Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-02-2011) 20-05-2011, n. 20141

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 14.8.10 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di riesame, proposta da L.V., C.N. ed A.M. avverso il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 30 giugno 2010, con il quale era stata adottata nei loro confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagati: – L.V. ed A.M. del reato di cui al capo a) della rubrica (art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6: aver costituito assieme ad altri soggetti un’associazione di stampo mafioso denominata "Bellocco" nell’ambito della ‘ndrangheta di Rosarno allo scopo di commettere efferati delitti contro la persona ed il patrimonio, con disponibilità di armi, utilizzando la forza di intimidazione provocata dal vincolo associativo ed avvantaggiandosi delle conseguenti condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivavano nei territori in cui la cosca criminosa si era insediata, avendo fra altro cooperato con B.G. nel corso della sua latitanza, garantendogli appoggi e supporti logistici nonchè contatti e rapporti con gli altri associati;

– C.N. del reato di cui agli artt. 110 e 81 c.p.v., art. 390 c.p., L. n. 203 del 1991, art. 7 per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso con la propria consorte, aiutato B.G. a sottrarsi all’esecuzione della pena, allorchè era stato raggiunto da provvedimento definitivo emesso dalla Procura Generale di Venezia in data 12 novembre 2002, di sua condanna alla pena dell’ergastolo, in particolare avendo messo a disposizione di B.G. un terreno di sua proprietà sito in (OMISSIS), in epoca antecedente all’arresto del B., avvenuto il 16 febbraio 2005. 2. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza in capo ai ricorrenti di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati a ciascuno di essi ascritti, indizi consistiti nel cospicuo materiale indiziario acquisito, formato da intercettazioni telefoniche ed ambientali, da sommarie informazioni testimoniali, da documenti, dagli esiti dei servizi di osservazione, di pedinamento e di rilevamenti dei sistemi di localizzazione radio satellitare GPS, nonchè da accertamenti tecnici effettuati sui bunker rinvenuti.

L’attività investigativa aveva consentito la scoperta di una vasta ed articolata rete di fiancheggiatori dei latitanti della cosca B., operante nella zona di dominio mafioso della menzionata consorteria criminale, ubicata nelle campagne di Rosarno e di Mileto;

era in tal modo emerso un complesso ed efficace sistema di protezione dei latitanti, che per oltre un decennio aveva assicurato la realizzazione e la gestione di numerosi bunker di varia tipologia, i quali avevano facilitato i frequenti spostamenti e le fughe dinanzi ad imprevisti interventi della p.g.. Non poteva pertanto dubitarsi dell’esistenza e dell’attualità della cosca B., quale associazione criminosa armata a base familiare, radicata nel territorio di Rosarno; la sussistenza della consorteria in questione era peraltro emersa da sentenze già irrevocabili emesse in vari procedimenti, quali quelli denominanti "Tirreno", "Porto", "Conchiglia" e "Tallone d’Achille". A carico del L. e dell’ A., peraltro prossimi congiunti del latitante B. G., essendone il primo cognato, per averne sposato la sorella della moglie ed essendone il secondo genero, per averne sposato la figlia G., erano emersi gravi indizi in ordine al delitto loro ascritto. Entrambi in data 12 aprile 2003 erano stati sorpresi dai carabinieri in località Bosco di Mileto mentre, unitamente ad altri appartenenti alla famiglia B., erano intenti con un escavatore a preparare il terreno per l’interramento di un bunker prefabbricato, sicchè alla vista dei carabinieri si erano dati alla fuga; trattavasi di attività di predisposizione e messa in opera di un bunker che notoriamente veniva riservata a persone di speciale e sperimentata fiducia nell’ambiente criminale di riferimento. Del resto proprio a Mileto il 16 luglio 2007 era stato arrestato BE.Gi., mentre si trovava in un altro bunker; non costituiva poi circostanza tale da escludere la valorizzazione di detto elemento il fatto che si trattasse di un bunker inutilizzabile, trattandosi di indizio che si aggiungeva ad altri, quali la circostanza che gli unici numeri telefonici trovati memorizzati dai carabinieri sul cellulare rinvenuto in possesso di B. G. all’atto del suo arresto, avvenuto nel bunker nel quale era nascosto in data 16 febbraio 2005, erano appunto quelli intestati agli odierni due indagati, intesi rispettivamente come " M." e come " C."; il che significava che il latitante B. G. considerava entrambi gli indagati come propri diretti ed esclusivi punti di riferimento durante la sua latitanza; nè poteva valorizzarsi in senso contrario la circostanza che, nei cinque mesi lungo i quali avevano avuto luogo le intercettazioni sul cellulare del latitante, non era emerso nessun contatto con le utenze degli odierni due indagati, tenuto conto del lungo protrarsi della latitanza, che aveva avuto luogo per oltre 10 anni.

Entrambi gli indagati erano stati poi segnalati dalla p.g. come presenti in località quali Scattareggia, Paparatti e Pian delle Vigne, tutte individuate come oggetto del dominio mafioso della cosca "Bellocco", unitamente ad altri parenti del latitante anzidetto in orari tali da far presumere che i medesimi stessero svolgendo attività di gestione della latitanza di G., nel senso di assicurare il controllo del territorio rispetto al possibile intervento della p.g., oltre ad assicurare i contatti con i familiari e gli esponenti della locale criminalità.

L’indagato A. aveva poi la disponibilità di un terreno sito in contrada Ficari di Candidoni, nel quale, in data 15 febbraio 2008 era stato rinvenuto un altro bunker e l’energia elettrica che veniva utilizzata in esso era erogata con contratto intestato sin dall’ottobre 1995 all’indagato anzidetto.

L’indagato L. aveva poi ricevuto la menzione del latitante B.G. in una canzone denominata "(OMISSIS)", essendo stato in esso indicato come "cognato C."; l’ordinanza impugnata aveva poi descritto le 11 intercettazioni telefoniche nelle quali i due indagati, pur non parlando mai esplicitamente di latitanti o dei loro covi, utilizzavano un linguaggio criptico ed allusivo, facendo riferimento a località non menzionate ma note ad entrambi, concordando urgenti incontri senza mai indicarne l’oggetto;

essi usavano poi la cautela di spegnere il cellulare durante gli spostamenti successivi alle conversazioni, sicchè era da presumere che essi ponessero una continuativa attività illecita collegata a località che non potevano essere menzionate, tale da far ritenere la sussistenza di una qualificate e stabile assistenza prestata al latitante B.G..

Significative erano state poi le intercettazioni telefoniche intercorse fra i due indagati subito dopo l’arresto di B. G., nel corso dei quali essi avevano concordato il da farsi, gestendo la fase successiva all’arresto del latitante.

L’attività di assistenza al latitante anzidetto, per consistenza, pregio e continuità nel tempo, lungi dall’essere inquadrarle in un semplice favoreggiamento personale ovvero in una mera procurata inosservanza di pena, appariva idonea ad integrare quella stabile messa a disposizione di sè ai fini della cosca di appartenenza, tale da consentire la configurazione del reato associativo ipotizzato nei loro confronti, soprattutto tenendo conto che essi aveva protetto la latitanza non di un accolito qualunque, ma di uno dei massimi esponenti di vertice della feroce cosca dei BELLOCCO, si da aver contribuito al mantenimento di tale sua posizione di vertice durante il lungo periodo di latitanza; e non poteva valere in senso contrario la circostanza che non erano emersi specifici episodi in cui i due indagati avessero fatto da tramite tra il latitante e gli altri accoliti, essendo invece da ritenere che A. e L. fossero stati i principali punti di riferimento di B. G. durante la sua latitanza.

Il Tribunale ha poi ritenuto la sussistenza di rilevanti indizi di colpevolezza anche a carico di C.N. per aver egli, unitamente alla propria consorte, messo a disposizione del latitante B.G. il proprio terreno, sito in località Acque Bianche del Comune di Rosarno per collocarvi un bunker fornito di una via di fuga estesa circa 20 metri all’interno del fondo limitrofo, intestato in pari aliquota all’odierno indagato ed alla moglie;

trattavasi di via di fuga costituita da una serie di fusti metallici ermeticamente uniti fra di loro da una stringa in alluminio, i quali terminavano in un apposito vano con pareti di mattoni e con la porta d’uscita celata da una struttura esterna.

Il bunker era attrezzato per dare rifugio a latitanti per lunghi periodi; era fornito di energia elettrica di acqua attraverso condutture che passavano attraverso il citato fondo del C. e della propria consorte.

Nell’abitazione dell’odierno indagatoli 9 febbraio 2007 era stata poi rinvenuta all’interno di una cassaforte una poesia manoscritta intitolata "dovere", dedicata agli "uomini degni", inneggiante ai valori mafiosi, innanzitutto ai doveri di mutismo assoluto e di assistenza ai latitanti; era poi emerso che il C. e la moglie fra il 1991 ed il 2004 avevano acquistato con un esborso sproporzionato rispetto ai propri redditi numerosi fondi agricoli, siti nelle campagne di Rosarno, cioè in aree notoriamente sottoposte al controllo mafioso dei BELLOCCO ed utilizzate per assicurare la latitanza dei maggiorenti della cosca; secondo il Tribunale non era concepibile che, nell’ambito del complesso ed efficace sistema di protezione dei latitanti, i B. avessero scelto nel loro regno mafioso in modo del tutto casuale i terreni dove costruire i bunker e le relative condutture elettriche ed idrauliche oltre che le relative vie di fuga, le quali, per le loro caratteristiche, non potevano sfuggire a chi coltivava quei campi; d’altra parte il C. non era da ritenere un estraneo, come poteva desumersi dalla poesia composta in suo onore ed a lui dedicata da un esponente di vertice della cosca BELLOCCO; con riferimento poi alla ravvisata sproporzione fra i redditi ed il patrimonio dell’indagato, le argomentazioni difensive non erano state ritenute adeguate in quanto erano stati indicati non i redditi imponibili ma i ricavi complessivi; d’altra parte occorreva tener presenti solo i redditi prodotti anteriormente agli acquisti e non erano emersa la contrazione di prestiti da parte dell’indagato, non essendo stato ritenuto adeguato quanto affermato al riguardo dal fratello del medesimo, il quale aveva dichiarato di aver contratto un mutuo fondiario il cui importo sarebbe stato integralmente devoluto all’odierno indagato, trattandosi di dazione priva di qualsiasi giustificazione; ed il bunker anzidetto era da ritenere nella disponibilità del latitante B.G. come poteva desumersi da una conversazione ambientale intercettata l’8 marzo 2006, intercorse fra stretti parenti del latitante, nel corso della quale si era appunto parlato del bunker scoperto in località Acque Bianche, quello cioè ubicato sul terreno di proprietà dell’odierno indagato.

3. Il Tribunale ha ritenuto poi a carico del C. la sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, atteso che l’assistenza ai latitanti costituiva una delle finalità primarie della ‘ndrangheta, in quanto, attraverso l’assistenza ad essi, l’associazione proteggeva se stessa ed inoltre perchè, in tal modo, veniva alimentata la diffusa sensazione della propria impunità e quindi si forniva nuova linfa alla capacità intimidatoria che la caratterizzava; pertanto l’aiuto prestato dal C. al latitante B.G., all’epoca massimo esponente dell’omonima cosca dopo la cattura di BE.Gi., avvenuta il 16 luglio 2007, rientrava nel programma criminale dell’associazione criminosa di stampo mafioso, avendo l’indagato inteso avvantaggiare, attraverso il suo massimo esponente ancora latitante, la cosca nel suo complesso.

4. Il Tribunale ha altresì ritenuto la sussistenza in capo a tutti e tre gli indagati di valide esigenze cautelari, tale da giustificare la custodia cautelare in carcere, tenuto conto della presunzione di pericolosità sociale posta dall’art. 275 c.p.p., comma 3 nei confronti sia dei partecipi, sia di coloro che agevolavano l’associazione di stampo mafioso; ed il decorso del tempo non indicava resipiscenza o rescissione dei legami con l’associazione, atteso che i servigi nei confronti di esponenti della consorteria criminosa ben avrebbero potuto proseguire verso altro latitante od in altri settori.

Sussistevano inoltre indizi evidenti di pericolosità sociale anche ai sensi dell’art. 274 c.p.p., lett. c), atteso che, con riferimento all’ A. ed al L. gli indizi emersi nei loro confronti provavano la loro partecipazione alla potente e vitale cosca dei B.; con riferimento al C., i gravi fatti riscontrati lumeggiavano il suo significativo inserimento per la sua affidabilità e riservatezza in allarmanti relazioni con la medesima consorteria criminosa, in quanto il suo terreno era stato appositamente scelto come luogo di passaggio della via di fuga e delle condutture del bunker di B.G. e cioè di un personaggio che, in quel momento, dopo la cattura di BE. G., era da ritenere il massimo esponente della cosca latitante.

Ne derivava la concreta possibilità per ciascuno dei tre indagati di reiterare, nei confronti di altri latitanti, il reato commesso o comunque di compiere delitti di criminalità organizzata, rientranti nel programma delinquenziale della feroce consorteria di appartenenza.

5. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Reggio Calabria hanno proposto ricorso per cassazione per il tramite dei rispettivi difensori sia L.V., sia A.M., sia C.N..

5. I primi due, anche con motivi aggiunti, hanno lamentato erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Un’analisi approfondita degli elementi posti a loro carico non poteva consentire in assoluto alcuna tipologia di una loro partecipazione, ex art. 416 bis c.p. all’associazione criminosa di stampo mafioso facente capo ai BELLOCCO, nè poteva consentire l’identificazione di alcuna attività di favoreggiamento personale ovvero logistico da essi commessa a favore del latitante B.G..

Il grado di stretta affinità che legava essi indagati al latitante B.G. più che una oggetti va ed automatica aggravante, poteva giustificare i contatti ed i rapporti, che avevano natura esclusivamente affettiva; ciò poteva spiegare perchè il latitante B.G., al momento della sua cattura, risultava avere nella memoria del suo cellulare solo i numeri di essi indagati numeri che, tuttavìa, il latitante non aveva mai utilizzato; se tali numeri di cellulare fossero stati da essi utilizzati per finalità logistiche, affaristiche e criminali quotidiane, avrebbero dovuto formare oggetto di frequenti contatti, invece riscontrati come insussistenti nell’arco di due anni e cioè dal 2004 al settembre 2005, epoca dell’arresto di B.G..

Al di là del mero sospetto riferibile al linguaggio criptato usato dai due indagati per riferirsi a località non meglio specificate, oppure per occasionali controlli su strada con altre persone, non c’era alcuna traccia dalle quali poter desumere che essi si fossero mai incontrati con il latitante B.G., sì da diventare veicoli di notizie od ambascerie da riferire agli altri associati a piede libero, associati dei quali neppure era stata fornita alcuna traccia.

Neanche le canzoni scritte di pugno dal latitante B.G. erano idonee a colmare le vistose falle contenute nel costrutto accusatorio contestato ad essi indagati; costituivano mere supposizioni quanto rilevato dal Tribunale circa il preteso pattugliamento del territorio da essi posto in essere; tali controlli erano in realtà avvenuti a loro carico in occasioni sporadiche e diluite nel tempo ed in territori disomogenei l’uno rispetto all’altro; e l’unico isolato episodio, riportato dal provvedimento impugnato, avvenuto il 12 aprile 2003, allorchè in Mileto essi ricorrenti erano stati rinvenuti presenti quando altri soggetti stavano interrando un bunker, non aveva una sicura valenza indiziaria in quanto era avvenuto in zona diversa da quella in cui era risultato latitante B.G.; tale episodio avrebbe potuto essere penalmente rilevante solo sotto il profilo del favoreggiamento personale, salva l’esimente di cui all’art. 304 c.p.; in ogni caso non era stato ancora appurato a favore di chi tale operazione fosse stata posta in essere.

6. C.N. ha lamentato erronea applicazione e violazione di legge nonchè motivazione logica e contraddittorio. Ad esso ricorrente era stato contestato il delitto di procurata inosservanza di pena, aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, per aver messo a disposizione del latitante B.G. un proprio terreno sito in Rosarno, località "Acque Bianche" ove era stato costruito un bunker. Tale bunker ricadeva ai limiti del terreno di esso ricorrente e la relativa via di fuga vi ricadeva per circa 20 metri, mentre le condutture elettriche ed idrauliche passavano sul terreno di esso ricorrente.

Era vero che la costruzione di bunker aveva richiesto tempi non indifferenti si da poter attirare l’attenzione di chi sui fondo svolgeva costante attività di coltivazione, tale da rendere necessaria la sua presenza; qualora tuttavia il proprietario del terreno non avesse frequentato costantemente il fondo, poichè il tipo di cultura praticato al momento fosse stato scadente, in questo caso terzi estranei all’insaputa di esso proprietario ben avrebbero potuto porre in essere, indisturbati, errori logistici necessari per realizzare quanto era stato scoperto.

Il rinvenimento di una poesia trovata nell’abitazione di esso ricorrente risalente a molto tempo prima e proveniente da BE. G., persona diversa da quella che aveva ricevuto protezione del bunker in esame, non aveva alcuna gravita indiziaria; comunque neppure poteva ritenersi sussistente l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in quanto il bunker avrebbe dovuto favorire non già l’intera cosca BELLOCCO ma il singolo soggetto, in mancanza di un’ampia consapevolezza da parte sua circa la consistenza e la struttura della consorteria criminosa anzidetta.

Comunque se esso ricorrente fosse stato un semplice prestanome di B.G. nel l’effettuare l’acquisto dei terreni posti sotto sequestro, egli avrebbe dovuto rispondere del delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, ma non certamente il reato di cui all’art. 290 aggravato come sopra indicato, in quanto egli, in tal caso, non avrebbe dovuto prestare alcun consenso perchè altri potessero costruire sul terreno di loro proprietà, in quanto esso ricorrente sarebbe stato un semplice prestanome.

Il fatto risaliva poi all’anno 2005 e non era stata indicata alcuna esigenza cautelare, anche perchè ormai da anni i latitanti del clan Bellocco erano stati assicurati alla giustizia; nella peggiore delle ipotesi alla pena concreto applicatagli avrebbe potuto poi essere applicato il provvedimento di clemenza sino a tre anni di reclusione, a meno di reato non si fosse nel frattempo prescritto.
Motivi della decisione

7. I ricorsi sono infondati.

Ed invero alla fattispecie trovano applicazione consolidati principi di diritto reiteratamente affermati da questa Corte di legittimità.

In primi luogo giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici, con la conseguenza ulteriore, anch’essa di comune insegnamento, che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo;

Cass. sez. 4^, 6.6.07, n. 22500). Orbene, nel caso in. esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale di cui nella prima parte del presente provvedimento si è data ampia sintesi, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata. D’altra parte appare altresì opportuno sottolineare che, ai fini dell’emissione di una misura cautelare personale, per "gravi indizi di colpevolezza" ex art. 273 c.p.p., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sè a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato ai fini della pronuncia di una sentenza di condanna, e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (principio ampiamente consolidato; tra le tante: Cass., Sez. 6^, 06/07/2004, n. 35671).

E nel caso di specie i numerosi dati indiziari, accompagnati da robusti elementi di autentico valore probatorio (anche di essi si è dato ampio conto nelle pagine che precedono) sostengono più che adeguatamente la decisione assunta.

Rimane un’unica questione di diritto alla quale è d’uopo dare riscontro e precisamente quella sollevata difensivamente, nell’interesse di C.N., in ordine alla legittimità della contestata aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7, posto che il bunker realizzato sul suo fondo agricolo, tutt’al più, doveva favorire la persona del B.G. e non già l’intera sua consorteria. Trattasi di tesi non condivisibile.

Il favorire la latitanza di una figura apicale di una potente consorteria malavitosa giova ad essa dappoichè consente la piena operatività del suo più importante organizzatore ed ispiratore, di guisa che palese appare il nesso tra la condotta dell’indagato e l’utilità recata all’intera associazione mafiosa dei Bellocco e non già al solo B.G..

8. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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