Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-09-2011, n. 19488 confini

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 27.11.1998 XX esercitava azione di regolamento di confini contro XX srl, proprietaria di un limitrofo lotto di terreno, foglio 41, del Comune di (OMISSIS), particella 19, acquistato dal fallimento XX, esponendo che la convenuta, immediatamente dopo l’acquisto, nel 1988, aveva occupato parte del suo terreno, edificandovi il muro di recinzione, e che un capannone si trovava a distanza dal confine non conforme al regolamento edilizio, sicchè chiedeva il ripristino del confine, l’arretramento del muro di recinzione e l’abbattimento del fabbricato. La convenuta resisteva chiedendo la chiamata in garanzia del proprio dante causa, fallimento Italfoto srl, che a sua volta, chiedeva di chiamare in causa il Comune, rimasto contumace.

Dopo produzioni documentali il Tribunale di Perugia, con sentenza 23.7.2002, respingeva la domanda e compensava le spese.

La Corte di appello di Perugia, con sentenza 396/06, respingeva l’appello principale della Rapanelli ed in accoglimento dell’appello incidentale del fallimento condannava la soccombente alle spese di primo grado nei suoi confronti, nonchè alle ulteriori, osservando non essere dato comprendere il motivo dell’incertezza del confine non spiegato nè nell’atto di citazione nè nell’atto di appello.

Era stato prodotto solo un documento a firma del geom. M. R., datato 7.10.1998, nel quale si leggeva: La nuova costruzione muro di recinzione dista dal capannone esistente edificato sulla particella 19 m 7,30. Nella costruzione non si è tenuto conto che il fabbricato è stato inserito male in mappa, si allega planimetria catastale in cui si evidenzia in rosso la corretta posizione del capannone.

Non sembrava, tuttavia, che questo assunto potesse spiegare alcunchè e, pur potendo l’incertezza del confine essere anche meramente soggettiva, non poteva fondarsi su ragioni arbitrarie od inespresse.

La presenza di picchetti confinari infissi da lunghissimo tempo rendeva ancora più stringente l’onere dell’attore di indicare una qualsiasi ragione comprensibile a sostegno della dedotta incertezza del confine.

Ricorre Rapanelli Fioravante spa con unico motivo, resistono XX e Fallimento XX che eccepiscono l’inammissibilità del ricorso rispettivamente sotto il profilo della incertezza del destinatario per la divergenza tra il plico e la relata e della tardività.

Il ricorrente ha depositato documenti per contrastare le eccezioni.

Le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione

Preliminarmente vanno esaminate dette eccezioni.

L’originale del ricorso notificato e della relativa relata consente di dedurre il tempestivo deposito dell’atto presso l’ufficiale giudiziario e la regolarità degli adempimenti.

L’eventuale errore materiale non comporta incertezza nella identificazione del destinatario e la deduzione non supera la presunzione di conformità all’originale della copia (Cass. nn. 15199/04 e 11482/02).

La relata è atto dell’ufficiale giudiziario che si presume conforme all’originale fino a querela di falso mentre è onere del destinatario dimostrare che la irregolarità gli ha precluso la completa conoscenza dell’atto (Cass. 11528/03) mentre nella fattispecie si ammette la ricezione del plico correttamente indirizzato.

Quanto alla dedotta tardività, avendo la Corte costituzionale con sentenza 26.11.2002 n. 477 dichiarato l’illegittimità del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, art. 4, comma 3 nella parte in cui si prevede che la notificazione si perfeziona per il notificante alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzicchè a quella antecedente di consegna all’ufficiale giudiziario, rimane confermata la tempestività della richiesta di notifica nei termini di legge nei luoghi rituali, a nulla rilevando il successivo perfezionamento per effetto di notifiche negative.

Donde il rigetto delle eccezioni e la possibilità di esaminare il ricorso.

Si denunziano violazione degli artt. 118, 61 e 115 c.p.c., degli artt. 948 e 950 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4;

contraddittorietà di motivazione su fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Di fronte a contrapposte allegazioni delle parti relative allo stato dei luoghi e senza che alcuna delle due fornisca in proposito mezzi di prova diversi ed indiretti, il Giudice deve disporre di ufficio l’ispezione ex art. 118 c.p.c., se del caso a mezzo di ctu.

L’attrice aveva richiesto in primo grado e ribadito in appello di stabilire ai sensi dell’art. 950 c.c. i confini ed, accertata l’occupazione, di ordinare alla Ksp il rilascio, nonchè di accertare che l’opificio non era stato edificato alla distanza legale dal reale confine mentre entrambi i Giudici hanno ritenuto, sulla base della documentazione versata in atti, che nessuna situazione di incertezza del confine era dato rinvenire.

La autentica contesa era la conformazione dell’attuale stato dei luoghi.

Anche sul piano della motivazione la sentenza era illogica e contraddittoria allorchè tenta di giustificare la non ammissione della ctu ispettiva col mero riferimento al documento a firma del geom R..

Seguono indicazione del fatto controverso e quesito di diritto.

La complessiva censura, a prescindere dalla contestuale deduzione di vizi di violazione di legge sostanziale e processuale e di motivazione, in contrasto con la necessaria specificità del motivo, non merita accoglimento, non attaccando la complessiva ratio decidendi sopra riportata.

Come dedotto, la sentenza impugnata ha osservato non essere dato comprendere il motivo dell’incertezza del confine non spiegato nè nell’atto di citazione nè nell’atto di appello.

Era stato prodotto solo un documento a firma del geom. M. R., datato 7.10.1998, nel quale si leggeva: La nuova costruzione muro di recinzione dista dal capannone esistente edificato sulla particella 19 m 7,30. Nella costruzione non si è tenuto conto che il fabbricato è stato inserito male in mappa, si allega planimetria catastale in cui si evidenzia in rosso la corretta posizione del capannone.

Non sembrava, tuttavia, che questo assunto potesse spiegare alcunchè e, pur potendo l’incertezza del confine essere anche meramente soggettiva, non poteva fondarsi su ragioni arbitrarie od inespresse.

La presenza di picchetti confinari infissi da lunghissimo tempo rendeva ancora più stringente l’onere dell’attore di indicare una qualsiasi ragione comprensibile a sostegno della dedotta incertezza del confine.

Di fronte a questa motivazione, il principio di autosufficienza del ricorso avrebbe dovuto imporre una analitica deduzione delle ragioni proposte in primo grado e riproposte in appello per giustificare l’asserita incertezza del confine mentre la tesi, oggi sostenuta, della doverosità di una ispezione giudiziale di ufficio anche con ctu comporta la confessione di una mancata espressa ed argomentata richiesta di consulenza, che, invero, risulta genericamente formulata come ispezione a mezzo di ctu dall’esposizione del fatto in primo grado – pagina undici del ricorso – mentre in appello (pagina cinque dell’atto di impugnazione, riportata a pagina tredici del ricorso) si era dedotto: "in ogni caso, poichè non sussisteva controversia sui titoli di acquisto, dal momento che le parti concordavano nel ritenere che il confine tra le due proprietà fosse quello risultante dal tipo di frazionamento n. 320 dell’11.2.1981, la controversia sulla effettiva estensione dei rispettivi fondi confinanti poteva essere risolta solo con la nomina di un ctu che avrebbe dovuto provvedere, sul posto, alla individuazione ed alla demarcazione del confine", riferimento che conferma la non incertezza del confine, affermata dalla sentenza.

Nè si ravvisa illogicità nel richiamo al documento R. e nell’affermazione della sentenza che l’atto di appello non apporta alcuna ragionevole specificazione a sostegno della dedotta incertezza del confine, limitandosi ad insistere per la necessità di una consulenza tecnica che, invece, la Corte ritiene sperimentabile solo quando a fondamento dell’azione possa porsi una situazione di incertezza soggettiva vera e propria, intesa come convincimento individuale determinato da un motivo razionale, e non un’affermazione del tutto immotivata.

Il controllo di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito demandato alla Corte Suprema di cassazione non è configurato, nell’ordinamento vigente, come un terzo grado del giudizio nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze proposte e le tesi in diritto svolte a loro sostegno dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella precedente fase, bensì è preordinato all’annullamento di quelle, tra le dette pronunzie, nelle quali siano ravvisabili specifici vizi – che le parti espressamente denunzino, con puntuale riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-5, nelle forme e con i contenuti prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, forme e contenuti l’imprescindibilità dei quali non consente, a pena dell’inammissibilità dalla norma stessa comminata, la prospettazione d’una o più censure qualora ciascuna di esse non sia specificamente rapportata ad uno dei vizi espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. e non sia adeguatamente argomentata in relazione ad esso.

Un ricorso, pertanto, nel quale la sentenza impugnata non sia, non solo per espressa indicazione, ma neppure per implicita deducibilità dalle argomentazioni svolte, motivatamente assoggettata a censura in esplicita e puntuale relazione ad alcuno dei vizi ipotizzati dall’art. 360 c.p.c., non può trovare ingresso per suo assoluto difetto di specificità, giusta la surrichiamata espressa sanzione comminata dall’art. 366 c.p.c., e, d’altronde, come logica conseguenza di tale primario difetto, neppure le modalità di deduzione delle esposte ragioni risultano conformi alle finalità peculiari del giudizio di legittimità (Cass. 26.1.04 n. 1317), non essendo sufficiente il semplice richiamo per relationem alle circostanze esposte ed alle questioni trattate nei precedenti gradi del giudizio (e pluribus Cass. 6.6.03 n. 9060, 1.10.02 n. 14075, 10.4.01 n. 5816, 13.11.00 n. 14699, 7.11.00 n. 14479, 20.4.98 n. 4013, 13.1.96 n. 252, 20.1.95 n. 629).

Va, infine, rilevato che genericamente il fatto controverso viene indicato nell’effettivo stato dei luoghi, laddove la sentenza fa riferimento a picchetti esistenti da lunghissimo tempo e che il quesito di diritto se il giudice possa considerare sufficienti le allegazioni di una delle parti o debba disporre ispezione ex art. 118 c.p.c., se del caso a mezzo di ctu, è incongruo in quanto non tiene conto, oltre a quanto dedotto, che l’onere della prova spetta all’attore e che , nella fattispecie, non si è tenuto conto delle allegazioni di una parte ma si è rilevato che nè in citazione nè in appello si erano spiegate le ragioni dell’incertezza del confine, tali da giustificare una ctu.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2700,00 in favore di KSP Italia e 3200,00 in favore del fallimento Italfoto, di cui 200,00 per spese vive, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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