Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 20-05-2011, n. 20121 Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. – Con sentenza pronunciata il 4 maggio 2009 la Corte di appello di Reggio Calabria, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento parziale con rinvio della Corte di Cassazione, riformava parzialmente la decisione 11 maggio 2006 del GUP di Reggio Calabria che, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato G. G. alla pena di anni 18 e mesi 4 di reclusione e S. S. alla pena di anni 9 e mesi 4 di reclusione, perchè ritenuti colpevoli: il primo dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2 e 3, e altri, unificati al primo dal vincolo della continuazione di cui agli artt. 110 e 112 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; il secondo del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1 e 3, ed altro, unificato al primo dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 110 e 112 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

In precedenza la Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza 2 luglio 2007, aveva parzialmente riformato la decisione del GUP, affermando la penale responsabilità dei due imputati in relazione ai delitti ascritti e procedendo alla sola rideterminazione, in melius, del trattamento sanzionatorio comminato agli stessi. Questa pronuncia era stata poi annullata con rinvio, limitatamente al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, con la sentenza 18 settembre 2008 della 5^ Sezione della Corte di Cassazione, in quanto in essa non erano state indicate le ragioni per le quali era ritenuta sussistente una struttura organizzativa ed operativa, con carattere di permanenza tale da consentire, in costanza dei necessari presupposti soggettivi, la configurazione del reato associativo contestato.

La decisione 4 maggio 2009, oggetto dell’odierno gravame, individuato l’esatto ambito del proprio giudizio, concernente la sussistenza e l’attribuibilità del solo reato associativo ai due appellanti, riaffermava la responsabilità di G.G. in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e rideterminava la pena a questo inflitta nella misura di anni 16 di reclusione, assolveva S.S. dal reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e stabiliva nei suoi confronti, per l’altro delitto di cui agli artt. 110 e 112 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 la pena di anni 5 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa.

Affermavano i giudici di merito che le risultanze delle indagini preliminari, cui la scelta del giudizio abbreviato consentiva di attribuire piena dignità probatoria, giustificavano l’affermazione di responsabilità del G. ed imponevano, invece, l’assoluzione del S..

Sulla base, dunque, della rinnovata analisi delle risultanze processuali quali: la molteplicità e frequenza dei contatti telefonici tra gli associati e degli incontri tra gli stessi, il linguaggio allusivo e dissimulatorio costantemente usato nelle conversazioni, i sequestri di cocaina conseguenti alla captazione dei colloqui, tutti elementi specificamente indicativi del perseguimento di obbiettivi comuni e della stabile condivisione di strategie e mezzi finalizzati al loro raggiungimento da parte dei consociati, la corte territoriale inferiva la sussistenza della struttura organizzativa dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti, nella specie cocaina, operativa dal mese di aprile 2002 all’agosto 2002, con attività che, in ambito territoriale, si erano svolte in Olanda, Belgio, Germania, Lombardia, Campania,Calabria e Sicilia.

L’imputato G.G. risultava essere stato il principale protagonista di buona parte dei contatti disvelati dalle attività di captazione e confermati dai concomitanti controlli di PG, emergendo dagli stessi quale crocevia dell’attività facente capo al gruppo e soggetto che trattava, in posizione paritaria, i rapporti con i sodali di origine calabrese che costituivano i canali privilegiati di rifornimento dello stupefacente. Nei confronti, invece, di altri sodali, il contenuto delle conversazioni intercettate appalesa un diverso atteggiamento del G. il quale rivolgeva loro i richiami, le indicazioni e le esortazioni, in particolare in occasione delle operazioni di trasporto di cocaina sfociate in sequestri di rilevanti quantità di tale sostanza, che costituiscono tipica espressione di quel potere di direzione e coordinamento che gli è attribuito.

L’esistenza e l’operatività del gruppo dedito al traffico internazionale di stupefacenti e la specifica posizione nell’ambito dello stesso di G.G. era, poi, sicuramente acclarata, in termini di conferma, dalle modalità di consumazione dei diversi reati fine per i quali l’imputato, così come altri sodali, aveva riportato condanna definitiva; di tal guisa che le dichiarazioni accusatorie dei due chiamanti in correità, D. e R., lungi dal costituire prova principale – ed in quanto tale necessitante specifico riscontro esterno ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3 – vengono, invece, a rappresentare mera conferma degli elementi già autonomamente acquisiti.

Riguardo all’imputato S.S. la corte territoriale, pur nella analitica rivisitazione delle risultanze processuali, non rinveniva elementi – diversi ed ulteriori rispetto all’episodio delittuoso di violazione degli artt. 110 e 112 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 commesso il 22 febbraio 2002 in una località imprecisata della Lombardia – di sicura concludenza, per la loro univocità e certezza, riguardo alla sua stabile appartenenza al contesto associativo oggetto dell’imputazione.

1.2.- Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori degli imputati:

1) Nell’interesse di G.G. i difensori assumono l’erronea applicazione della legge penale, la violazione dell’art. 192 c.p.p. e l’illogicità e mancanza manifeste della motivazione.

Lamenta il ricorrente che la corte territoriale, ricorrendo ad artificio lessicale consistito nella più diffusa elencazione di dati e circostanze, rispetto alla precedente decisione annullata dal giudice di legittimità, non abbia individuato nuove e diverse ragioni aventi efficacia probatoria in termini di accertamento del dolo specifico tipico dell’associazione per delinquere. La sentenza si connota per la grave assenza di indicazioni circa le condotte tipicizzanti di tale elemento psicologico diverse da quelle specificamente individuate ed ascrivibili, invece, al concorso nel reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per la cui realizzazione è, comunque, necessaria una distinzione di ruoli organizzativi ed operativi.

Assume che il richiamo operato in sentenza, alle dichiarazioni dei chiamanti in reità ed in correità, oltre a non essere accompagnato da alcun ulteriore elemento di attendibilità e riscontro esterno, è del tutto incongruente rispetto al profilo associativo. Di più vi è stata violazione dell’art. 546 c.p.p. in quanto, pur essendo stato devoluto all’esame dei giudici di appello che la differenziazione strutturale del concorso di persone nel reato continuato, rispetto all’ipotesi associativa, impone che l’esistenza di quest’ultima debba essere tratta da dati fattuali univoci e privi di ulteriori elementi di segno contrario, la corte di appello si sia limitata, così come d’altronde fatto nei capi di imputazione, ad affermare apoditticamente la esistenza del ruolo di organizzatore in capo al G., inferendolo dal suo contatto con i fornitori e con i successivi acquirenti senza considerare che analoghi contatti, autonomi e del tutto svincolati dai fini associativi, ebbero altri imputati concorrenti in singoli episodi, taluni dei quali, peraltro, risalenti al gennaio febbraio 2002 epoca antecedente alla esistenza della compagine associativa, secondo il dato temporale della contestazione che ne fa partire l’esistenza dall’aprile 2002. 2) Nell’interesse di S.S. il difensore assume la nullità della sentenza, nonchè dell’ordinanza 4 maggio 2009, per violazione degli artt. 178 e 179 c.p.p. derivante dalla omessa citazione dell’imputato.

Espone il ricorrente che la corte di appello, dopo le fasi iniziali del procedimento, fissava per le conclusioni l’udienza del 15 maggio 2009 e, successivamente, per questioni connesse alla perenzione della misura cautelare nei confronti dell’altro imputato, emetteva un decreto di citazione a giudizio nelle forme del decreto di anticipazione di udienza;fissandola al 4 maggio 2009.

Il decreto di anticipazione veniva notificato a tutte le parti eccetto che al ricorrente S. ed il 4 maggio 2009 sulla pronta eccezione di nullità sollevata dal difensore, la corte di appello pronunciava ordinanza con la quale rigettava l’eccezione perchè l’imputato, regolarmente citato, per essere rimasto, per sua libera determinazione, assente sin dall’inizio nel procedimento di rinvio non doveva essere necessariamente destinatario di notifica del provvedimento di anticipazione di udienza, stante il carattere ordinatorio dello stesso.

1.3.- Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso proposto da G.G. e l’accoglimento con rinvio per quello proposto da S. S..
Motivi della decisione

2.1. Il ricorso dell’imputato G.G. è palesemente infondato; con esso il ricorrente contesta nel merito la valutazione della corte territoriale.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini della configurabilità, anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta concludentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, la forma organizzativa, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati – sia pure non particolarmente complessa e sofisticata-indicativa della continuità temporale del vincolo criminale -, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso quando, dalle loro specifiche modalità esecutive, emerga che furono realizzati in adesione al contesto associativo (ex plurimis: Cass., Sez. 6, 13 dicembre 2000, Coco; Cass., Sez. 1, 18 febbraio 2009, Urio, rv. 242897; Cass. Sez. 6, 25 settembre 1998, Villani, rv. 211743; Cass. Sez. 4, 21.4.2006, rv. 234576, Qose; Cass. Sez. 4, 7.2.2007, rv. 2370002; Cass. Sez. 1, 22/12/2009, rv. 246112, Cass. Sez. 6, 17.6.2009, rv. 245282, il Grande e altro).

Alla tregua dei suddetti principi la corte territoriale ha valutato, in modo conforme ai canoni della logica e alla disposizione ex art. 74 cit., che dai dati probatori disponibili potesse trarsi la dimostrazione degli elementi costitutivi del contestato delitto associativo, ha infatti vagliato come il G.G. fosse protagonista di buona parte dei contatti, accertati tramite captazione ed in quanto tali riversati in atti, e che fosse lui ad intrattenere, con evidente posizione di parità, i contatti con i fornitori, soprattutto con S.F. e Gi.Br.. La continuità e la frequenza dei contatti facenti capo al G., nonchè il suo acclarato coinvolgimento in episodi sfociati nell’arresto del corriere di turno, verificatisi a mesi di distanza l’uno dall’altro, sono stati poi congruamente e logicamente assunti dalla corte territoriale come specificamente indicativi della sussistenza del dolo associativo e non piuttosto, come invece sostenuto dalla difesa, come esclusivamente compatibili con l’ipotesi di una serie di episodi di commercio di stupefacente indipendenti, al più legati dal vincolo della continuazione tra loro. Ciascuno dei singoli, ulteriori, episodi vagliati, poi, per l’identità dei soggetti coinvolti, per il modus operandi, per il ruolo di coordinamento assunto dal G., il quale organizza i trasporti, vi partecipa talvolta personalmente, si occupa dei contatti con i cessionari, presiede al rientro, si occupa con altri compartecipi dell’assistenza ai sodali arrestati, è stato correttamente ritenuto dai giudici di merito indicativo della esistenza di una struttura organizzata, dotata di risorse umane e materiali, i cui partecipi sono legati da un accordo tendenzialmente stabile, tale da prefigurare la reiterazione di operazioni analoghe a quelle già poste in essere, ciò in perfetta aderenza alla ritenuta sussistenza del reato associativo. In un contesto di dati probatori di tal fatta le dichiarazioni dei collaboranti D. e R., sono state ritenute quali meri elementi di conferma di quanto già ampiamente acquisito e perciò necessitanti di specifico riscontro esterno ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3.

Nè la mancata contestazione per il periodo antecedente al 1 aprile 2002, pur in presenza di episodi già indicativi della esistenza dell’associazione a delinquere, secondo il condivisibile assunto dei giudici di merito, può comportare l’accertamento negativo dell’esistenza del sodalizio criminale, non incidendo la discrasia tra l’imputazione e le risultanze, investigative prima e probatorie poi, sulla effettiva consistenza dell’impianto accusatorio e sulla necessaria correlazione tra accusa e sentenza.

Per le ragioni sopra esposte il ricorso dell’imputato deve essere dichiarato inammissibile. Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – non ravvisandosi ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma congruamente determinata in dispositivo.

2.2- E’ invece fondata la doglianza del ricorrente S. S..

Osserva in proposito il Collegio come ai sensi dell’art. 599 c.p.p., comma 2, la partecipazione dell’imputato all’udienza camerale, quanto alla esigenza di una sua manifestazione di volontà in tal senso, si colloca in una posizione, per così dire, mediana tra la stessa disciplina dettata dall’art. 586 c.p.p., comma 1, per il rito ordinario e quella prevista dall’art. 127 c.p.p., comma 2, per tutti i casi di procedimenti in camera di consiglio, avendo il legislatore voluto contemperare la semplificazione conseguente al rito prescelto con l’esigenza di una effettiva tutela del diritto di autodifesa nell’ambito di un giudizio comunque destinato a stabilire nel merito l’eventuale esistenza della responsabilità penale dell’imputato.

(Cass. Sez. 6, 9.3.1998, rv. 210906; S.U. Sent. 24.6.2010 Rv.

247835).

La manifestazione della volontà a non comparire, che nel caso di specie è stata esplicitata dall’imputato libero con la sua assenza dal procedimento prima della fase conclusiva, può comunque essere sempre revocata (Cass. Sez. 6, 24.5.1995, rv. 202150) e l’eventuale revoca può manifestarsi in qualsivoglia momento utile al fine di consentire l’espletamento della propria autodifesa. Se dunque l’eventuale rinvio di una udienza ordinariamente stabilito può non essergli comunicato, la anticipazione, extra ordinem e non richiesta dalle parti, a data anteriore rispetto a quella ordinariamente già stabilita dell’udienza fissata per la trattazione, effettuata con nuova emissione del decreto di citazione, deve essere notificata anche all’imputato assente, al fine di consentirgli, qualora lo ritenesse, di presenziare e difendersi, ben potendo egli aver modificato la sua volontà di non presenziare, facoltà questa riconosciutagli dall’ordinamento (Cass. Sez. 6, 24.5.1995, rv.

202150) e funzionale alle finalità delle norme costituzionali ed internazionali pattizie volte ad assicurare un giusto processo in contraddittorio tra le parti.

L’omessa notifica al S. del decreto di anticipazione di udienza ha determinato una nullità di ordine generale ex art. 178 c.p.p. che, pur non assoluta, è stata comunque tempestivamente eccepita dal difensore, ed essa conseguentemente determinato la nullità del giudizio di rinvio nei confronti del ricorrente.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione alla condanna di S.S., con rinvio ad altra sezione del tribunale di Reggio di Calabria.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di S. S. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio di Calabria. Dichiara inammissibile il ricorso di G.G. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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