Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-03-2011) 23-05-2011, n. 20290

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Livorno, datata 09.11.2007, di condanna di C.A., per il reato di truffa aggravata, così modificata l’originaria imputazione di estorsione, riducendo la pena inflitta nella misura di anni uno di reclusione ed Euro 500,00 di multa. La truffa si è articolata nel modo seguente: C. A. era riuscito a convincere S.M. di essere stato preso di mira da un grosso delinquente della zona, a capo di una banda di violenti, perchè lo aveva visto parlare con una ragazza, e per non aggredirlo il personaggio pretendeva che S. si desse alla "bella vita" frequentando con l’amico C. locali notturni e ristoranti, cosa che i due avevano ripetutamente fatto,utilizzando sempre i soldi del S. e spendendo in breve tempo Euro 6000,00.

Avverso la sentenza della Corte d’appello, ricorre la difesa dell’imputato chiedendone l’annullamento e deducendo:

a) il vizio di motivazione per errata applicazione della legge penale in ordine alla valutazione dell’esistenza degli elementi integranti il reato di truffa che non appaiono idonei a configurare gli artici e raggiri. Inoltre la reiterazione nel comportamento da parte del C. non può integrare il dolo del delitto di truffa, perchè non sarebbe riconducibile alla consapevolezza di porre in essere una truffa. Invero l’aver riferito all’amico la volontà di terzi soggetti circa la necessità di frequentare ristoranti e o night per evitare che i predetti "vengono e ce le danno" non può rappresentare una circostanza tale da trarre qualcuno in inganno e tantomeno ingenerare il timore di un pericolo immaginario nella vittima, anche se per rafforzare il raggiro, la condotta di convincimento viene reiterata nel tempo.

Con il secondo motivo si lamenta il vizio di motivazione per errata applicazione di legge in punto di commisurazione della pena perchè i giudici della Corte di merito non hanno motivato sul mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente infondato.

2.1 In ordine al primo motivo si osserva che la sentenza impugnata riporta in sintesi i motivi di appello: vi si legge che l’appellante aveva prospettato che la truffa non era ravvisatale nei fatti; la minaccia non era idonea a generare alcun timore; la condotta tenuta dal C. non era stata tale da ingenerare alcun timore: era stato, sicuramente, un comportamento riprovevole ma non penalmente illecito; non sussisteva il dolo del reato, la pena era eccessiva e le attenuanti potevano essere riconosciute con giudizio di prevalenza.

2.2 I motivi di ricorso non si discostano da tali censure o,per meglio dire, essi sono i medesimi già avanzati in appello.

2.3 Orbene per giurisprudenza antica ripetuta e costante di questa Corte, che questo collegio condivide "Sono inammissibili per genericità i motivi di ricorso per Cassazione che consistono nel semplice richiamo o nella testuale ripetizione dei motivi di appello.

In tal caso, infatti, riproducendo le censure già prospettate in secondo grado si finisce per richiedere al giudice di legittimità una nuova cognizione della materia dedotta nel precedente giudizio, senza fornire indicazioni dei punti controversi della pronuncia impugnata e senza formulare alcuna critica alle risposte fornite dalla decisione stessa, sicchè il giudice dell’impugnazione non può esercitare il potere di controllo che gli è proprio. (Conf. Mass. N. 163728; Conf. Mass. N. 164531; Rv. 173594), Per altro , l’inammissibilità si configura non solo per la genericità del motivo reiterato ma anche "per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" Sez. 4, sent. n. 256 del 18.9.1997 rv 210157. 2.4 Il secondo motivo di ricorso è, anch’esso, inammissibile attesa l’assenza di interesse al ricorso. La Corte di merito,infatti, ha già diminuito la pena e l’impugnazione del ricorrente ha già raggiunto il suo scopo in secondo grado, a nulla servendo reiterare la stessa istanza in sede di legittimità.

Il ricorso, per i motivi suddetti, deve essere dichiarato inammissibile.

3. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile S.M. liquidate m Euro 3500, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *