Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-09-2011, n. 19532 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La s.a.s. Ivo Gioielleria di Vallarani Ivo & C. propose ricorso alla commissione tributaria regionale della Liguria contro un diniego di definizione di lite pendente riguardante l’Iva dovuta per l’anno 1993, diniego motivato, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, in ragione del non avvenuto versamento di alcuna somma.

Sostenne di aver indicato, quale versamento effettuato, l’ammontare degli importi iscritti a ruolo, in quanto la relativa somma, seppur non versata, era stata dall’amministrazione introitata mediante il pignoramento e la successiva vendita e/o assegnazione dei beni pignorati (gioielli e preziosi) di valore superiore all’ammontare del debito.

La commissione, nella resistenza dell’agenzia delle entrate, osservò che il versamento delle somme dovute al ridetto titolo non era stato effettuato con le prescritte modalità, non potendosi considerare come "versamento" il fatto dell’avvenuto pignoramento di beni della debitrice; e che, in ogni caso, l’intrapresa esecuzione aveva riguardato più tributi per diversi anni d’imposta.

Accolse peraltro la domanda subordinata di riconoscimento di un errore scusabile, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, alla quale invero la stessa agenzia aveva dichiarato di non opporsi;

sicchè riconobbe la possibilità di regolarizzare il pagamento della somma dovuta a titolo di condono, con le modalità di legge, e con maggiorazione di interessi.

Avverso questa sentenza la società Ivo Gioielleria ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un motivo.

L’agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. – L’unico motivo denunzia violazione ed errata applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, commi 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si sostiene che, a fronte della ritenuta scusabilità di un errore materiale nei conteggi, nessun errore era stato in questo senso commesso, non potendosi considerare tale il presunto mancato versamento di quanto dovuto per il condono.

Il suddetto mancato versamento, peraltro, era stato dalla sentenza ritenuto senza corretto esame della situazione di fatto, atteso che alla data del 28.11.2002 (prima cioè della presentazione dell’istanza di condono) il concessionario aveva in effetti riscosso l’intera somma iscritta a ruolo, mediante l’esito del processo esecutivo instaurato presso il Tribunale di Savona, conclusosi con l’assegnazione del ricavato dalla vendita di alcuni beni (Euro 8.766,00) e con altra assegnazione dei residui invenduti, per un valore aggiuntivo di Euro 57.064,00. 2. – Osserva la Corte che oggetto (mediato) della censura è la statuizione di rigetto della domanda principale a suo tempo proposta dalla società come di "annullamento dell’atto di diniego", in vista dell’ottenimento di una pronuncia di accertamento dell’avvenuta definizione della lite a mezzo del pagamento della somma dovuta.

Rispetto a codesto oggetto, è rilievo preliminare che la pendenza di lite, cui si riferisce l’invocato condono ex lege n. 289 del 2002, seppur nella specie cessata a seguito del passaggio in giudicato della sentenza d’appello di cui alle concordi deduzioni, era certamente esistente alla data della domanda di definizione. Risulta invero dalle parti dedotto che l’istanza di definizione venne presentata in data 16.5.2003, in pendenza del termine – sospeso ex lege – per impugnare la sentenza della commissione tributaria regionale in data 13.2.2002, con la quale fu respinto l’appello della stessa società contro la sentenza a lei sfavorevole della commissione provinciale di Savona, n. 426/01/2000, relativa all’avviso di accertamento da cui tutto trae origine. Donde la lite, al momento pendente, era quella relativa all’imposta dovuta dalla ricorrente al netto delle sanzioni, nei termini oggetto di contestazione in primo grado (considerata la soccombenza in base alla decisione della commissione tributaria), suscettibile di definizione a mezzo del 50% del corrispondente valore (art. 16, comma 1, lett. b), n. 2, L. cit.).

Stante l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (in particolare, sez. un. n. 3676/2010; cui adde sez. un. n. 3677/2010), la definibilità di una simile lite – in quanto correlata all’istituto di cui all’art. 16 cit., che non implica rinuncia all’accertamento dell’imposta – non sarebbe incisa dall’esito della procedura di infrazione comunitaria che ha portato la Corte di giustizia a dichiarare l’incompatibilità con il diritto comunitario dei distinti, della L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, relativamente alla condonabilità dell’Iva (v. C. Giust. 17.7.2008, causa C- 132/06).

3. – La questione di diritto, posta dalla ricorrente, attiene alla possibilità di computare o meno, al fine di ritenere la validità della domanda di definizione della lite suddetta, la somma incamerata dal (ovvero – in base all’asserto – il valore dei beni assegnati al) concessionario in esito a una procedura esecutiva instaurata per il mancato pagamento delle somme provvisoriamente iscritte a ruolo in base all’atto impositivo impugnato.

In ciò si radica, contrariamente a quanto eccepito dall’amministrazione resistente, un interesse concreto a impugnare la statuizione negativa afferente.

Vi è però che la tesi della ricorrente, seppure basata su nessi logico-giuridici astrattamente sostenibili, non soddisfa il fine di autosufficienza del ricorso, e implica un accertamento di fatto non consentito alla Corte.

Si basa invero su un’inferenza tratta da affermazione praeter legem, e dunque implausibile a meno di specifica dimostrazione, in ragione della disciplina della espropriazione mobiliare contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973. Per cui va disattesa, sebbene dovendosi provvedere a una parziale correzione della motivazione della sentenza di merito nel senso di cui infra.

4. – L’astratta sostenibilità della tesi della s.a.s. è legata al fatto che, se è vero che, come eccepito dall’amministrazione resistente, ai fini della definizione della lite a mezzo condono, rileva il versamento delle somme dovute entro il prescritto termine, da eseguirsi "secondo le ordinarie modalità previste per il versamento diretto dei tributi cui la lite si riferisce" (art. 16, comma 2, L. cit.) sicchè non è dato invocare alternative forme di soddisfacimento della pretesa creditoria quale conseguenza dell’esito di procedure esecutive sui beni dell’obbligato; è altresì parimenti vero che è qui dedotto un fatto estintivo asseritamente anteriore alla data di presentazione dell’istanza (v. ricorso, in fine). Tanto sul presupposto che tale fatto possa intendersi alla stregua di "versamento" ai fini dello scomputo di somme pagate prima della domanda di definizione ai sensi dell’art. 16, comma 5, L. cit., per effetto delle disposizioni vigenti in materia di riscossione in pendenza di lite.

E, in tema di condono fiscale, con riferimento alla chiusura delle liti pendenti prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, è esatto affermare che, in presenza di un’ istanza proposta dal contribuente, in quanto soccombente nel giudizio di merito, nei confronti del quale l’amministrazione finanziaria abbia proceduto a riscossione coattiva in pendenza di lite, ottenendo la devoluzione di beni pignorati a seguito dell’esperimento di una procedura esecutiva esattoriale, l’importo corrispondente al valore del bene devoluto va scomputato dalla somma dovuta ai fini della definizione agevolata, ai sensi del comma 5, dell’art. 16 cit. (v. già Cass. n. 13901/2008).

Sennonchè tale condivisibile principio è stato da questa Cortè ritenuto in considerazione dell’effetto solutorio proprio dell’atto devolutivo in tema di espropriazione immobiliare, il quale ha luogo ope legis, per effetto del verificarsi delle condizioni previste dall’attuale D.P.R. n. 602 del 1973, art. 85 (condizioni nella richiamata Cass. n. 13901/2008 evocate in relazione al vecchio art. 87, ivi rilevando il testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 e poi dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, conv. con mod. in L. 8 agosto 2002, n. 178).

Mentre è da sottolineare che, in tema di espropriazione mobiliare, le speciali regole pur contenute nel citato D.P.R. n. 602 del 1973 (art. 70) non contemplano l’assegnazione al concessionario di beni (finanche ove costituiti da preziosi, art. 68 stesso D.P.R.) rimasti invenduti dopo gli incanti.

Ai sensi dell’art. 70 cit., se i beni mobili restano invenduti anche al secondo incanto – come qui sostenuto dalla società – il concessionario, entro tre mesi, procede alla vendita a trattativa privata o a un terzo incanto a offerta libera; e, se anche tali esperimenti si rivelano infruttuosi, i beni invenduti sono messi a disposizione del debitore, invitato a ritirarli in un termine (quindici giorni) decorso inutilmente il quale sono distrutti o donati a enti di beneficenza e assistenza, senza liberazione del debitore.

Consegue che, ridotta all’essenziale, la tesi della ricorrente assume come esistente un fatto – l’avvenuta assegnazione al concessionario dei beni invenduti al terzo incanto – privo di base legale, non supportato da alcuna emergenza nel ricorso debitamente trascritta e indimostrato J nella sua storicità.

Ed egualmente la tesi – ove anche valutata ai fini di un preteso (e comunque insufficiente) scomputo parziale della somma asseritamente incamerata dal concessionario in esito alla vendita forzosa di alcuni dei detti beni – trova concreto ostacolo nella non avversata affermazione della sentenza di merito circa l’indistinguibilità del carico tributario posto a base del ruolo, in quanto attinente a tributi vari e a plurime annualità. 5. – In forza delle esposte ragioni, il ricorso è respinto. Spese alla soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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