Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 20-05-2011, n. 20122 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1.- Con sentenza emessa il 22 gennaio 2010 la Corte di appello di Napoli confermava nei confronti di B.B. la condanna pronunciata l’11 giugno 2009 dal GUP del Tribunale di Napoli che, in esito a giudizio abbreviato, affermatane la penale responsabilità per i delitti, aggravati ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11 bis e art. 61 c.p., n. 6, di omicidio e di violenza sessuale, aveva inflitto al predetto la pena di anni 20 di reclusione così determinata: anni 24 per il primo delitto più anni 10 in relazione al secondo, ridotti ad anni 30 per il disposto degli artt. 74 e 78 c.p., ulteriormente ridotti ad anni 20 per il rito.

I fatti oggetto del processo riguardano l’omicidio di K. V. consumato, l’11.1.2009 in San Giuseppe Vesuviano, dall’imputato il quale attinse la vittima con ripetuti colpi di arma da punta e taglio in parti vitali del corpo, e la successiva violenza carnale che il B. portò a termine in danno T.A., obbligandola a congiungersi carnalmente con lui con la minaccia di farla a pezzi e facendo leva sullo stato di paura nel quale ella si trovava per aver assistito all’omicidio.

Rilevava la corte territoriale che l’imputato aveva ammesso di avere colpito ripetutamente, nel corso di una lite insorta per futili motivi ed agevolata dallo stato di ubriachezza di entrambi, la vittima con una forbice ma assumeva di averlo fatto per difendersi dall’aggressione che il K. stava attuando nei suoi confronti armato di un piccolo martello, tesi questa ritenuta inverosimile dai giudici sul rilievo che non sussisteva alcun serio pericolo per l’incolumità dell’imputato che, più giovane e prestante di suo avversario ben avrebbe potuto disarmarlo.

Che si versasse in ipotesi di omicidio volontario e non preterintenzionale era, poi, secondo l’argomentare dei giudici, ampiamente dimostrato dal numero dei colpi che avevano attinto la vittima, ben 33, al collo, al torace all’addome, tutte parti vitali, e dallo strumento usato, una forbice di dimensioni tali da affondare penetrando sino ai polmoni tanto da provocarne il collasso, nonchè dal riscontrato atteggiamento dell’imputato che davanti alle implorazioni della vittima di essere risparmiata continuò a colpirla.

Riteneva ugualmente inverosimile la asserita volontarietà del congiungimento carnale da parte di T.A., consumato prima della lite con il K. perchè smentito dalle reiterate dichiarazioni della stessa la quale raccontò agli inquirenti che l’imputato, in stato di ebbrezza alcolica, dopo aver colpito V., le aveva intimato di spogliarsi e, minacciandola che se non avesse acconsentito la avrebbe fatta a pezzi, la aveva obbligata ad avere un rapporto sessuale con lui; versione questa raccontata anche alla amica F.S., presso la quale si era rifugiata subito dopo i fatti, ancora prima che agli inquirenti.

Quanto al trattamento sanzionatorio la corte di appello riteneva la non concedibilità delle attenuanti generiche sia per i precedenti giudiziari del prevenuto, anche se non ancora veri precedenti penali, sia in considerazione della spiccata capacità criminale desumibile dalle modalità dell’omicidio.

1.2.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’avvocato Salvatore Maria Sergio difensore di B.B. assumendo a motivo la carenza di motivazione della sentenza perchè riguardo alla attendibilità delle prove si è limitata a richiamare il ragionamento del giudice di primo grado.

Lamenta in particolare che la corte di appello non abbia esplicitato le ragioni sulla base delle quali ha ritenuto l’attendibilità della teste T.A., teste oculare e interessata ad allontanare da sè l’accusa di concorso in omicidio, come dimostrato dall’accusa di violenza carnale rivolta da lei al’imputato, nonchè della teste F., ritenendo, apoditticamente, le loro dichiarazioni convergenti. Osserva che neppure una parola è stata spesa sulla perizia medico legale nonostante la stessa non avesse prospettato certezze sulle modalità di verificazione dei fatti; che è solo apparente la motivazione concernente il diniego della concessione delle attenuanti generiche e la complessiva determinazione della pena. Infine, l’accusa di violenza sessuale è stata ritenuta, sic et simpliciter, sulla base delle dichiarazioni della presunta vittima, personaggio da allegare invece a sospetto per le sua equivocità e per l’infima caratura morale.

1.3.- Il Procuratore Generale, dott. Gabriele Mazzotta, ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

2.1.- Il ricorso, assolutamente generico e manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile con le dovute conseguenze di legge.

2.2- Invece di svolgere delle censure puntuali e fondate all’iter argomentativo dei giudici di appello, i quali hanno correttamente e coerentemente ricostruito la vicenda sulla base delle emergenze probatorie disponibili, il ricorrente si limita ad individuare, nell’ambito di un atto ricco di premesse e considerazioni di carattere generale, non specifiche nè pertinenti, alcuni punti della decisione gravata rispetto ai quali muove la censura di assoluta carenza di motivazione adombrando, senza peraltro indicarle, possibili e diverse ricostruzioni dei fatti.

Sull’attendibilità della teste T.A., tanto per quel che concerne l’omicidio che la violenza sessuale, corte la ha, coerentemente e logicamente, ricondotta alla genuinità ed immediatezza delle sue dichiarazioni, rese da prima all’amica F.S. e, successivamente, con identità di contenuti, agli inquirenti, alla mancanza di un suo individuabile interesse ad agire con finalità calunniatorie nei confronti dell’imputato.

Sulla base della consulenza necroscopica i giudici hanno ricostruito il numero delle coltellate inferte alla vittima, la loro violenza e la potenzialità micidiale che le ha caratterizzate; per quel che riguarda la quantificazione della pena hanno valutato sia la personalità dell’imputato che le emergenze derivanti dalle modalità efferate del delitto, ciò con ragionamento logico, esplicito ed ancorato ai dati fattuali riversati nel processo.

Dunque nessuna carenza o mancanza di motivazione è ravvisabile nel provvedimento impugnato.

Per le ragioni sopra esposte il ricorso dell’imputato deve essere dichiarato inammissibile. Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – non ravvisandosi ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma congruamente determinata in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente B.B. al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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