Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-09-2011, n. 19254

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30/4/2008 la Corte d’Appello di Napoli respingeva il gravame interposto dall’I.N.A.I.L. in relazione alla pronunzia Trib.

Napoli 30/1/2003 di improponibilità (tra l’altro) della domanda ex art. 1916 c.c., di recupero della somma versata a titolo di indennizzo in favore del sig. P.P. all’esito di denunziato infortunio sul lavoro avvenuto il (OMISSIS) in (OMISSIS), formulata in via d’intervento volontario nel giudizio da quest’ultimo introdotto contro il sig. P.F. ed altri per ottenerne la condanna al risarcimento dei sofferti danni.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’I.N.A.I.L. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso la Aurora Assicurazioni s.p.a..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito non abbia considerato atti e documenti trascurati dal giudice di prime cure.

Con il 2^ motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 167 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito non abbia considerato che i fatti dedotti sia dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado che nella sua comparsa d’intervento non sono stati contestati da controparte, divenendo pacifici.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso i formulati quesiti non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

I formulati quesiti in realtà nel caso si sostanziano in espressioni evocanti le non accolte tesi difensive, (anche) prospettando corollari tratti da presupposti o postulati di fatto alle medesime corrispondenti e contrari alle conclusioni raggiunte nell’impugnata sentenza fondate sul delineato quadro probatorio, a tale stregua palesandosi privi di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433;

Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., 7/4/2009, n. 8463), di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonchè di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), circoscrivendo la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il d.lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che, rispetto alla mera illustrazione del motivo, l’art. 366 bis c.p.c., impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione "specificamente destinata" (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il 1 motivo non reca invero la "chiara indicazione" – nei termini più sopra indicati – delle relative "ragioni", inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Va ulteriormente osservato che non risulta nel caso censurata la ratio decidendi in ordine alla decisività e sufficienza del rilievo che "i Carabinieri, in seguito alla segnalazione ricevuta intorno alle ore 10,00 del (OMISSIS) … si recarono sul posto ed accertarono quindi direttamente dove e come il sinistro si fosse verificato, indicando tra le parti lese (tre in tutto anche P. P., del quale fornivano le precise generalità ed in relazione al quale indicavano puntualmente tipo ed entità delle lesioni riportate", in quanto "i rapporti ed i verbali della polizia giudiziaria fanno fede fino a querela di falso per quanto concerne i fatti che il pubblico ufficiale afferma di avere personalmente compiuto o constatato (salvo il potere-dovere del giudice di valutare liberamente, ai fini del proprio convincimento, l’esattezza delle operazioni effettuate ed i relativi risultati) …".

Risulta a tale stregua dal ricorrente non osservato il consolidato principio secondo cui allorquando la sentenza di merito impugnata si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità anche del gravame proposto avverso le altre, non potendo le singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, quand’anche fondate, comunque condurre all’annullamento della decisione stessa (v. Cass., 11/1/2007, n. 389) in quanto l’eventuale relativo accoglimento non incide sulla ratio decidendi non censurata, su cui la sentenza impugnata resta pur sempre fondata (v. Cass., 23/4/2002, n. 5902).

E’ dunque sufficiente che, come nel caso, anche una sola delle rationes decidendi su cui si fonda la decisione impugnata non abbia formato oggetto di censura (ovvero sia stata respinta) perchè il ricorso (o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa) debba essere rigettato nella sua interezza (v. Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602).

Un tanto non già per carenza di interesse, come pure si è da questa Corte sovente affermato (v. Cass., 11/2/2011, n. 3386; Cass., 12/10/2007, n. 21431; Cass., 18/9/2006, n. 20118; Cass., 24/5/2006, n. 12372; Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602), quanto bensì per essersi formato il giudicato in ordine alla ratio decidendi non censurata (v. Cass., 13/7/2005, n. 14740. V. altresì Cass., 11/1/2007, n. 1658).

Nè può d’altro canto sottacersi che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – e non anche come nella specie in termini di violazione di legge, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della gravata decisione, rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., i ricorrenti in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici, della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass,, 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente Aurora Assicurazioni s.p.a., seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.600,00, di cui Euro 7.400,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente società Aurora Assicurazioni s.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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