Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-02-2011) 20-05-2011, n. 20046 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19.4.2010, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Como applicava a M.V. in relazione al reato di truffa (per aver indotto in errore la Regione Lombardia in ordine alla quantificazione del rimborso relativo alla carta sconto benzina per i residenti in Lombardia ex L.R. n. 28 del 1999, mediante numerosi artifizi e raggiri puntualmente indicati ai punti da uno a nove nel capo di imputazione, così traendo l’ingiusto profitto con pari danno della Regione di Euro 40.544,14) la pena di anni uno mesi quattro di reclusione ed Euro 300 di multa, alla snc Marone Vincenzo per l’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 24 la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 17.200, e disponeva ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 9 e art. 19, comma 2 la confisca quale profitto del reato della somma di Euro 40.554,14,.

Ricorre per cassazione M.V., deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), limitatamente all’applicazione della confisca, per erronea applicazione della legge penale – in particolare del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19 – e manifesta illogicità della motivazione a riguardo, rilevando che la sentenza di patteggiamento non ha le caratteristiche proprie di una sentenza di condanna, e il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19 prevede invece che la confisca venga disposta "con la sentenza di condanna".

Rileva altresì che l’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale della confisca è espressamente prevista dall’art. 322 ter c.p. in caso di patteggiamento e da numerose norme istitutive di forme di confisca speciale obbligatoria; quindi nella fattispecie "de qua" non è ammissibile un’interpretazione estensiva. Il D.Lgs. n. 231 del 1991, art. 19, comma 1, esclude poi la confisca per la parte del prezzo o del profitto che può essere restituita al danneggiato, e la forma di confisca per equivalente è prevista dalla norma solo in via alternativa. Nella specie, il danneggiato può identificarsi nella Regione Lombardia, e pertanto – essendo stato confiscato l’intero importo indebitamente percepito – l’imputato potrebbe vedersi costretto a pagare due volte i danni alla regione Lombardia.

Anche sotto tale profilo non sarebbe quindi consentita la confisca, la quale peraltro non è stata oggetto di accordo tra le parti. La decisione non è infine sufficientemente motivata a proposito dei presupposti della confisca per equivalente.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

I motivi sono infondati, e il ricorso va, pertanto, rigettato.

La decisione ablativa assunta dall’impugnata sentenza in relazione all’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 24 è, infatti, immune da censure, in quanto sorretta da congrua motivazione, e fondata su corrette inferenze giuridiche.

Il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 9, sulla responsabilità da reato degli enti, tra le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, annovera alla lett. c) la confisca.

La confisca della somma di Euro 40.554,14, quale profitto del reato, è stata, quindi, disposta nella sentenza impugnata, in forza dell’art. 19 della legge citata il quale prevede, al comma 1, che "nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato", ed al comma 2 (disposizione che replica lo schema normativo di altre disposizioni già presenti nel codice penale o in leggi penali speciali), che – nei casi in cui non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1 – la confisca può essere disposta "per equivalente", ovvero avente per oggetto somme di danaro di valore equivalente al prezzo o al profitto dal reato.

Ai sensi dell’inequivocabile tenore testuale del comma 2 di tale articolo, la confisca può pertanto avvenire anche "per equivalente" rispetto al prezzo o al profitto del reato, non in via alternativa, bensì quando non ne sia possibile la diretta confisca ai sensi del comma 1.

Dalle norme citate in tema di responsabilità da reato degli enti, appare chiara la configurazione della confisca come sanzione principale, e autonoma rispetto alle altre pure previste nella normativa in esame (v. Cass. S.U., sent. n. 26654/2008, Rv. 239925).

Dalla lettura della norma, e in particolare dall’uso dell’avverbio "sempre" nel citato art. 19, emerge chiaramente che la sanzione della confisca è poi obbligatoria, nei confronti dell’ente; lo stesso dicasi per la possibilità di confisca per equivalente (prevista per i casi in cui non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, e che fa venir meno ogni rapporto diretto tra il reato e i beni oggetto della misura) che è obbligatoria ed espressamente estesa, in deroga alla norma generale dell’art. 240 c.p., comma 2, anche al valore equivalente al profitto del reato (cfr. Cass. Sez. 2^, sent. n. 28683/2010 Rv. 247670).

Secondo il ricorrente, il tenore letterale della norma di cui all’articolo 19 non consentirebbe al giudice di applicare la confisca in questione in sede di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., in quanto la norma menziona unicamente la sentenza di condanna e alla sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. non può riconoscersi natura di sentenza di condanna; a sostegno della propria tesi, aggiunge poi che nella fattispecie non è possibile un’interpretazione estensiva, e che nelle ipotesi in cui il legislatore ha voluto equiparare – ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale della confisca – la sentenza di condanna a quella di applicazione pena lo ha fatto espressamente, così come, ad esempio, nell’art. 322 ter c.p..

La soluzione ermeneutica prospettata dal ricorrente non appare corretta, e non può essere condivisa in quanto incoerente, in via generale, con l’ormai acquisita natura della sentenza di applicazione della pena su richiesta, la quale, a norma dell’art. 445 c.p.p., comma 2, "salve diverse disposizioni di legge, è equiparata a una pronuncia di condanna" (v. Cass., Sez. Un., 29/11/2005 n. 17781/06, Diop e n. 17782/06, Duduman). In considerazione della natura della sentenza in questione, e in assenza di diverse disposizioni di legge in materia, ben può affermarsi che il termine "condanna" sta – nella norma citata – a indicare, con formula ellittica, sia la sentenza di condanna in senso stretto sia quella con la quale sia stata applicata la pena su richiesta ex art. 444 c.p.p..

Ne consegue che la confisca disciplinata dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19 è sicuramente applicabile anche in caso di "patteggiamento" (cfr., in tal senso, Cass. Sez. 6^, sent. n. 35802/2008, Rv. 241376).

Nella fattispecie, oggetto del delitto di truffa contestato a M. V., legale rappresentante della società di distribuzione di carburante Marone Vincenzo & C. snc, erano state le plurime condotte di uso illegittimo di carte sconto benzina per residenti in Lombardia, sistematicamente utilizzate all’insaputa dei titolari per ottenere rimborsi non dovuti, i cui importi venivano in realtà incassati dal M., che agiva nella qualità di amministratore della società. Queste essendo le condotte con cui si è consumato il reato, appare evidente che la confisca dei singoli importi non era materialmente possibile; considerato che alla società è stato contestato l’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 24, legittimamente è stata quindi applicata la sanzione obbligatoria della confisca per "equivalente" pari all’importo del profitto conseguito della somma di Euro 40.554,14.

Del tutto irrilevante, infine, la circostanza che la confisca non avesse formato oggetto dell’accordo tra le parti, essendo certa la determinazione dei beni profitto da reato destinati all’ablazione (cfr. Cass. Sez. 6^, sent. n. 12508/2010 Rv. 246731). Trattasi poi di confisca obbligatoria, e quindi di un atto dovuto per il giudice, sottratto alla disponibilità delle parti, e di cui l’imputato deve comunque tenere conto nell’operare la scelta del "patteggiamento".

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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