Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-09-2011, n. 19535 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La s.a.s. Ivo Gioielleria di Vallarani Ivo & C. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della commissione tributaria regionale della Liguria in data 17.1.2006, che, in riforma della decisione di primo grado (della commissione tributaria provinciale di Savona), ha respinto un ricorso della medesima società nei confronti di un avviso di accertamento per il recupero di maggiore Iva attinente all’anno 1994.

Ha dedotto due motivi di doglianza.

L’intimata agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Con i due mezzi la ricorrente deduce vizi di motivazione, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che l’ufficio accertatore abbia proceduto alla determinazione su base induttiva del volume d’affari e giustificato il ricorso a tal tipo di accertamento per la ritenuta esistenza di acquisti senza fattura accertati documentalmente (con correlata presunzione di rivendita stante il mancato rinvenimento della mercè acquistata).

Lamenta peraltro di aver contestato, in sede giurisdizionale, il presupposto dell’accertamento induttivo, in quanto la summentovata prova documentale degli avvenuti acquisti era stata dedotta dall’ammontare di altrettante cambiali rinvenute presso la propria sede, con una sequela di presunzioni a cascata non adeguatamente valutate dalla commissione tributaria.

2. – I due sopra detti motivi, suscettibili di unitaria considerazione in quanto chiaramente connessi, sono destituiti di fondamento, ove anche si reputi il ricorso non inammissibile in relazione all’art. 366 c.p.c., per difetto dell’esposizione sommaria dei fatti di causa.

(Si osserva, a questo proposito, che nell’atto de quo non risulta riportato il contenuto effettivo della sentenza impugnata, quanto piuttosto la semplice trascrizione del dispositivo corredata da una appena accennata rapsodica sintesi di talune motivazioni addotte al riguardo, e che le circostanze relative ai fatti che hanno dato origine al procedimento sono a loro volta riferite in termini di sostanziale laconicità).

Dalla sentenza emerge che, a base dell’accertamento con metodologia induttiva, fu posta la circostanza del rinvenimento di cambiali in favore di soggetti terzi. E che la dimostrazione della riferibilità a rapporti causali extra (vale a dire non correlabili all’oggetto dell’attività commerciale svolta nell’esercizio d’impresa) non era stata dal contribuente fornita.

Trattasi di accertamento di fatto correttamente motivato e insindacabile in questa sede.

E’ invero del tutto pacifico che il rinvenimento di cambiali-tratte, rilasciate dal contribuente a beneficio di terzi apparenti fornitori, costituisce valida presunzione di omesse fatturazioni e registrazioni di corrispettivi – e di inesatte dichiarazioni annuali – da parte del contribuente medesimo; e pienamente giustifica, pertanto, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, quanto ai maggiori corrispettivi derivati dalla rivendita dei beni non rinvenuti in magazzino, senza infrangersi nel divieto di presunzioni di secondo grado.

Spese alla soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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