Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-02-2011) 20-05-2011, n. 20013 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27.9.2001, il Tribunale di Pesaro dichiarò N. L. responsabile del reato di violenza privata commessa in data successiva al 1.8.1996, e unitamente ad altri due connazionali dei reati di rapina aggravata consumata e tentata nonchè di violazione di domicilio aggravata commessi il (OMISSIS), e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione – concessa l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 equivalente alle contestate aggravanti – lo condannò alla pena di anni tre mesi sei di reclusione ed Euro 800,00 di multa.

Avverso tale pronunzia proposero gravame gli imputati, e la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza del 9.2.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, ritenuta assorbita la tentata rapina di cui al capo c) in quella consumata, riduceva la pena ad anni tre mesi quattro di reclusione.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) l’estinzione del reato di violenza privata ex art. 610 c.p. per intervenuta prescrizione; 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in riferimento alla presunta rapina ai danni di K.A. e alla qualificazione giuridica del reato, all’insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 614 c.p., u.c. (fatto commesso con armi), all’insussistenza del reato di cui all’art. 610 c.p.; 3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all’art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., comma 1; 4) errata equivalenza delle circostanze attenuanti con le circostanze aggravanti; 5) insufficienza della motivazione relativamente alla determinazione della pena.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza, e "della condanna dello N. al pagamento delle spese processuali anche del secondo grado e delle spese di custodia cautelare, nonchè della condanna all’interdizione dai pubblici uffici".
Motivi della decisione

I motivi di ricorso da uno a cinque sono infondati, e vanno pertanto rigettati.

In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ( art. 393 c.p.), la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, di guisa che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato;

è inoltre necessario che la condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto (cfr., ex plurimis, Cass.Sez. 5, sent. n. 38820/2006, Riv. 235765).

Tanto premesso, appare evidente che i fatti commessi in danno di K.A., soggetto peraltro del tutto estraneo al rapporto di credito – debito intercorso tra il cugino K.E. e B. A., coimputato dell’attuale ricorrente, non possono essere qualificati come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza e minaccia alle persone, in quanto gli indumenti sottratti (oltre a L. 170.000) nell’abitazione della parte lesa nulla avevano a che vedere con il preteso diritto di credito vantato comunque nei confronti di K.E., e la condotta illegittima era non solo indirizzata verso persona diversa dal presunto debitore ma era anche fortemente sproporzionata alla soddisfazione di un credito di modesta entità.

Correttamente, la Corte d’appello ha pertanto rigettato la richiesta di derubricazione relativamente all’episodio di rapina in danno di K.A..

Infondata è anche la doglianza circa il trattamento sanzionatorio, avendo la Corte adeguatamente motivato sia il rigetto delle attenuanti generiche in considerazione della personalità dell’imputato quale si evince dalla gravità dei fatti e dai precedenti, che il giudizio di equivalenza tra l’applicata attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 e le aggravanti contestate in considerazione di tutti i parametri di cui all’art. 133 c.p. e avuto particolare riguardo alla gravità dei fatti per cui è processo.

Avendo la Corte risposto a tutti i motivi d’appello in modo adeguato e logico, indicando i precisi elementi di responsabilità del ricorrente per tutti i reati contestati la doglianza di inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., comma 1, è parimenti infondata.

Anche in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 614 c.p., u.c., e del delitto di violenza privata, la sentenza non è censurabile in quanto congruamente e logicamente motivata sia in riferimento alla configurabilità dei reati contestati che in riferimento al giudizio di responsabilità e, in particolare, all’attendibilità delle dichiarazioni rese dalle parti offese.

Considerato però che i reati risultano commessi in data (OMISSIS), e che entrambi i reati – stante la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 equivalente alle contestate aggravanti – si prescrivono nel termine massimo di anni sette e mesi sei, pur calcolando i periodi di sospensione pari a mesi otto e giorni 22 (rinvio dall’udienza del 21.5.1999 al 21.1.2000 per adesione degli avvocati all’astensione dalle udienze proclamata dagli organi rappresentativi della professione forense – mesi otto di sospensione -; rinvio dall’udienza del 9.3.2001 al 2.3.2001 su richiesta della difesa – gg. 22 di sospensione), entrambi i reati sono oramai estinti per intervenuta prescrizione.

Con il sesto motivo, il ricorrente chiede quale conseguenza dell’annullamento della sentenza l’annullamento della condanna al pagamento delle spese processuali anche del secondo grado e delle spese di custodia cautelare, nonchè della condanna all’interdizione dai pubblici uffici. Considerato che la sentenza di secondo grado non contiene alcuna condanna alla spese, avendo la Corte parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Pesaro, erroneamente il ricorrente fa riferimento alle spese di secondo grado, per le quali non vi è stata condanna.

Anche per tale motivo il ricorso va quindi rigettato.

La sentenza impugnata va invece annullata relativamente al solo N.L., e limitatamente ai delitti di cui agli artt. 610 e 614 c.p., perchè estinti per prescrizione.

Gli atti vanno trasmessi alla Corte d’Appello di Perugia per la sola rideterminazione della pena, a seguito dell’estinzione dei reati in questione.
P.Q.M.

La sentenza impugnata va invece annullata relativamente al solo N.L., e limitatamente ai delitti di cui agli artt. 610 e 614 c.p., perchè estinti per prescrizione.

Gli atti vanno trasmessi alla Corte d’Appello di Perugia per la sola rideterminazione della pena, a seguito dell’estinzione dei reati in questione.

P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente a N. L., e limitatamente ai delitti di cui agli artt. 610 e 614 c.p., perchè estinti per prescrizione.

Dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’Appello di Perugia, per la rideterminazione della pena.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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