che il provvedimento implicasse una
compressione – illegittima per le ragioni appena indicate – del pieno
esercizio di un diritto soggettivo, cioe’ quello all’informazione,
presidiato dall’art. 21 Cost. e ribadito dagli artt. 18 e 18-bis ord.
pen.
Per quanto non avesse impugnato l’ordinanza giudiziale, il
Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria aveva proposto al
Ministro di non dare esecuzione all’ordine di ripristinare il segnale
televisivo fruibile dal reclamante, sulla base di argomenti critici
circa il merito della decisione, ed in tal senso il Ministro aveva
disposto.
Secondo il ricorrente, il decreto impugnato postula in capo al
Ministro della giustizia ed all’Amministrazione penitenziaria il
potere di non dare corso alla decisioni assunte dal magistrato di
sorveglianza a tutela dei diritti soggettivi dei detenuti.
L’attribuzione di tale potere, tuttavia, priverebbe la tutela
giudiziale dei diritti di ogni effettivita’, in contrasto con i
parametri costituzionali sopra indicati. Questa Corte viene dunque
richiesta di dichiarare che l’inottemperanza dei provvedimenti
giudiziali concernenti i diritti dei detenuti menoma le attribuzioni
costituzionali del potere giudiziario, e di annullare, per l’effetto,
il decreto ministeriale in questione.
2.- Il presente conflitto e’ stato dichiarato ammissibile con
ordinanza n. 46 del 2012, individuando il soggetto passivo nel solo
Ministro della Giustizia. Tale giudizio va integralmente confermato
in questa sede, sussistendo in particolare la legittimazione passiva
del citato Ministro in forza delle attribuzioni direttamente
conferitegli dall’art. 110 Cost. in materia di organizzazione e
funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, tra i quali sono
compresi i servizi pertinenti all’esecuzione delle misure e delle
pene detentive (tra le altre, sentenza n. 383 del 1993). Proprio in
rapporto all’indicata e diretta legittimazione del Ministro della
giustizia, d’altra parte, questa Corte ha ritenuto insussistente la
legittimazione, prospettata dal ricorrente in via di subordine, del
Presidente del Consiglio dei ministri, quale organo deputato ad
esprimere la volonta’ dell’intero Governo, relativamente ad
attribuzioni non altrimenti assegnate in via esclusiva (sentenza n.
379 del 1992).
3.- Per iniziativa dello stesso ricorrente, che ha prodotto la
relativa documentazione con una memoria depositata il 27 marzo 2013,
si e’ appreso che il competente Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria ha revocato, in data 31 gennaio 2012, la disposizione
che imponeva l’oscuramento del segnale irradiato dalle emittenti «Rai
Storia» e «Rai Sport», e che la Direzione della Casa circondariale
Rebibbia di Roma ha dato notizia al Magistrato di sorveglianza, l’11
giugno successivo, dell’intervenuta esecuzione del provvedimento.
Puo’ quindi presumersi che il detenuto il quale aveva promosso il
procedimento per reclamo, poi definito con l’ordinanza giudiziale cui
si riferisce il provvedimento impugnato, abbia recuperato, di fatto,
la possibilita’ di esercitare pienamente il suo diritto.
Deve escludersi, nondimeno, che sia cessata la materia del
contendere.
La revoca del provvedimento oggetto del reclamo proposto dal
detenuto sottoposto al regime previsto dall’art. 41-bis ord. pen. non
ha efficacia ex tunc e non e’ stata neppure accompagnata da una
dichiarazione, del Ministro della giustizia, di riconoscimento
dell’efficacia vincolante dei provvedimenti del magistrato di
sorveglianza, che decide sui reclami proposti dai detenuti per
asserite violazioni dei loro diritti da parte dell’Amministrazione
penitenziaria.
Dalle suddette circostanze si deve dedurre la conseguenza che
sussiste ancora «un interesse all’accertamento, il quale trae origine
dall’esigenza di porre fine […] ad una situazione di incertezza in
ordine al riparto costituzionale delle attribuzioni» (ex plurimis,
sentenza n. 9 del 2013, in conformita’ al costante indirizzo
giurisprudenziale di questa Corte).
4.- Nel merito, il ricorso e’ fondato.
4.1.- L’art. 35 ord. pen. disciplina in generale il diritto dei
detenuti e degli internati di proporre reclamo ad una serie di
autorita’, tra cui il magistrato di sorveglianza (n. 2); l’art. 69,
comma 6, ord. pen. stabilisce che sui reclami il suddetto magistrato
«decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la
procedura di cui all’art. 14-ter»; quest’ultima disposizione (comma
3) prescrive che il procedimento si svolga con la partecipazione del
difensore e del pubblico ministero, mentre l’interessato e
l’amministrazione penitenziaria possono presentare memorie.
Questa Corte si e’ ripetutamente pronunciata sulla necessita’,
costituzionalmente garantita, che vi sia una tutela giurisdizionale
nei confronti degli atti dell’Amministrazione penitenziaria ritenuti
lesivi dei diritti dei detenuti (sentenze n. 26 del 1999 e n. 526 del
2000). Quando il reclamo diretto al magistrato di sorveglianza
riguarda la pretesa lesione di un diritto, e non si risolve in una
semplice doglianza su aspetti generali o particolari
dell’organizzazione e del funzionamento dell’istituto penitenziario,
il procedimento che si instaura davanti al suddetto magistrato assume
natura giurisdizionale, giacche’ «non v’e’ posizione giuridica
tutelata di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice davanti
al quale essa possa essere fatta valere» (sentenza n. 212 del 1997).
Se il procedimento e la conseguente decisione del magistrato di
sorveglianza si configurano come esercizio della funzione
giurisdizionale, in quanto destinati ad assicurare la tutela di
diritti, si impone la conclusione che quest’ultima sia effettiva e
non condizionata a valutazioni discrezionali di alcuna autorita’. In
tal senso si e’ espressa la Corte europea dei diritti dell’uomo, che
ha censurato la prassi italiana di non rendere «effettivo nella
pratica» il reclamo rivolto al magistrato di sorveglianza, ai sensi
degli artt. 35 e 69 ord. pen. (sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani
v. Italia). Del resto, anche il Governo italiano ha sostenuto,
davanti alla Corte di Strasburgo, che «il procedimento davanti al
magistrato di sorveglianza costituisce un rimedio pienamente
giudiziario, all’esito del quale l’autorita’ adita puo’ prescrivere
all’amministrazione penitenziaria misure obbligatorie volte a
migliorare le condizioni detentive della persona interessata» (punto
41 della sentenza sopra citata).
Si deve osservare in proposito che questa Corte aveva gia’
riconosciuto alle «disposizioni» adottate dal magistrato di
sorveglianza – in base all’art. 69, comma 5, ord. pen. – la natura di
«prescrizioni od ordini, il cui carattere vincolante per
l’amministrazione penitenziaria e’ intrinseco alle finalita’ di
tutela che la norma stessa persegue» (sentenza n. 266 del 2009). Il
reclamo assume pertanto «il carattere di rimedio generale»,
esperibile, anche da detenuti assoggettati a regimi di sorveglianza
particolare, «quale strumento di garanzia giurisdizionale» (sentenza
n. 190 del 2010).
Solo nel caso di coinvolgimento di terzi estranei
all’organizzazione carceraria – quali i datori di lavoro,
nell’ipotesi di insorgenza di controversie con detenuti-lavoratori –
il rimedio giurisdizionale di cui sopra non risulta idoneo, in quanto
estromette indebitamente una delle parti del rapporto sostanziale –
il datore di lavoro appunto – dal contraddittorio davanti al
magistrato di sorveglianza. Per tale ragione, e considerata
l’insussistenza di esigenze di sicurezza che impedissero
l’applicazione del rito del lavoro (che presenta specificita’ e
garanzie legate alla particolare natura dei soggetti e dei rapporti
coinvolti) anche alle controversie di cui sono parte i detenuti,
questa Corte ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’art.
69, sesto comma, lettera a), dell’ord. pen. (sentenza n. 341 del
2006).
4.2.- Alla luce delle norme e della giurisprudenza prima
ricordate, si deve trarre la conclusione generale che le decisioni
del magistrato di sorveglianza, rese su reclami proposti da detenuti
a tutela di propri diritti e secondo la procedura contenziosa di cui
all’art. 14-ter ord. pen., devono ricevere concreta applicazione e
non possono essere private di effetti pratici da provvedimenti
dell’Amministrazione penitenziaria o di altre autorita’.
5.- Nel caso oggetto del presente conflitto, il Magistrato di
sorveglianza di Roma, con ordinanza del 9 maggio 2011, aveva ordinato
all’Amministrazione penitenziaria (Casa circondariale Rebibbia di
Roma) il ripristino della possibilita’ per un detenuto – sottoposto
al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen. – di assistere ai
programmi trasmessi dalle emittenti televisive «Rai Sport» e «Rai
Storia», in quanto il relativo «oscuramento» aveva leso il diritto
soggettivo all’informazione del detenuto medesimo. Non solo
l’Amministrazione penitenziaria non aveva provveduto di fatto alla
riattivazione dei segnali provenienti dalle suddette emittenti
televisive, ma era intervenuto successivamente, in data 14 luglio
2011, un provvedimento del Ministro della giustizia – adottato su
conforme proposta del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria
– con cui si manifestava formalmente la volonta’ di «non ottemperare»
alla decisione del Magistrato di sorveglianza.
6. – Il confronto tra le conclusioni ricavabili dalle norme e
dalla giurisprudenza costituzionale prima richiamate e gli atti che
hanno dato origine al presente conflitto non puo’ che avere l’esito
di una dichiarazione di non spettanza al Ministro della giustizia del
potere di non dare esecuzione all’ordinanza del Magistrato di
sorveglianza di Roma del 9 maggio 2011. Nel caso di specie, infatti,
non viene in rilievo una doglianza su aspetti generali o particolari
dell’organizzazione penitenziaria, ma la lesione del diritto
fondamentale all’informazione, tutelato dall’art. 21 Cost., che il
giudice competente ha ritenuto ingiustificatamente compresso da un
provvedimento limitativo dell’Amministrazione penitenziaria.
L’estensione e la portata dei diritti dei detenuti puo’ infatti
subire restrizioni di vario genere unicamente in vista delle esigenze
di sicurezza inerenti alla custodia in carcere. In assenza di tali
esigenze, la limitazione acquisterebbe unicamente un valore
afflittivo supplementare rispetto alla privazione della liberta’
personale, non compatibile con l’art. 27, terzo comma, Cost.
Il Magistrato ha adottato la sua decisione dopo aver accertato
che non ricorrevano, nella fattispecie, le ragioni giustificative
delle speciali restrizioni previste dall’art. 41-bis, mirate a non
consentire contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o
di attuale riferimento. L’Amministrazione penitenziaria non ha
impugnato per cassazione l’ordinanza del giudice – come ad essa era
consentito dall’art. 69, comma 1, ord. pen. – ma ha preferito la via
della non applicazione ed ha proposto un diniego esplicito di
ottemperanza al Ministro della giustizia, ottenendo il suo assenso.
Essa ha conseguentemente vanificato un provvedimento di un giudice,
adottato nei limiti e con le forme previsti dall’ordinamento. La
menomazione delle attribuzioni di un organo appartenente al potere
giudiziario ha avuto il risultato di rendere ineffettiva una tutela
giurisdizionale esplicitamente prevista dalle leggi vigenti e
costituzionalmente necessaria, secondo la giurisprudenza di questa
Corte.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava al Ministro della giustizia disporre,
su conforme proposta del Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria, che non fosse data esecuzione all’ordinanza del
Magistrato di sorveglianza di Roma n. 3031 del 9 maggio 2011;
annulla, di conseguenza, il provvedimento del suddetto Ministro
in data 14 luglio 2011, protocollo numero GDAP-0254681-2011.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.

F.to:
Franco GALLO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2013.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

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