Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-02-2011) 20-05-2011, n. 20256

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4-12-09 la Corte di Appello di Catania pronunziava la riforma della sentenza emessa dal Tribunale del luogo in data 5-10-2004, con la quale S.M. e P. A. risultavano condannati per reato di tentato furto aggravato (ex art. 625 c.p., n. 7) commesso in data (OMISSIS), determinando la pena nei confronti di ciascun imputato in mesi quattro di reclusione ed Euro 200, 00 di multa (tenuto conto della diminuzione dovuta ai sensi dell’art. 56 c.p. e della diminuente del rito senza concedere le attenuanti generiche, confermando nel resto l’impugnata sentenza).

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore per ciascun imputato.

Con i motivi di gravame si censurava:

-1- la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) ed E), per mancanza di adeguata motivazione in riferimento alle richieste di ciascun appellante, avendo la difesa prospettato nei motivi di appello una diversa interpretazione dei dati processuali, della quale non si era dato conto in motivazione.

2 – In secondo luogo veniva censurata la mancata concessione dell’attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4.

Con riferimento alle attenuanti generiche, che – ad avviso della difesa avrebbero potuto essere dichiarate prevalenti si rilevava la mancata valutazione della personalità degli imputati e delle modalità della condotta.

Per la P. si censurava altresì l’affermazione di responsabilità evidenziando che durante l’azione (realizzata dal coimputato), la donna era rimasta seduta sul motoveicolo senza manifestare alcuna cooperazione.
Motivi della decisione

La corte rileva che i motivi di ricorso risultano inammissibili.

Invero le censure articolate dalla difesa con il primo motivo – inerenti alla mancanza di adeguata motivazione della sentenza di appello in relazione alle richieste avanzate da ciascun appellante, appaiono del tutto generiche, e prive di riferimenti a risultanze processuali che siano state disattese o trascurate nella valutazione resa circa i presupposti del giudizio di penale responsabilità dei ricorrenti.

Viceversa dalla motivazione della sentenza emerge la puntuale valutazione della tesi difensiva, avendo la Corte evidenziato che dall’istruttoria dibattimentale era emersa con chiarezza la prova della responsabilità dello S. (costui, che era su un motoveicolo insieme alla coimputata, si era posto a ridosso del furgone, dal quale l’autista, che aveva lasciato aperto il portellone, era intento ad eseguire consegna di merci.

Nell’occasione l’imputato aveva scaricato confezioni di generi alimentari, ponendole sullo scooter, dove la P. era rimasta seduta).

La Corte aveva altresì valutato la condotta della P., ritenendo che costei avesse assicurato, rimanendo sul veicolo, la possibilità per lo S. di immediata fuga.

In giurisprudenza risulta pacifico il principio per cui risponde di concorso nel delitto anche colui che con la propria presenza agevoli o rafforzi il proposito criminoso altrui (v. Cass. Sez. 127-11-1991-7 -2-1992, n. 1172 ed altre conformi).

Da ciò emerge la manifesta infondatezza delle deduzioni difensive.

Orbene, deve dunque rilevarsi che compiutamente il giudice di appello ha esaminato le deduzioni addotte dalla difesa dei due imputati.

Quanto al secondo motivo, che si riferisce alla mancata applicazione dell’attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4. Si deve evidenziare che tale censura deve ritenersi inammissibile, in assenza i specifici riferimenti a dati di fatto addotti in appello, per dimostrare la particolare tenuità del fatto, mentre resta esaurientemente motivata in sentenza l’adeguatezza in concreto della pena a ciascun imputato inflitta, nonchè l’esclusione del giudizio di prevalenza delle generiche, che la Corte ha ritenuto di non concedere per assenza di elementi a favore di tale valutazione. In conclusione resta incensurabile in questa sede la motivazione della impugnata sentenza, che – quoad poenam – deve ritenersi aderente ai criteri stabiliti dall’art.133 CP. La Corte deve dunque dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi per genericità e manifesta infondatezza dei motivi.

Ciascun imputato va condannato al pagamento delle spese del procedimento, ed al versamento di una somma in favore della cassa delle Ammende, che si determina in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000, 00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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