Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-09-2011, n. 19250 Divorzio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ambito di un procedimento di divorzio promosso dinanzi al tribunale di Roma da C.d.B.P. – dichiarato, a conclusione del medesimo, obbligato a corrispondere alla ex moglie A.M.L. la somma di Euro 7230 a titolo di assegno divorzile – il GI autorizzò quest’ultima a procedere al sequestro dei beni di pertinenza dell’attore sino alla concorrenza dell’importo di L. 1.200.000.000.

La A. provvide pertanto al sequestro di alcuni crediti (ancorchè da quantificare) vantati dall’ex marito, per l’esproprio di una tenuta di sua pertinenza, nei confronti del Ministero delle finanze (ovvero di quello del Tesoro o della Cassa depositi e prestiti) con atto notificato presso la residenza scozzese del C.. All’udienza fissata per la dichiarazione di terzo, quella della Cassa risultò negativa, per essere state le indennità ivi depositate già riscosse dagli aventi diritto, mentre il Ministero delle finanze non rendeva dichiarazione.

Attivato il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, il tribunale di Roma, nella contumacia dei convenuti, dichiarò il Ministero delle finanze debitore del C. della somma di Euro 591.607 oltre ad interessi legali dal luglio 1988 – credito da ritenersi condizionato al passaggio in giudicato di due sentenze della corte di appello capitolina.

La corte di appello di Roma, investita del gravame proposto dal C., lo rigettò, al pari di quello dal Ministero, volto alla declaratoria di improseguibilità dell’azione esecutiva intrapresa dall’ A..

La sentenza è stata impugnata, nel procedimento recante il n. 9747/09, da C.P. con ricorso per cassazione sorretto da 5 motivi, cui resiste con controricorso la A..

Nel procedimento (avente identico contenuto) recante il n. 10835/09, l’impugnazione avverso la medesima sentenza della corte di appello di Roma è stata proposta dal predetto Ministero con un unico motivo di ricorso.

Sono versate in atti memorie delle parti C. e A..
Motivi della decisione

Le due impugnazioni, proposte avverso la medesima pronuncia, devono essere riunite Esse sono infondate.

IL RICORSO C..

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., art. 184 c.p.c., comma 2 (nella formulazione ante riforma), oltre che dell’art. 2691 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

Dica la Corte di cassazione se il giudice dell’appello può pronunciarsi sulla validità della notifica della citazione introduttiva del primo grado di giudizio fondandosi su documenti prodotti per la prima volta dalla parte in grado di appello.

Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1.

Il motivo ricalca pedissequamente la censura espressa con quello che precede, e il quesito di diritto che ne conclude l’esposizione risulta formulato in termini pressochè identici a quello dianzi riportato. Entrambe le doglianze sono, peraltro, inammissibili per la novità della questione proposta.

Parte ricorrente solleva, difatti, la questione dell’inammissibilità della produzione di documenti in appello da parte dell’attrice oggi appellata (con censura condivisibile sul piano dei principi, alla luce della giurisprudenza delle sezioni unite di questa corte regolatrice – Cass. ss. uu. 8203/05 – ma nella specie infondata, atteso che la tematiche delle forme della notifica e delle ricerche dell’appellante si posero per la prima volta in grado di appello, essendo il C. rimasto contumace nel corso del giudizio di primo grado, onde la legittimità della produzione di una prova precostituita in quel grado a seguito dell’eccezione di nullità degli atti sollevata soltanto in quella sede dall’appellante) per la prima volta in sede di giudizio di cassazione, nè, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, indica in quale fase del processo di appello l’eccezione, all’esito della rilevata e lamentata inammissibilità della produzione documentale de qua (contenuta nella comparsa di risposta dell’appellata) sia stata tempestivamente sollevata in quel grado di giudizio e illegittimamente pretermessa dal giudice territoriale in sentenza (in seno alla quale, di tale eccezione, non si rinviene traccia alcuna, altre e diverse questioni essendo state poste dall’appellante in quella sede).

Con il terzo motivo, si denuncia contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Il motivo (in ossequio al disposto dell’art. 366 bis c.p.c.) si conclude con la seguente sintesi espositiva del fatto controverso e decisivo in relazione al quale il capo motivazionale della sentenza d’appello si assume contraddittorio:

La corte di appello di Roma ha fondato la propria pronuncia su un documento depositato per la prima volta dall’appellata in sede di gravame – anzichè ritenerlo non esaminabile in quanto tardivamente prodotto – e sulla scorta di tali nuove risultanze probatorie, per concludere nel senso della legittimità dell’esperimento della notifica dell’atto di citazione originario direttamente ai sensi dell’art. 143 c.p.c., ha affermato la rilevanza delle dichiarazioni rese da tale sig. P. all’agente notificatore scozzese circa la presunta irrintracciabilità del C. di B. in (OMISSIS).

Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Inammissibile nella parte in cui, sotto il diverso profilo del vizio motivazionale, solleva nuovamente la (inammissibile) questione della tardività della produzione documentale da parte dell’appellata.

Infondato nella parte in cui riproduce integralmente la medesima doglianza già rappresentata alla corte capitolina e da questa correttamente respinta – con ragionamento esente da vizi logico- giuridici, e perciò solo non censurabile in questa sede – sulla condivisibile e condivisa premessa (Cass. 7827/05, 322/07) della presunzione di veridicità delle dichiarazioni P. all’agente notificatore (f. 6 della sentenza oggi impugnata), onde l’onere (inevaso), per l’appellante oggi ricorrente di provarne la falsità ideologica secondo gli appositi strumenti all’uopo predisposti dal codice di rito.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La doglianza si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

Vista la regula iuris adottata dalla sentenza impugnata – secondo cui il ricorso immediato al procedimento notificatorio di cui all’art. 143 c.p.c. era esperibile in quanto l’assunzione di informazioni sarebbe stata inutile – dica la corte di cassazione se l’applicazione dell’art. 143 c.p.c. presupponga comunque l’esperimento di indagini volte ad individuare la residenza, la dimora o il domicilio del notificando e se la valutazione circa la correttezza o meno dell’esperimento della notifica secondo il rito degli irreperibili debba essere fondato su un giudizio ex ante o ex post rispetto al perfezionamento di tale notifica. Il motivo è infondato.

Come correttamente rilevato dalla corte di appello e condivisibilmente evidenziato dalla controricorrente, l’omissione di ricerche (alla luce della stessa giurisprudenza citata dalla difesa del C.: Cass. ss.uu. 6737/02) assume rilievo solo quando esse avrebbero consentito al notificante di venire a conoscenza della nuova residenza del convenuto, onde, nella specie, in mancanza di allegazione (e tantomeno di prova) di relativa comunicazione al consolato della nuova residenza, le informazioni presso l’autorità consolare scozzese si sarebbero rivelate del tutto inidonee allo scopo (di qui la condivisibile conclusione della addebitabilità della mancata partecipazione al processo di primo grado alla esclusiva negligenza del convenuto oggi ricorrente).

Con il quinto motivo, si denuncia contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il ricorrente evidenzia, quale fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume contraddittoria, che la corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di appello proposto dall’odierno ricorrente alla luce delle preclusioni istruttorie che si erano prodotte in danno del medesimo – contumace nel primo grado di giudizio – senza considerare il fatto che la dichiarazione di contumacia era in realtà conseguita ad una notifica della citazione introduttiva palesemente nulla.

Il motivo è evidentemente assorbito in tutto quanto già in precedenza osservato in relazione alle doglianze che precedono, nessuna nullità della citazione introduttiva essendo, nella specie, legittimamente predicabile così come correttamente opinato dal giudice territoriale, onde la inutilizzabilità del documento – non prodotto in primo grado – comprovante una pretesa cessione del credito a terzi con atto notificato alla Amministrazione finanziaria debitrice.

IL RICORSO DEL MINISTERO DELL’ECONOMIA. Con il primo e umico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta il ministero ricorrente che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile la richiesta di accertamento dell’improcedibilità dell’azione esecutiva in quanto domanda nuova.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

Dica la corte se, qualora la sentenza di primo grado resa ex art. 549 c.p.c. abbia dichiarato esistente l’obbligo del terzo sotto condizione del passaggio in giudicato di due sentenze, e nel giudizio di appello avverso questa sentenza il terzo pignorato eccepisca che, per effetto della rinuncia ai relativi giudizi, spiegata dall’attore in sede di transazione, le sentenze di cui sopra non potranno mai passare in giudicato, il giudice di appello che dichiari inammissibile tale eccezione ex art. 345 c.p.c. perchè non proposta in primo grado incorra in violazione del principio di diritto per cui ogni domanda o eccezione proposta in giudizio deve essere sorretta da un interesse ex art. 100 c.p.c., sicchè le domande e le eccezioni non proponibili in primo grado per carenza di interesse non possono qualificarsi automaticamente come nuove se proposte in appello, con il duplice corollario, applicabile al caso concreto: a) che l’interesse del terzo a far valere l’impossibilità sopravvenuta della condizione può dirsi venuto ad esistenza solo con il deposito della sentenza che ha accertato a suo carico il debito sottoposto a condizione sospensiva;

b) che la relativa eccezione è ammissibile se dedotta in appello, non configurando ius novo rum ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 345 c.p.c.. Il motivo è infondato.

La domanda di accertamento dell’improcedibilità dell’azione esecutiva, difatti, è stata dalla corte di appello condivisibilmente ritenuta destinata ad essere fatta valere con l’opposizione all’esecuzione, volta che essa appariva diretta a contrastare la pretesa del creditore a procedere in executiviis. Non senza considerare – va aggiunto, così integrandosi la motivazione della sentenza di merito – che la novità della domanda scaturiva dal mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, integrante pretesa affatto diversa, per sua intrinseca natura, rispetto a quella oggetto del primo giudizio, essendo stati dedotti in appello fatti costitutivi (cessione di credito, transazione) volti a sostenere una diversa pretesa funzionale all’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione rispetto al procedimento di primo grado.

Entrambi i ricorsi sono pertanto rigettati.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 17.200, di cui Euro 200 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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