Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-09-2011, n. 19253

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30/12/2008 la Corte d’Appello di Milano respingeva il gravame interposto dal sig. B.B., in proprio e nella qualità di legale rappresentante delle figlie minori Al., A. e L., e dalla sig. An.Bu. in relazione alla pronunzia Trib. Milano 2/9/2005 di rigetto della domanda proposta nei confronti dell’Azienda Ospedaliera Ospedale di Circolo e Fondazione (OMISSIS) di risarcimento dei danni iure hereditario e iure proprio lamentati in conseguenza del decesso della sig. R.M.R., moglie del primo e madre delle seconde, verificatosi il (OMISSIS) all’esito di due interventi chirurgici resi necessari dalle complicazioni verificatesi in conseguenza del parto trigemino avvenuto il (OMISSIS) con intervento di taglio cesareo, presso l’Ospedale di (OMISSIS).

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il sig. B.B., in proprio e nella qualità, e la sig. Bu.

A. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera Ospedale di Circolo e Fondazione (OMISSIS).
Motivi della decisione

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si dolgono che la corte di merito si sia limitata ad esprimere un "apprezzamento generico" della motivazione della sentenza di primo grado e a formulare "un’espressa adesione", senza "neppure espressamente richiamarla per relationem" e "ripercorrerne criticamente le ragioni al cospetto delle censure della parte", non dando "nemmeno conto di quali siano le censure avanzate dagli appellanti".

Lamentano che quanto al "motivo di appello in diritto formulato dagli odierni ricorrenti (attinente … alla corretta ripartizione degli oneri probatori) … manca del tutto la stessa determinazione volitiva del rigetto", invero non desumentesi nemmeno per implicito.

Con il 2 motivo i ricorrenti denunziano "omessa e comunque insufficiente motivazione" su punti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono che la corte di merito abbia avallato, senza dare invero conto delle doglianze al riguardo poste a fondamento del gravame di merito, le risultanze della C.T.U. disposta in primo grado acriticamente già recepite dal giudice di prime cure.

Lamentano che il giudice dell’appello ha al riguardo fatto altresì indebitamente riferimento alle "conclusioni del Pubblico Ministero nel provvedimento di archiviazione del procedimento di indagini preliminari che aveva preceduto la causa civile", senza prendere in considerazione le alternative proposte sul piano del nesso di causalità tra "l’originario errore e il decesso della paziente".

Si dolgono che non abbiano "trovato alcuna risposta nella sentenza della Corte di Appello" gli "argomentati e documentati rilievi" mossi, essendo "la motivazione limitata … a un rinvio di stile alle relazioni dei c.t.u.".

Con il 3 motivo i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 115, 101 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si dolgono che la corte abbia utilizzato "anche risultanze del procedimento penale che aveva preceduto la causa civile", facendovi un mero rinvio "di stile".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta afermazione di principio da parte o del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso i formulati quesiti non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez, Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

Essi si sostanziano invero in richieste prive (quantomeno) di decisività, non appalesandosi idonei a consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr.

Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che, rispetto alla mera illustrazione del motivo, l’art. 366 bis c.p.c., impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione "specificamente destinata" (v. Cass., 18/7/2007, n. 1.6002).

Orbene, nel caso il 2 motivo non reca invero la "chiara indicazione" – nei termini più sopra indicati – delle relative "ragioni", inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Quanto al 1 e al 2 motivo va ulteriormente osservato che, diversamente da quanto dagli odierni ricorrenti lamentato, la corte di merito da invero nell’impugnata sentenza conto del proprio convincimento, e l’iter logico-giuridico seguito per addivenire all’impugnata decisione risulta invero chiaramente evincibile dalla relativa motivazione, laddove nel richiamare la sentenza del giudice di primo grado, e in particolare le risultanze della C.T.U. in ordine alle accertate cause del decesso della sig. R.M.R., hanno sottolineato che la diversa ricostruzione, già disattesa dal giudice di primo grado e riproposta in grado di appello (nonchè in questo giudizio di cassazione), "non ha trovato riscontro nè nella C.T.U. espletata in sede civile nè nella C.T. penale".

La quale ultima, diversamente da quanto sostenuto dagli odierni ricorrenti, ben può essere presa in considerazione, come in genere possono esserlo le prove raccolte dal giudice penale, anche dal giudice civile, in sede di libera formazione del proprio convincimento, quanto ai fatti obiettivamente constatati dal perito e ai dati tecnici riferiti (v. Cass., 13/3/1980, n. 1696; Cass., 12/12/1977, n. 5410; Cass., 30/5/1977, n. 2212).

In termini più generali, si è affermato che il giudice civile, in mancanza di alcun divieto, può liberamente utilizzare, come elementi di prova, le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti (v. Cass., 11/6/2007, n. 13619) e può anche avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, le quali possono anche essere sufficienti a formare il convincimento del giudice, la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità quando la valutazione compiuta sia stata estesa anche a tutte le successive risultanze probatorie e non si sia limitata ad un apprezzamento della sola prova formatasi nel procedimento penale (v. Cass., 19/5/2006, n. 11775; Cass., 15/10/2004, n. 20335).

Non può infine sottacersi che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità la violazione dell’art. 115 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non anche come nella specie in termini di error in procedendo, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della gravata decisione, rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., i ricorrenti in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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