Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-02-2011) 20-05-2011, n. 19969 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16 Luglio 2009 emessa al termine di rito abbreviato il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bolzano ha condannato il Sig. F. alla pena di dieci anni di reclusione perchè ritenuto colpevole dei reati previsti da:

1) artt. 81 cpv e 609 bis c.p. per avere commesso atti sessuali sulla figlia minorenne (nata l'(OMISSIS)) della propria convivente, Sig.ra L.; fatti commessi dall'(OMISSIS));

2) artt. 81, 609 bis, 609 ter e 609 quater c.p. per avere commesso atti sessuali nei confronti della figlia minorenne (nata il (OMISSIS)) della propria convivente, Sig.ra C.; fatti commessi dal (OMISSIS);

3) art. 572 c.p. in danno della convivente, Sig.ra C.; fatti commessi nel corso del (OMISSIS);

4) artt. 81 cpv e 609 bis c.p.; fatti commessi nel corso del (OMISSIS);

5) art. 337 c.p. in danno dei militari intervenuti; fatti commessi il (OMISSIS).

Alla condanna penale, e relative sanzioni accessorie, la sentenza ha fatto seguire la condanna del Sig. F. al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili C. e D.C., nonchè al versamento a loro favore di somme a titolo di provvisionale.

Avverso tale decisione il Sig. F. ha presentato personalmente ricorso, prospettando plurimi motivi, così riassumibili:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo 1 della rubrica per avere i giudici di appello fondato il giudizio di responsabilità unicamente sulle parole della persona offesa, nel frattempo divenuta maggiorenne, con una inammissibili formazione "circolare" del percorso argomentativo.

Non solo la Corte di Appello ha omesso di dare risposta alle specifiche censure proposte in sede di impugnazione avverso la prima sentenza, ma ha palesemente omesso di valutare con spirito critico le dichiarazioni che la persona offesa ha reso a distanza di molti anni dai fatti (senza che mai la giovane abbia denunciato i fatti anche dopo avere raggiunto la maturità) ed omesso di considerare l’assolta carenza di riscontri e la presenza di elementi, quali le dichiarazioni della allora convivente del ricorrente, che smentiscono il racconto accusatorio.

E’, poi, evidente che la ricostruzione dei fatti è risultata condizionata dalle accuse relative alla vicenda occorsa nei confronti della successiva convivente e di sua figlia e che il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa non è sonetto da adeguata motivazione e da specifici elementi che supportino quella particolare attenzione critica che deve essere riservata alle persone offese.

E, dunque, la Corte di Appello ha omesso di rispondere alle questioni poste circa le dichiarazioni della Sig.ra S., che aveva avuto col ricorrente una relazione sentimentale, circa la non credibilità del fatto che le grida della persona offesa non fossero state udite da alcuno e circa le dichiarazioni della stessa madre della persona offesa.

2. Mancata dichiarazione di estinzione dei reati contestati al capo 1) per intervenuta prescrizione degli stessi, contestati per il periodo autunno 1997-giugno 1999.

Il primo atto interruttivo è costituito dall’emissione del decreto di giudizio immediato in data 24 Aprile 2009 e le dichiarazioni della zia e della nonna della persona offesa collocano l’uscita di casa, e la cessazione delle molestie, anteriormente al compleanno della ragazza ((OMISSIS)), con la conseguenza che per il principio del "favor rei" tutti i fatti vanno dichiarati prescritti.

3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 2) della rubrica per avere la motivazione (pagg.13-18) pienamente aderito al racconto della persona offesa, D.C., senza procedere ad un controllo critico e senza dare risposta alle censure proposte coi motivi di appello.

A pag. 11 del ricorso si evidenzia, in primo luogo, come la persona offesa abbia teso ad escludere che i fatti illeciti siano iniziati già nel 2007 e come la Corte abbia, al contrario, ritenuto di collocarli in tale periodo così da poter applicare l’art. 609 ter c.p. e le sue più gravi pene.

A pag. 12 si illustrano le dichiarazioni della persona offesa che smentiscono le gravi condotte che sarebbero avvenute durante una gita in montagna, così come le dichiarazioni che smentiscono l’esistenza di violenze o minacce al fine di giungere ad un rapporto orale o al fine di porre in essere gli atti sessuali (pag. 13 e 14).

I fatti, dunque, avrebbero dovuto essere qualificati ai sensi dell’art. 609 quater c.p., ultima parte.

4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai capi 3 e 4 della rubrica: la giurisprudenza, infatti, ha affermato che, in caso di ritenuta violenza sessuale continuata, la contestazione di maltrattamenti perde la propria autonomia e viene sanzionato il solo reato sessuale.

Inoltre, anche in questa parte della motivazione si ravvisa il vizio di acritica accettazione delle dichiarazioni accusatorie e di omissione del vaglio che le stesse avrebbero dovuto conoscere alla luce del contesto probatorio e delle specifiche censure mosse con l’impugnazione alla sentenza di primo grado; queste ultime, riassunte a pagg. 20-22 dei motivi di ricorso, risultano di fatto ignorate dai giudici di appello.

Inoltre, la Corte non ha saputo essere coerente con la valutazione che il Tribunale ha dato della Sig.ra C., qualificata come persona "immatura, egocentrica e contraddittoria"; dunque, non attendibile.

5. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo di imputazione relativo all’art. 337 c.p. e alla sussistenza dell’elemento soggettivo.

6. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena.

A fronte di una specifica censura, la Corte di Appello non ha tenuto conto di elementi qualificanti, quali l’incensuratezza, l’assenza di condotte violente sulla giovani, i rapporti intrattenuti con la Sig.ra C. e si è limitata a richiamare la gravità dei fatti.

7. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna al risarcimento dei danni, anch’essa priva di motivazione e priva di illustrazione dai criteri che hanno condotto alla commisurazione risarcitoria.
Motivi della decisione

Ritiene la Corte che il ricorso non meriti accoglimento, ad eccezione di uno dei profili esposti nel secondo dei motivi che lo compongono.

1. Osserva preliminarmente la Corte, alla luce del contenuto delle censure proposte dal ricorrente, che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lett. e), dell’art. 606 c.p.p. apportata dall’art. 8, comma 1, lett. b) della L. 20 febbraio 2006, n. 46, dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15- 21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207).

Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte:

Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

L’applicazione di tali principi ai motivi di ricorso impone di concludere che essi sono inammissibili o infondati nella parte in cui contestano le conclusioni cui i giudici di merito sono giunti con riferimento alla ricostruzione dei fatti e al giudizio di responsabilità. 2. Sul primo motivo di ricorso deve osservarsi che gli argomenti proposti dal ricorrente sono tanto diffusi quanto generici, nella parte in cui rinviano alle richiamate ma non puntualizzate dichiarazioni della madre della persona offesa, oppure poco pregnanti: il percorso logico seguito dai giudici di merito non può, infatti, essere messo in crisi dalle dichiarazioni S., che hanno riferimento a periodo temporale anteriore e non concorrente e che non sono state considerate dai decisive dai giudici di merito, a differenza di quanto invece prospettato in sede di ricorso.

Esclusa la rilevanza dei due profili ora ricordati rispetto alla prospettata illogicità della motivazione, la Corte ritiene che la motivazione circa la ricostruzione dei fatti non possa essere messa in crisi dalla lamentata incoerenza della spiegazione fornita dalla Corte sul mancato ascolto da parte di terzi della grida di protesta che la persona offesa dice di avere emesso in più circostanze.

Tale elemento, infatti, è stato valutato dai giudici di merito nel contesto del più ampio materiale probatorio e il giudizio espresso sul punto non appare manifestamente illogico.

3. Quanto al secondo motivo, la Corte rileva che con riferimento alla data di cessazione delle condotte le dichiarazioni della persona offesa non sono smentite dal generico richiamo ai 16 anni di età effettuato dalla nonna nè dalle dichiarazione della zia, che fissa in aprile/maggio il momento di cessazione dei fatti.

Non solo differenza di data è minima e le due testimoni non sono precise nell’indicare il periodo di allontanamento, ma il contenuto delle dichiarazioni testimoniali emergente dalla lettura delle pagine 5 e 7 della sentenza di primo grado non appare affatto in contrasto con la ricostruzione, non smentita, della vittima, con la conseguenza che non vi sono ragioni per ritenere la sentenza meritevole di annullamento sul punto.

4. Escluso così che tutti i fatti di reato contestati al capo 1 debbano essere ritenuti coperti da prescrizione a seguito di una non accoglibile richiesta di retrodatazione degli stessi, va condivisa la prima parte del secondo motivo di ricorso allorchè individua il primo atto interruttivo della prescrizione nel decreto emesso in data 24 aprile 2009, con conseguente estinzione dei soli fatti commessi anteriormente alla data del 24 aprile 1999. 5. Per quanto concerne il terzo e il quarto motivo di ricorso, debbono operare i principi richiamati nella premessa della presente motivazione e va di conseguenza escluso che la Corte possa procedere ad una valutazione del materiale probatorio e operare un giudizio circa la prevalenza di una versione dei fatti rispetto all’altra.

I motivi di ricorso, infatti, sottopongono a critica il merito della decisione e in ultima istanza chiedono a questo giudice di sottoporre a censura la decisione senza prospettare quel vizio di manifesta illogicità o radicale contraddittorietà che solo integrerebbe gli estremi di annullamento della decisione in linea con la previsione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), artt. 620 e 623 c.p.p..

6. Una volta escluso che questa Corte possa diversamente ricostruire i fatti oggetto della decisione, non sussistono le condizioni per accogliere la censura, contenuta nella seconda parte del terzo motivo di ricorso, circa la mancata qualificazione del reato sessuale ai sensi dell’art. 609 quater c.p., ultima parte.

Il giudizio di gravità dei fatti operato dai giudici di merito appare, infatti, coerente rispetto alla vicenda come ricostruita e in presenza di una motivazione che si presenta immune da vizi logici non sussistono ragioni di intervento da parte del giudice di legittimità. 7. Neppure può essere accolta la parte del quarto motivo di ricorso che prospetta l’errata applicazione del reato previsto dall’art. 572 c.p..

Il tema dell’esistenza di un rapporto di specialità fra i reati di violenza sessuale e maltrattamenti può essere oggetto di esame esclusivamente nell’ipotesi in cui le condotte contestate all’autore dei reati si esauriscano in atti sessuali, non certamente nei casi in cui gli atteggiamenti violenti, minacciosi o umilianti, integranti l’ipotesi ex art. 572 c.p., abbiano le caratteristiche puntualmente indicate nel capo 3 della rubrica e vadano molto oltre gli episodi a sfondo sessuale.

In tali casi, infatti, i due reati conservano assoluta autonomia e possono essere eventualmente unificati, come nel caso in esame, ai sensi dell’art. 81 cpv c.p..

8. Il quinto motivo di ricorso deve considerarsi inammissibile per assoluta genericità.

Si tratta di censura meramente enunciata e priva di specifica motivazione e di fondamento che possano giustificare l’esame da parte del giudice di controllo.

9. Manifestamente infondato anche il sesto motivo di ricorso:

contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il punto 6 della motivazione della sentenza impugnata (pagg.19 e 20) indica una pluralità di circostanze e di elementi che escludono l’attenuazione del trattamento sanzionatorio e l’accoglimento del diverso regime di circostanze richiesto con i motivi di appello.

Non sussiste, dunque, alcun difetto di motivazione e la sentenza merita sul punto conferma.

10. Infine, quanto alle statuizioni civili, si osserva che la Corte di Appello, contrariamente all’assunto del ricorrente, ha richiamato la decisione di primo grado circa il rinvio al giudice civile e la quantificazione della somma a titolo di provvisionale, ha motivato le ragioni che inibiscono una specifica attività istruttoria in sede di giudizio abbreviato e ritenuto di condividere la quantificazione della provvisionale, rinviando anche in questo caso alla gravità e durata dei fatti e dando atto dell’esistenza di una perizia mirante ad accertare e quantificare le conseguenze da reato.

11. L’esame della sentenza di primo grado nella parte concernente la quantificazione della pena impone alla Corte di rilevare che alla pronuncia di estinzione di parte dei reati contestati al capo 1, qui disposta, non può seguire la eliminazione della corrispondente quota di pena inflitta al ricorrente; si rende così necessario rinviare gli atti al giudice di appello perchè provveda a rideterminare l’entità della pena da infliggere alla luce della estinzione dei reati commessi fino al 24 aprile 1999.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati commessi fino alla data del 24 aprile 1999 perchè estinti per prescrizione e rinvia alla Corte di Appello di Trento per la determinazione della pena.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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