T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 23-05-2011, n. 4507 Esercito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Collegio ritiene che il ricorso, in relazione agli atti in essere nel fascicolo processuale, può essere definito immediatamente e di ciò è stato fatto avviso alle parti presenti.

Il ricorrente è stato escluso dalla rafferma biennale nell’Esercito per mancanza dei requisiti di cui al all’art. 5, lett. a) del D.M. 8 luglio 2005.

L’amministrazione ha accertato che nei confronti del militare risulta emesso decreto di citazione a giudizio dal Tribunale di Taranto per il reato di cui all’art. 588 c.p..

Nell’impugnare il provvedimento di esclusione dalla rafferma, il sig. D. deduce le seguenti censure:

1)nello stesso procedimento penale egli è anche persona offesa del reato;

2)il provvedimento è in contrasto con il principio ordinamentale interno e comunitario della presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva.

Eccepisce, infine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, c. 2°, D.Lvo n. 215/2001 nella parte in cui subordina la sussistenza delle condizioni per la rafferma alla inesistenza di carichi pendenti per violazione dell’art. 27, c. 2, Cost..

Il ricorso è infondato.

Giova premettere che non spetta a questa autorità giudiziaria svolgere un giudizio di valore e/o di merito sui presupposti fondanti la responsabilità penale del ricorrente. Nel presente giudizio rileva, infatti, esclusivamente il fatto storico e giuridico della esistenza di un decreto penale di citazione a giudizio per l’imputazione di un delitto non colposo. Ebbene, l’atto di citazione a giudizio assolve alle medesime finalità processuali e garantistiche dell’atto di "rinvio a giudizio", tant’è che soltanto a seguito della sua adozione l’indagato assume lo status di imputato, al pari di quanto accade negli altri tipi di processi a seguito di rinvio a giudizio, e si apre il dibattimento, luogo nel quale si svolge l’azione penale innanzi ad un giudice terzo che esercita la sua jurisdictione.

In punto di fatto, è fuor di dubbio che il ricorrente, in pendenza del rapporto di servizio, si è trovato esattamente nella condizione prevista dall’art. 3, c. 1, lett. d) del D.M. 8/7/2005 essendo pendente, nei suoi confronti, un procedimento penale per delitto non colposo. Il provvedimento impugnato, pertanto, è stato adottato in pedissequa applicazione della norma regolamentare non disapplicabile dall’amministrazione.

Nessun rilievo assume la circostanza che egli compaia nel giudizio penale anche come persona lesa ove considerata la natura del delitto di rissa per il quale è stato rinviato a giudizio (lesioni reciproche).

Il ricorrente deduce violazione del principio di presunzione di non colpevolezza ed eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, c. 2°, D.Lvo n. 215/2001 nella parte in cui subordina la sussistenza delle condizioni per la rafferma alla inesistenza di carichi pendenti per violazione dell’art. 27, c. 2, Cost..

Il Collegio osserva che la norma che sancisce nel nostro sistema giuridico il principio in parola ( art. 60 c.p.p.) ha copertura costituzionale e comunitaria relativamente alla garanzia per l’individuo, in itinere iudicii, di non essere assimilato al colpevole.

Il suo ambito oggettivo di applicazione (fatti giuridici regolati dal principio) riguarda, pertanto, i procedimenti penali mentre quello soggettivo (situazioni giuridiche soggettive) afferisce allo status di imputato. La disciplina giuridica che ne consegue (ovvero l’ambito precettivo delle norme) implica che è interdetta qualsiasi restrizione della libertà personale fondata su una mera prognosi di colpevolezza.

Stabilito l’ambito applicativo oggettivo e soggettivo della norma, e la relativa disciplina, è evidente come siano del tutto inconferenti gli effetti giuridici che se ne vorrebbero trarre sulle vicende amministrative.

Ed invero, l’ambito di incidenza e rilevanza dei procedimenti penali pendenti (cui è assimilato il decreto di citazione a giudizio) è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione militare procedente.

L’ordinamento militare ha, infatti, sue norme specifiche, spesso derogatorie di quelle generali.

La specialità deriva, come è noto, dalle particolari funzioni assolte dalla Istituzione militare.

La specialità è accentuata dalla previsione sulla necessità del possesso, per il reclutamento, delle qualità morali e di condotta stabilite per l’ammissione ai concorsi nella magistratura ordinaria (infatti, giusta art. 26, L. 53 del 1989, per l ~accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato e delle altre forze di polizia di cui all ~art. 16 della legge n.121 del 1981 (carabinieri, finanzieri, agenti di custodia, CFS) è richiesto il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l ~ammissione ai concorsi nella magistratura ordinaria). Inoltre, ai sensi dell ~art. 36, comma 6, del D.Lvo 3 febbraio 1993 n. 29, come sostituito dall ~art. 22 del D.Lvo 31 marzo 1998 n. 80, è stabilito (art.3, comma 1, lett. g) che, per l ~assunzione nell ~Amministrazione della Difesa si applichi il disposto di cui all ~art. 26 della legge n. 53 del 1989).

Più in generale, il DPR 487 del 1994, all’art. 2, comma 2, prevede, che, oltre ai requisiti generali, gli ordinamenti delle singole amministrazioni possano prevedere requisiti ulteriori.

Ed il successivo art. 3 prevede che il bando di concorso indichi anche i requisiti soggettivi generali e particolari richiesti per l’ammissione all’impiego.

Rimanendo nell’ambito concorsuale, spesso il Ministero della Difesa prevede, per il reclutamento, anche il requisito di non essere imputati (cfr., ad es., concorso per l’ammissione all’Accademia di Modena, C.C.; su G.U. 9 dic 2008) ovvero di non essere stati rinviati a giudizio (cfr., ad es., concorso per orchestrale nella banda C.C.; stessa G.U.).

La sola imputazione è, pertanto, preclusiva per certi reclutamenti, al pari della sentenza di condanna, a cagione del giudizio di disvalore sociale del fatto per cui è imputazione o condanna.

Tale preclusione è plausibile, ovvero non irragionevole sul piano costituzionale, tenuto conto proprio della evidenziata specialità del settore Difesa e l’opportunità, discrezionalmente valutata dal Legislatore, di sottrarlo, per ragioni evidenti, alla normativa generale per il pubblico impiego.

La specialità del settore Difesa, che giustifica la normativa di maggior rigore, si coglie ancor più ove si consideri che l’amministrazione militare deve disporre incondizionatamente di persone che, per la peculiarità del servizio, possono essere inviate anche all’estero o impegnate in delicatissime operazioni. Ebbene, mal si concilia tale status con la condizione di imputato per delitti non colposi che possono anche privare il soggetto, in caso di condanna, della propria libertà a danno dell’Istituzione militare.

La norma di cui all’art. 15, c. 2 del D.Lvo n. 215/2001 è, dunque, ad avviso del Collegio ragionevole poiché nel prevedere come causa impeditiva per la rafferma o per il passaggio in s.p.e. la sussistenza in capo al militare di un carico pendente per delitto non colposo tende ad individuare una fattispecie di obiettivo disvalore sociale e giuridico, ritenuto discrezionalmente (dal Legislatore) pregiudizievole per l’Istituzione militare in ragione dei compiti che questa è chiamata a svolgere.

Un giudizio di disvalore che reca in sé una già ponderata valutazione della gravità del comportamento laddove circoscrive la rilevanza del reato ai soli delitti non colposi.

La norma in commento ha, altresì, il pregio di segnare il punto di equilibrio tra il delicato interesse pubblico sotteso alle finalità perseguite dal settore Difesa e le garanzie ordinamentali per il cittadino individuandolo nell’atto di rinvio a giudizio, ossia in un provvedimento con il quale il giudice penale si pronuncia sulle prove di colpevolezza ritenendo le stesse sufficienti per conseguire una condanna in dibattimento, non bastando lo status di indagato.

Ne consegue, per quanto sopra esposto, la manifesta infondatezza della eccezione di incostituzionalità nei sensi sollevati dal ricorrente.

Il ricorso è, pertanto, infondato e va, perciò, respinto mentre le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese processuali che si liquidano in Euro 1.500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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