T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 23-05-2011, n. 4534 Equo indennizzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in primo luogo parte ricorrente che la Commissione medicoospedaliera presso l’Ospedale Militare di RomaCecchignola ha riconosciuto la dipendenza da causa di servizio delle infermità:

– "artrosi cervicodorsale – spondiloartrosi e discopatia del tratto cervicale – lombosciatalgia"

– "colite spastica"

assumendone la riconducibilità al servizio prestato dall’interessata in qualità di Vigilatrice penitenziaria presso l’Istituto di massima sicurezza di Voghera e presso la Sezione di massima sicurezza della Casa circondariale di Latina, per un periodo complessivo di circa ottonove anni.

Nell’illustrare le disagiate condizioni di lavoro (comportanti microtraumie, macrotraumi, perfrigerazioni repentine, sbalzi di temperatura) che hanno caratterizzato la prestazione dell’attività disimpegnata presso gli anzidetti istituti di pena, contesta parte ricorrente la determinazione ministeriale con la quale, in sede di delibazione dell’istanza di riconoscimento dell’equo indennizzo a fronte delle patologie come sopra riscontrate dipendenti da causa di servizio, disconosceva la riconducibilità causale delle stesse all’attività lavorativa.

L’avversato provvedimento si dimostrerebbe inficiato sotto i profili:

1. del vizio logico e della contraddittorietà di motivazione

2. del travisamento dei fatti e della contraddittorietà con il diritto obiettivo

3. dell’eccesso di potere e della violazione di legge.

Nel sottolineare, preliminarmente, come l’unico organismo deputato all’accertamento della riconducibilità di eventuali patologie a fatti di servizio sia la Commissione medicoospedaliera, contesta la ricorrente la legittimità del censurato provvedimento, nella parte in cui avrebbe disconosciuto i contenuti del giudizio già reso dalla C.M.O. in sede di accertamento medicocollegiale sulla base di un successivo parere reso dal Comitato per le Pensioni privilegiate ordinarie.

Con motivi aggiunti notificati il 5 maggio 1999 la ricorrente ha impugnato il provvedimento del Ministero della Giustizia in data 3 febbraio 1999 (all’interessata comunicato il successivo 10 marzo), con il quale la determinazione avversata con l’atto introduttivo del giudizio è stata annullata e sostituita (peraltro, con identico contenuto).

Le censure dedotte avverso tale determinazione possono così riassumersi:

1. Eccesso di potere per manifesta illogicità, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta del provvedimento impugnato. Violazione del giusto procedimento. Violazione degli artt. 1, 3 e 7 della legge 241/1990.

Rileva in primo luogo parte ricorrente l’assenza di elementi giustificativi all’esercizio del potere di autotutela – peraltro sostanziatosi nell’adozione di un nuovo atto integralmente confermativo del precedente – la cui unica ragione asseritamente risiederebbe nella volontà di indurre la ricorrente ad una rinnovata sollecitazione dell’Autorità giudiziaria competente.

2) Violazione dell’art. 5bis del decreto legge 387/1987 e dell’art. 22, comma 2, CCNL.

Nell’osservare come la nuova determinazione sia stata originata dalla contestata riconducibilità di alcune assenze dal servizio della ricorrente alle patologie già accertate dipendenti da causa di servizio da parte della C.M.O., assume parte ricorrente che il giudizio espresso dall’organismo sanitario da ultimo indicato abbia – quanto alla riconducibilità delle riscontrate infermità all’attività lavorativa prestata – carattere di definitività: dimostrandosi conseguentemente insuscettibile di essere rimeditato ancorché ai solo fini della qualificazione delle assenze del dipendente.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza dell’11 maggio 2011.
Motivi della decisione

1. Ad integrazione di quanto esposto in narrativa, va osservato – sulla base delle indicazioni fornite dall’Amministrazione della Giustizia con relazione depositata in giudizio dall’Avvocatura Generale dello Stato in data 24 luglio 1996 – che, a fronte dell’istanza di riconoscimento della causa di servizio delle infermità "artrosi cervicodorsolombare, spondiloartrosi e discopatia del tratto cervicale, lombosciatalgia, colite spastica", l’interessata veniva avviata ad accertamento medicocollegiale presso la Commissione medica ospedaliera dell’Ospedale Militare di Roma.

Quest’ultima, con verbale n. 1426 del 5 giugno 1993, riconosceva la dipendenza da causa di servizio delle suindicate infermità con ascrivibilità (esclusa la colite spastica) alla Tabella B, misura massima.

In seguito alla domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo, dalla sig.ra D. avanzata il 10 giugno 1993, veniva promossa l’espressione del previsto parere da parte del Comitato per le Pensioni privilegiate ordinarie; il quale, nella seduta del 1°dicembre 1995, escludeva la concedibilità del richiesto beneficio.

In particolare, quanto all’infermità "artrosi dorsale", la non riconducibilità a fatti di servizio veniva dal C.P.P.O. motivata "trattandosi di forma artrosica legata, nel caso di specie, a deviazione della colonna vertebrale (scoliosi) idiopatica, peraltro già presente in data 14.01.1986, ossia a distanza di neppure tre anni dall’assunzione (15.05.1984)"; soggiungendosi, peraltro, come l’infermità in questione non sarebbe ascrivibile ad alcuna categoria, in quanto consistente in "lieve spondilosi, limitata ad un solo tratto della colonna vertebrale, senza evidenziazione obiettiva di impegno funzionale di rilevanza medicolegale".

Pere ciò che concerne l’infermità "colite spastica", il C.P.P.O. ne ha disconosciuto la dipendenza da causa di servizio "in quanto trattasi di un disturbo funzionale a sfondo neurodistonico, sull’insorgenza e decorso del quale, nel caso di specie, il servizio reso, non caratterizzato da condizioni di particolare gravosità e ripetitività, non può aver nocivamente influito, neppure sotto il profilo della concausa, efficiente e determinante".

Sulla base del parere i cui contenuti sono stati sopra riportati, l’Amministrazione della Giustizia adottava, senza discostarsi dalle indicazioni espresse dal C.P.P.O., il provvedimento gravato con l’atto introduttivo del giudizio, recante diniego di riconoscimento della causa di servizio per le suindicate patologie e di concessione dell’equo indennizzo per le medesime infermità.

2. Quanto sopra doverosamente precisato, il ricorso è infondato.

2.1 Osserva preliminarmente il Collegio che, ai sensi dell’art. 5 bis, del decreto legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito in legge 20 novembre 1987, n. 472, è prevista la definitività dei pareri delle commissioni mediche ospedaliere ai fini del riconoscimento delle infermità per la dipendenza da causa di servizio, "salvo il parere del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie di cui all’art. 166, D.P.R. 1092/73".

Nell’ambito del procedimento per la liquidazione dell’equo indennizzo, il parere espresso dal C.P.P.O. non solo è necessario, ma ha una rilevanza maggiore rispetto ai pareri forniti dagli altri organi tecnici, quali le Commissioni mediche ospedaliere (tra cui la C.M.O. che si è espressa sull’istanza della ricorrente), in quanto la valutazione fornita dal predetto organo costituisce il momento finale dell’istruttoria prevista all’uopo dalla normativa di settore, in cui confluiscono, per essere assorbite, tutte la fasi preliminari del procedimento, che in detta sede vengono definitivamente composte, ove in ipotesi confliggenti, come nel caso in esame.

Del resto, la giurisprudenza amministrativa, ormai consolidatasi sul punto, ha affermato che non è necessario previamente annullare i giudizi espressi dalle commissioni medicoospedaliere contrastanti con il parere espresso dal C.P.P.O., stante la prevalenza di quest’ultimo, quale organo imparziale in ragione della sua composizione, e pertanto idoneo a garantire il buon andamento della P.A.

2.2 In ordine alla portata ed efficacia delle valutazioni rese dalle C.M.O. e dal C.P.P.O., ha avuto modo di esprimersi anche la Corte Costituzionale (sentenza n. 209 del 1421 giugno 1996), chiarendo che i pareri espressi dalle prime attengono all’individuazione dell’infermità ed all’accertamento della sua dipendenza da causa di servizio, mentre quelli formulati dal secondo organo afferiscono anche alla valutazione dell’effetto invalidante dell’infermità rilevata, in quanto la funzione precipua del C.P.P.O. corrisponde alla verifica, nel merito, dell’operato delle singole commissioni medicoospedaliere, con pronunzie che obbligano l’Amministrazione procedente a formulare espressamente i motivi per cui, in ipotesi, ritenga di discostarsene.

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha espresso al riguardo il principio che, nell’ambito dei procedimenti finalizzati alla concessione dell’equo indennizzo, le Amministrazioni non dispongono di due equiordinati pareri tecnici (C.M.O. e C.P.P.O.), da valutare entrambi ai fini dell’adozione delle conseguenti determinazioni e tra i quali, dunque, scegliere con motivazione esplicita nel caso che gli stessi siano di segno opposto.

Piuttosto, al precluso intervento, da parte della competente Amministrazione, con valutazioni proprie nell’ambito del subprocedimento di competenza del Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie (preordinato all’accertamento della menomazione da infermità ai fini dell’erogazione di equo indennizzo), accede l’esclusa esigenza che la stessa Autorità procedente sia tenuta a motivare circa l’eventuale difformità dei pareri di quest’ultimo da quelli emessi dalla Commissione medica ospedaliera (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2001, n. 3313 e 11 febbraio 2002, n. 779, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 8054).

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si dimostra infondata la censura avanzata da parte ricorrente circa l’illegittimità del diniego in impugnativa, siccome non autonomamente motivato, ed invece adottato in acritica adesione, da parte dell’Amministrazione, al parere negativamente reso dal C.P.P.O.: potendo concludersi sul punto che, nell’ambito del procedimento relativo alla concessione dell’equo indennizzo, il giudizio espresso dalle C.M.O. non è incontrovertibile, stante la prevalenza del parere del C.P.P.O., cui compete l’accertamento della dipendenza e della classificazione dell’infermità da causa di servizio (con la conseguenza che, per i predetti fini, ben può essere rimesso in discussione il nesso fra infermità e fatto di servizio in precedenza eventualmente accertato dalla C.M.O, ovvero la valutazione dell’effetto invalidante dell’infermità rilevata).

2.3 In linea con la suddetta impostazione si pone, peraltro, la normativa di rango secondario, ed, in specie, il D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349, recante il Regolamento per il riordino dei procedimenti di riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa di servizio e di concessione dell’equo indennizzo, che all’art. 8, prevede che l’Amministrazione è tenuta a motivare le ragioni per le quali, eventualmente, decida di discostarsi dal parere emesso in ordine alle istanze di equo indennizzo dal C.P.P.O.

Può dunque, per concludere sul punto, ritenersi adeguatamente motivato il diniego gravato, siccome adottato in adesione al motivato parere negativo espresso dal competente organo sanitario.

3. Va poi escluso che il sindacato di legittimità esercitabile dal giudice amministrativo possa penetrare nel merito del giudizio tecnicodiscrezionale a fondamento dei provvedimenti concernenti il riconoscimento del diritto all’equo indennizzo, dovendo – piuttosto – l’indagine rimessa all’adito organo di giustizia limitarsi ad accertare la sussistenza di un completo iter istruttorio da cui emerga il pieno apprezzamento di tutti i presupposti di fatto, quali elementi attinenti i requisiti di legittimità dei conseguenti provvedimenti amministrativi.

Pertanto, ai fini di un legittimo riconoscimento, o meno, della dipendenza da causa di servizio delle infermità denunciate dai pubblici dipendenti, deve emergere nel contesto motivazionale del relativo provvedimento, sia pure per relationem con il richiamo dei pareri medici presupposti, l’accertamento del predetto nesso di causalità con l’attività lavorativa, in termini non presuntivi o generici, bensì specifici, con riferimento al ruolo, quantomeno concausale, della prestazione determinante la genesi o l’ingravescenza dell’infermità riscontrata.

Con riferimento al caso in esame, rileva il Collegio che l’Amministrazione resistente ha adeguatamente dato conto delle ragioni che l’hanno determinata a respingere l’istanza della ricorrente, richiamando per relationem il negativo parere espresso in merito dal C.P.P.O., aderendo, in mancanza di ragioni per discostarsene, al giudizio reso in ordine alla insussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio.

Ed invero, dalla lettura del parere espresso dal C.P.P.O. emergono, con carattere di apprezzabile completezza ed esaustività, le ragioni che hanno condotto il Comitato ad escludere la presenza di un nesso di derivazione causale fra le patologie riscontrate in capo all’interessata e l’attività lavorativa dalla medesima disimpegnata.

Nel rinviare, per le relative considerazioni, a quanto riportato al precedente punto 1., deve darsi atto che il parere espresso dal C.P.P.O. è congruamente motivato con riferimento alla analitica valutazione circa l’inidoneità dei fatti di servizio a causare l’infermità in termini di specificità con il caso concreto: per l’effetto dovendo disattendersi le censure dalla parte ricorrente al riguardo dedotte.

4. Nel rilevare come le medesime considerazioni precedentemente rassegnate impongono di disattendere anche le doglianze dalla parte ricorrente dedotte con i motivi aggiunti successivamente proposti (in quanto l’atto con tale mezzo di tutela avversato reca identico contenuto rispetto alla precedente determinazione gravata con l’atto introduttivo del giudizio, con esso integralmente sostituita), deve conclusivamente respingersi il ricorso all’esame, in quanto infondato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna la ricorrente sig.ra D.G. al pagamento delle spese di giudizio in favore del Ministero della Giustizia per complessivi Euro 1.500,00 (euro mille e cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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