T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 23-05-2011, n. 4517 Carriera inquadramento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame, parte ricorrente chiede accertarsi il proprio diritto:

ad essere inquadrata nella qualifica funzionale V, prof. professionale n. 2, come da sua richiesta dell’ 18/3/1992;

al maggiore trattamento economico e giuridico corrispondente alle mansioni effettivamente svolte ed assegnate;

In punto di fatto, l’interessato espone:

di essere dipendente civile del Ministero della Difesa;

di essere inquadrato ai sensi dell’art. 4, c. VIII della legge n. 312/1980 nel profilo professionale n. 207 della V qualifica funzionale;

di espletare sin dal 1974 le mansioni inerenti il superiore livello;

lo svolgimento di tali mansioni risulta da atti formali provenienti dalla P.A. quali la scheda personale relativa all’indagine conoscitiva.

La ricorrente fonda le proprie pretese sull’art. 4 della legge n. 312/1980 nonché sugli artt. 2103 e 2126 Cod. civ..

L’amministrazione ha denegato i richiesti benefici.

Il ricorso è infondato.

L’art. 4 della legge n. 312/1980 (Nuovo assetto retributivofunzionale del personale civile e militare dello Stato) così recita(va) al comma 10^ (comma abrogato dall’art. 74, D.Lvo 3 febbraio 1993, n. 29; abrogazione confermata dall’art. 72, D.Lvo 30 marzo 2001, n. 165:

"Il personale che ritenga di individuare in una qualifica funzionale superiore a quella in cui è stato inquadrato le attribuzioni effettivamente svolte da almeno cinque anni può essere sottoposto, a domanda da presentarsi entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge e previa favorevole valutazione del consiglio di amministrazione, ad una prova selettiva intesa ad accertare l’effettivo possesso della relativa professionalità".

La prescrizione del termine di 90 giorni era già stata abrogata dall’art. 4, L. 7 luglio 1988, n. 254.

Come si evince dal testo della norma in esame, l’avvio del procedimento di inquadramento in qualifica superiore era subordinato alla seguenti condizioni:

domanda da parte dell’impiegato;

valutazione favorevole da parte del consiglio di amministrazione dell’ente;

sottoposizione a prova selettiva.

A fronte di un così articolato iter procedimentale, l’amministrazione non aveva un preciso obbligo di provvedere sulle istanze di inquadramento, ciò in quanto l’inquadramento dei pubblici dipendenti corrispondeva, alla luce del quadro normativo di riferimento, ad un’attività discrezionale (ancorché di natura tecnica in ordine alla verifica di corrispondenza delle mansioni al profilo professionale o qualifica funzionale) rispetto alla quale non erano ravvisabili diritti soggettivi (al preteso inquadramento) bensì interessi legittimi tutelabili con l’impugnativa o degli atti di inquadramento ritenuti invalidi nel termine di decadenza oppure del rifiuto/silenzio dall’amministrazione opposto all’istanza di inquadramento.

Riprova della natura discrezionale (tecnica) del potere conferito all’amministrazione si ha ove si consideri, sotto altro profilo, che la deliberazione della Commissione paritetica, con la quale furono determinati i criteri concreti che perfezionavano i presupposti della fattispecie dell’inquadramento, venne adottata soltanto il successivo 28 settembre 1988; fu da questa data che l’attività amministrativa divenne priva, a quel punto, di connotati di discrezionalità ed autoritatività fino a quel momento non essendo in grado, l’amministrazione, di ascrivere i dipendenti al profilo professionale corrispondente alla qualifica precedentemente rivestita in base ad atto formale, adottando provvedimenti di inquadramento definitivo dei singoli dipendenti.

Va soggiunto, che nessuna delle due condizioni sopra descritte (valutazione favorevole e sottoposizione a prova selettiva) si era, comunque, verificata perché il ricorrente potesse vantare, in punto di fatto e di diritto, l’azionata pretesa.

Quest’ultima, ad ogni modo, risulta definitivamente sbarrata sia dall’abrogazione dei commi 10 e 11 dell’art. 4, L. n. 312/1980 ad opera dell’art. 74, d.lg. 3 febbraio 1993, n. 29 – abrogazione confermata dall’art. 72, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165 – che dal sopravvenuto art. 52 del d. lgs. n. 165/01 (applicabile, ratione temporis, anche alla fattispecie in esame non risultando in atti esaurito il dedotto rapporto) il quale, con disposizione di carattere imperativo ed a regime, stabilisce che "in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore".

Per quanto sin qui argomentato, la domanda di riconoscimento del diritto al superiore inquadramento è destituita di giuridico fondamento e non può, pertanto, essere accolta.

Parte ricorrente chiede, altresì, ai sensi dell’art. 2103 c.c., il riconoscimento del diritto alla qualifica superiore anche in ragione del consolidamento dell’assegnazione, da parte dell’amministrazione, allo svolgimento di mansioni superiori; quest’ultime assertivamente comprovate, in punto di fatto, dalla scheda relativa all’indagine ricognitiva.

In via gradata, chiede il riconoscimento del maggior trattamento economico ai sensi dell’art. 2126 Cod. civ..

Anche queste domande sono infondate.

I presupposti per il riconoscimento del diritto del pubblico dipendente alla retribuzione per lo svolgimento delle funzioni superiori (Cfr Cons. Giust. Amm. n. 583, del 9/10/02) sono i seguenti:

1) la sostituzione del titolare dell’ufficio da parte dell’inferiore gerarchico deve avvenire in occasione di assenze non temporanee;

2) il posto cui le mansioni si riferiscono deve essere necessariamente vacante o disponibile in pianta organica;

3) l’adibizione a mansioni superiori deve avvenire con incarico promanante dagli organi dell’Amministrazione.

Nel caso in esame, è certo che difettano – per non essere state comprovate, neppure in punto di minimo principio di prova – le prime due condizioni.

Tale carenza impedisce – per effetto del carattere formale che contrassegna l’organizzazione della p.a., in sintonia con i principi di legalità e di buon andamento – l’accoglimento dell’istanza volta all’accertamento delle superiori mansioni svolte in via di mero fatto al fine del riconoscimento delle relative differenze retributive.

La Sezione, aderendo ad un ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativo, non può che ribadire nell’ambito del pubblico impiego l’irrilevanza, sia ai fini economici che a quelli di progressione di carriera, dello svolgimento da parte del dipendente, ancorché con attribuzione per atto formale, di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica funzionale posseduta in base al provvedimento di nomina o di inquadramento.

L’attribuzione delle mansioni ed il relativo trattamento economico trovano, infatti, il loro indefettibile presupposto nel provvedimento di nomina o di inquadramento ad eccezione del caso in cui una norma speciale non disponga altrimenti (C. Stato, Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22; C. Stato, Ad. Plen. 28.1.2000, n. 10).

Quanto alla allegata scheda personale relativa all’indagine conoscitiva, essa – in quanto atto meramente ricognitivo, non attributivo di status – rappresenta un documento giuridicamente e fattualmente inidoneo, anche alla luce di quanto sopra esposto, a precostituire il diritto al superiore inquadramento ovvero a percepire le differenze economiche di livello.

Non ravvede motivi, il Collegio, per discostarsi dal prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, prima della definitiva privatizzazione del pubblico impiego (ed escluso il campo sanitario), le mansioni superiori non erano di regola riconoscibili sotto il profilo giuridico ed economico (cfr. C.d.s. Sez. V – 21/1/02). Il principio dell’irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego – salvo che tali effetti derivino da un’espressa previsione normativa – è un dato acquisito alla giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.s. IV Sez., 17 maggio 1997 n. 647; C.G.A.R.S. 27 maggio 1997 n. 197; C.d.s. V Sez., 30 aprile 1997 n. 429, 24 marzo 1997 n. 290, 28 gennaio 1997 n. 99; VI Sez., 26 giugno 1996 n. 860 e 10 febbraio 1996 n. 189).

Nessuna norma o principio generale desumibile dall’ordinamento, infatti, consente la retribuibilità, in via di principio, delle mansioni superiori comunque svolte nel campo dell’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione.

Anzi, dalla disciplina di settore si ricava esattamente un opposto principio: l’art. 33 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 stabilisce, infatti, che il dipendente dello Stato (rectius, impiegato pubblico) ha diritto allo stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia " nella misura stabilita dalla legge ".

Neppure può trovare applicazione alla fattispecie l’invocato art. 2126 Cod. civ. in virtù del "principio della prestazione di fatto".

Ed invero, il prefato articolato disciplina l’ipotesi, affatto diversa, del rapporto di lavoro dichiarato "nullo" (poiché costituitosi in violazione dei divieti legali) attribuendo rilevanza alle prestazioni di fatto comunque effettuate in esecuzione dello stesso: la norma opera, dunque, in funzione di conservazione dei valori giuridici ed economici del negozio colpito da un giudizio di disvalore ordinamentale.

Va soggiunto, per completezza, che l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita contrasta con il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari. Ed invero, la posizione di chi svolge mansioni superiori non può essere assimilata (sotto il profilo giuridicoeconomico) a quella di colui che il medesimo incarico ricopre sulla base di una qualificazione professionale oggettivamente accertata all’esito di procedure selettive e/o concorsuali (art. 97, comma III, Cost.).

L’affidamento di mansioni superiori a pubblici dipendenti, invece, avviene spesso con criteri che non garantiscono l’imparzialità dell’Amministrazione (A.p. 22/99).

Nell’esercizio dei propri poteri d’organizzazione ( art. 97, comma I Cost.) l’amministrazione potrebbe, per esigenze particolari di buon andamento dei servizi, prevedere in sede regolamentare – anche – la possibilità d’assegnazione temporanea di dipendenti a mansioni superiori alla loro qualifica senza, però, diritto a variazioni del trattamento economico (cfr. Ap., dec. 4/9/97, n. 20).

Le considerazioni che precedono inducono a ritenere, concordemente a quanto sostenuto dall’Alto Consesso, che "nell’ambito del pubblico impiego è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l’assetto rigido della Pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch’esso, secondo il paradigma dell’art. 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica" (sentenza 22/99, citata).

Pertanto, l’Amministrazione è tenuta a corrispondere la retribuzione propria della qualifica superiore solo quando una norma speciale preveda tale assegnazione e consenta la relativa maggiorazione retributiva (come accade nel campo sanitario – cfr. D.P.R. n. 761/79): circostanza, quest’ultima, che non ricorre affatto nel caso di specie.

In conclusione, il ricorso in esame non è meritevole di accoglimento e va, pertanto, respinto mentre le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.000,00 di cui Euro 1.000,00 in favore del Ministro della Difesa ed Euro 1.000,00 in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.000,00 di cui Euro 1.000,00 in favore del Ministro della Difesa ed Euro 1.000,00 in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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