Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-03-2011) 23-05-2011, n. 20297

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 13.5.2010 la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pisa che, in data 9.3.2009, aveva condannato, a pena sospesa, S.M. per appropriazione indebita continuata e aggravata in danno di P. P., disponeva non farsi menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati, non per ragioni elettorali, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’ imputata deducendo che la sentenza impugnata:

1. è incorsa in violazione di legge – manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione Lamenta il ricorrente che non è stata raggiunta la prova della responsabilità dell’imputata al di là di ogni ragionevole dubbio. In particolare lamenta che la Corte Territoriale non ha disatteso il dubbio sollevato dalla difesa in ordine alla effettiva consegna all’imputata degli assegni, fornendo sul punto una motivazione del tutto insufficiente.

2. è incorsa in violazione di legge – manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla richiesta declaratoria di prescrizione. Contesta il ricorrente il ragionamento della Corte Territoriale che ha fatto decorrere i termini per la prescrizione dalla conoscenza dell’avvenuto impossessamento da parte della parte offesa.

3. è incorsa in violazione di legge – manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, stante l’incensuratezza della S..

Il primo motivo di ricorso è inammissibile. La censura della ricorrente, con riguardo alla mancata valutazione delle specifiche doglianze difensive, si palesa del tutto infondata non apprezzandosi nella motivazione del provvedimento gravato alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.

Il giudice ha dimostrato attraverso, il proprio iter argomentativo di avere tenuto in considerazione le censure sollevate dal ricorrente e ha affermato che a carico della moglie della persona offesa non milita alcun sospetto, tenuto conto che in varie occasioni, come precisato dal P., gli assegni erano intestati direttamente alla commercialista S..

Il terzo motivo è inammissibile La Corte territoriale ha ritenuto che la gravità dei fatti ascritti, compiuti con regolare quotidianità, in un arco temporale di circa un decennio, prevalesse su altri elementi ed in particolare sull’incensuratezza, condividendo il diniego delle attenuanti generiche operato dal primo Giudice.

Il ricorso si risolve sul punto nella non consentita sollecitazione ad una rivalutazione del giudizio di merito, non illogico nè illegittimo.

Ai fini del giudizio in ordine alle attenuanti generiche il giudice del merito non deve procedere all’esame di tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., ma può limitarsi ad indicare quelli che ha ritenuto, nel caso concreto e con apprezzamento di fatto, prevalenti per riconoscere o negare tali attenuanti.

Il secondo motivo di ricorso è fondato.

Come affermato dalla giurisprudenza prevalente di questa Corte (Cass. Sez. 2 n. 12096/1986; n. 1824/1997; Sez. 1 n. 264440/02; N. 12965/03;

Sez. 2 N. 48438/04; N. 35267/07; Sez. 6 n. 39873/06) il delitto di appropriazione indebita si consuma nel momento e nel luogo in cui interviene l’interversione del possesso della cosa, cioè nel momento in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del proprietario.

L’appropriazione, pertanto, si verifica immediatamente per effetto del mutamento del titolo del possesso e il reato è istantaneo e di mera condotta, non richiedendosi la produzione di un effetto ulteriore nè un elemento che lo perfezioni, e si consuma nel luogo in cui la cosa si trova e nel tempo in cui l’interversione del possesso si è verificata in conseguenza dell’atto compiuto dall’agente in contrasto con il diritto del proprietario. La conoscenza del fatto, che può anche non coincidere con il compimento da parte dell’agente dell’atto incompatibile col diritto del proprietario, è condizione per la proposizione della querela, ma non rileva in ordine alla sussistenza del reato.

I giudici di merito hanno dato conto, con motivazione coerente e priva di vizi logici, che da tutti gli elementi probatori era emerso, senza ombra di dubbio, che la S., in un lasso di tempo rappresentato da diversi anni, aveva fatto proprio il denaro che P.P. le aveva consegnato di volta in volta per pagare i tributi, effettuando solo alcuni pagamenti tributari, per somme irrisorie, al solo scopo di mantenere in vita il rapporto con il cliente.

Ciò detto deve però rilevarsi che la contestazione non indica, nè le sentenze di merito hanno accertato, la data esatta della commissione della appropriazione della complessiva somma di Euro 18495,13 ricevuta dalla ricorrente per pagare i tributi Irpef ed lei a partire dal 1993 fino al 2002. Unico dato temporale certo sono gli avvenuti versamenti di somme inferiori a quelle dovute, nell’immediatezza dei quali pertanto, in applicazione del principio generale del favor rei, deve essere collocata l’epoca della intervenuta interversione nel possesso e quindi della consumazione delle appropriazioni indebite contestate.

Poichè il delitto di appropriazione indebita, come già indicato, ha natura istantanea e si perfeziona con il compimento da parte dell’agente dell’atto incompatibile col diritto del proprietario, a nulla rilevando la successiva conoscenza da parte del danneggiato, deve dichiararsi l’estinzione per intervenuta prescrizione delle appropriazioni indebite commesse sino al (OMISSIS).

Nel caso in esame trova applicazione, in quanto norma più favorevole, l’art. 158 c.p. nella nuova formulazione, che prevede che in ipotesi di reato continuato debba farsi riferimento alla data di consumazione di ciascun reato che compone la sequenza criminosa e ad oggi, per i reati commessi sino al (OMISSIS), risulta maturato il termine di prescrizione di 7 anni e 6 mesi, cui devono aggiungersi mesi 10 e gg. 12 di sospensione.

E’ infatti affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità che "l’onere di provare con precisione l’epoca del fatto non grava sull’imputato, bensì sull’accusa, sicchè in mancanza di prova certa sulla data di consumazione, per il principio del favor rei va dichiarata l’estinzione del reato per compiuta prescrizione" (Cass. scz. 6, 3.5.1993, Bambini, rv. 193597; conf. mass. uff. nn. 209500, 211930, 211962; Sez. 2, Sentenza n. 19472 del 24/05/2006 Ud. (dep. 06/06/2006) Rv. 233835) La sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze per la determinazione della pena con riguardo alle appropriazioni realizzate in epoca successiva al 29.10.2002.

Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente grado alla parte civile.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza per il reato commesso sino al (OMISSIS) perchè estinto per prescrizione e con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze per la determinazione della pena in ordine al residuo reato.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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