Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 23-05-2011, n. 20282

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 19 ottobre 2009 la Corte di appello di Trieste riformava la sentenza emessa il 13 maggio 2005 dal Tribunale di Udine con la quale D.R. era stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione di un telefono cellulare, accertato il 20 ottobre 2004, ed era stato condannato, con le circostanze attenuanti generiche, alla pena, interamente condonata, di anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 500,00 di multa. La Corte di appello, ravvisata l’ipotesi attenuata prevista dall’art. 648 c.p., comma 2, riduceva la pena a mesi dieci di reclusione ed Euro 150,00 di multa.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione. Con il ricorso si deduce:

1) la carenza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di ricettazione, dovendosi ritenere irrilevante a tale riguardo il fatto che l’utenza Wind, tramite la quale era utilizzato dall’imputato il telefono cellulare di provenienza delittuosa, fosse intestata a persona inesistente ed essendo comunque insufficiente a ritenere la consapevolezza dell’origine illecita del bene da parte dell’imputato il fatto che la sua identificazione come possessore dell’apparecchio fosse avvenuta attraverso intercettazioni telefoniche eseguite nell’ambito di indagini concernenti una rapina;

2) l’illogicità della motivazione in ordine alla pena, in quanto la determinazione in misura che si discostava significativamente dal minimo edittale era stata giustificata con l’uso del telefono nell’ambito di altra attività criminosa costituita dalla rapina oggetto di indagini, in ordine alla quale l’imputato tuttavia si era sempre dichiarato estraneo e non risultava essere stato condannato.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato. Nella motivazione della sentenza di primo grado – la cui motivazione si integra con quella di appello di segno conforme (ex plurimis, Cass. sez. 4 24 ottobre 2005 n. 1149, Mirabilia) – si faceva espresso riferimento alla consapevolezza da parte dell’imputato della provenienza delittuosa del telefono cellulare oggetto della contestata ricettazione, desumendola dal fatto che erano rimasti ignoti i soggetti da cui il D. aveva ricevuto l’apparecchio telefonico, utilizzato attraverso un’utenza intestata a soggetto inesistente. Le doglianze del ricorrente, il quale peraltro con i motivi di appello nulla aveva dedotto in relazione all’elemento soggettivo del reato di ricettazione limitandosi a contestare di aver avuto effettivamente in uso il telefono cellulare in questione, sono pertanto inconsistenti.

Infatti il giudice di merito si è uniformato al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorchè siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa Corte ha più volte, del resto, affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez. 2 11 giugno 2008 n. 25756, Nardino; sez. 2 27 febbraio 1997 n. 2436, Savie). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione del telefono cellulare, peraltro utilizzato attraverso un’utenza intestata a persona inesistente, si pone pertanto come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Cass. Sez. Un. 26 novembre 2009 n. 12433, Nocera; sez. 1 17 giugno 2010 n. 27548, Screti) l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. Dalla motivazione della sentenza impugnata si desume che il giudice di appello, nel ritenere la necessità di discostarsi significativamente dai minimi edittali, ha preso in considerazione il fatto che il telefono cellulare oggetto della contestata ricettazione veniva utilizzato "nell’ambito di altra attività criminosa compiuta dal D.", intendendo così riferirsi alla circostanza (emergente dal contesto della motivazione) che l’utenza telefonica attraverso la quale il telefono veniva usato "era stata sottoposta ad intercettazione nell’ambito di una separata indagine per una rapina commessa a (OMISSIS) proprio in quel periodo, rapina di cui un autore fu identificato in tale P.V., che altri non era che il D. (cfr. dichiarazioni dell’ispettore D.Z. all’udienza del 30 aprile 2008, nonchè informativa dd. 14 dicembre 2004 agli atti)". Appare evidente che la Corte territoriale non intendeva, nè avrebbe potuto, attribuire al D. la responsabilità in ordine alla rapina sulla quale venivano svolte indagini, volendo invece porre in rilievo la situazione, quanto meno ambigua, in cui il telefono ricettato veniva adoperato dall’imputato (il quale si serviva di un’utenza telefonica intestata a persona inesistente e utilizzava generalità diverse), che giustificava un’adeguata severità nella determinazione della pena.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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