Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 20-05-2011, n. 20133 Trattamento penitenziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1.- Con ordinanza 19.2.2010, depositata il successivo 22.2.2010 il Tribunale di Sorveglianza di Roma, rigettava il reclamo proposto da C.V. avverso il decreto 21.10 2009 con il quale il Ministro della Giustizia aveva applicato nei suoi confronti il regime penitenziario differenziato previsto dalla L. n. 354 del 1975, art. 41 bis.

1.2- Avverso l’ordinanza proponeva ricorso l’avvocato Antonio Fiumefreddo difensore del C. per adducendo a ragione il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Secondo gli assunti difensivi il Tribunale ha confermato l’applicazione del regime detentivo di cui all’art. 41 bis O.P. pur in mancanza di una attuale e concreta capacità del soggetto di mantenere contatti con l’associazione di appartenenza in costanza di ordinaria restrizione carceraria. Attuale e concreta capacità non dimostrata dal richiamo agli elementi offerti dalla DDA, dalla precedente condanna, ormai completamente espiata e risalente al 1996, dalle dichiarazioni di diversi collaboranti rese in diversi procedimenti, dall’emissione di più provvedimenti di condanna per reato associati vo nei confronti del C., l’ultimo dei quali, peraltro avente ad oggetto una contestazione afferente al 2001. Ciò senza, di contro, valutare che il C. era stato detenuto sino al luglio 2008 senza mai aver dato adito a qualsi voglia sospetto di contatto con l’associazione in costanza di regime intramurario ordinario. Inoltre la partecipazione alla riunione nel corso della quale il C. fu arrestato non è idonea a dimostrare l’attuale operatività del clan e la permanente adesione allo stesso del C. medesimo, ma al più può costituire fumus commissi delicti in riferimento alla ipotesi associativa; nè le dichiarazioni dei collaboratori, in particolare di B. citato nel decreto ministeriale e di R.G., hanno mai attribuito al ricorrente la posizione di responsabile del rione Picanello per il clan Santapaola, anzi è proprio il B., in sede di convalida di arresto, a riferire di sapere che si fosse tenuto lontano dall’associazione rimanendo "isolato", elemento fattuale a riprova della illegittimità del decreto ministeriale e, con sequenzialmente, dell’ordinanza impugnata. Ordinanza che, in palese violazione di legge, invece di fondare la decisione sulla acclarata insussistenza di una concreta capacità di attuale collegamento con l’associazione all’esterno, richiama ai fini del rigetto del reclamo la "possibile ricerca di nuovi contatti", non idonea a supportare l’applicazione dello speciale regime detentivo.

1.3.- Il Procuratore Generale dott. Tindari Baglione con atto depositato il 17.6.2010, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

1.4.- Con memoria di replica depositata il 29.11.2010 la difesa ricorrente eccepisce di non aver mai assunto quale motivo di doglianza, contrariamente a quanto sostenuto dal Procuratore generale, la carenza di motivazione, ribadendo che le argomentazioni esposte, e di seguito nuovamente puntualizzate, attengono alla sola inconsistenza del requisito della concreta ed attuale capacità del detenuto di mantenere rapporti con l’organizzazione nonostante la carcerazione.

4.- Il ricorso è palesemente inammissibile. Nonostante, infatti, il dato nominalistico evidenziato e ribadito, anche in memoria di replica, le censure esposte spaziano ben oltre la assunta violazione di legge evocando, da un lato, letture diverse, e non consentite in sede di legittimità, di elementi di fatto pure valutati congruamente dall’ordinanza impugnata, dall’altro puntualizzano, siccome contraddittori ed illogici, singoli passaggi argomentativi del provvedimento, estrapolati atomisticamente e riportati, in maniera volutamente impropria, secondo un canovaccio espositivo volto a sottolineare aspetti marginali piuttosto che quelli posti ad effettivo fondamento della decisione, assieme ad elementi tratti direttamente dal decreto ministeriale o da atti diversi.

La lamentata violazione di legge, asseritamente consistita nella conferma del decreto ministeriale pur in assenza della concreta ed attuale capacità del ricorrente di mantenere contatti con l’organizzazione criminale di riferimento in regime di carcerazione ordinaria, è inconsistente posto che la ratio del regime di cui all’art. 41 bis O.P. è quella di prevenire il pericolo che attraverso comunicazioni tra detenuti o tra questi ed il gruppo o i gruppi operanti all’esterno, possano realizzarsi situazioni di compromissione per l’ordine e la sicurezza e reiterazione di condotte delittuose e non è, come parrebbe sostenere il ricorso, volta retrospettivamente a vagliare quali e quanti possano essere stati i rapporti intrattenuti in corso di precedenti detenzioni in regime ordinario ovvero in libertà (Sez. 1, 10 gennaio 2005, rie. Lombardo, rv. 230554; Sez. 1, 26 gennaio 2004, ric. Zara, rv. 228049).

Nè è sostenibile che tali rapporti siano stati assenti, tanto in detenzione che dopo la scarcerazione, laddove l’ordinanza impugnata evidenzia come il decreto ministeriale di applicazione del regime differenziato si fondi su provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso nei confronti del C. il 12.10.2009 dal GIP del Tribunale di Catania per associazione mafiosa, nonchè sui fatti che avevano condotto al suo arresto in flagranza di reato, mentre egli prendeva parte ad una riunione diretta alla composizione, non esclusa quella armata, di un conflitto tra clan rivali. Prende atto il provvedimento che, secondo quanto riferito dalla DDA, uno degli arrestati presenti al summit, aveva reso dichiarazioni concernenti le finalità dell’incontro ed il ruolo dei singoli partecipanti e valuta che l’incontro, al quale erano presenti importanti latitanti e i reggenti delle famiglie Santapaola e Laudani, doveva essere apprezzato come momento di raccordo per gli affiliati di maggior rilievo e fiducia. Il C. vi aveva preso parte in quanto uomo d’onore del clan Santapaola, appartenenza che già gli aveva comportato condanna in via definitiva per fatti antecedenti al 1996 e altra condanna ancora non irrevocabile, per fatti analoghi attinenti a periodo successivo, pronunciata dal Tribunale di Catania nel 2009.

Per partecipare alla riunione il C. aveva violato le prescrizioni dell’obbligo di soggiorno, correndo il rischio dell’arresto e del ripristino della custodia cautelare, le risultanze di indagini in corso, come riferito dalla DDA, evidenziavano il suo inserimento nel clan Santapaola, più specificamente nella squadra di Picanello.

Riteneva, quindi il Tribunale, contrariamente agli assunti difensivi, che le chiare connotazioni mafiose della riunione, nel corso della quale il C. era stato tratto in arresto, costituissero prova autonoma ed inconfutabile della attuale operatività del clan di appartenenza del C., nonchè della permanente adesione di quest’ultimo al sodalizio medesimo. Rilevava, infine, che sulla base del verbale dell’interrogatorio reso dal coimputato B. I. e dall’ordinanza 30.10.2009 del Tribunale della Libertà di Palermo, prodotti in atti dalla difesa, pur non potendosi riconoscere al C. la carica di responsabile del gruppo di Picanello, attribuibile invece ad altro coimputato, tale T., emergeva, tuttavia, una sua posizione di superiorità su quest’ultimo e restava, comunque, delineato il suo ruolo di spicco ed autorevolezza nell’ambito della consorteria criminale, confermato dalla sua ammissione e partecipazione alla riunione nel corso della quale fu tratto in arresto.

Dunque il tribunale ha correttamente individuato e vagliato gli indici effettivi di pericolosità qualificata dai quali deve essere desunta la specifica capacità del soggetto, intesa quale fondata previsione prognostica, non solo di intrattenere rapporti con il clan di appartenenza in corso di detenzione, anche della particolare rilevanza del tipo di relazioni potenzialmente reiterabili con personaggi di sicuro rilievo nell’ambito delle consorterie criminali (Sez. 1, sent. 3.3.2006, a 14551, ric. PG in proc. Di Giacomo, Rv.

233944). E ciò in quanto il regime differenziato non si giustifica astrattamente sulla natura del titolo di reato oggetto della condanna o della imputazione ma sul pericolo effettivo della permanenza di collegamenti, sia con altri detenuti che con i sodali ancora in libertà, e della perpetuazione, attraverso tali collegamenti, della partecipazione alle attività delle organizzazioni criminali per favorirne e determinarne l’ulteriore attività delittuosa.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente C.V. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ( mille) alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *