Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-02-2011) 23-05-2011, n. 20277 Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.G., tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza 22.3.2010, con la quale la Corte d’Appello di Brescia in parziale riforma della decisione 27.11.2008 del Tribunale di Bergamo – sezione distaccata di Grumello del Monte lo ha assolto dal delitto di cui all’art. 367 c.p. (capo B) perchè il fatto non sussiste ex art. 530 c.p., comma 2, dichiarando di non doversi procedere nei confronti del medesimo imputato in ordine ai fatti di cui al capo A – violazione dell’art. 640 bis c.p.) limitatamente ai fatti commessi fino al 2001, per essere i reati estinti per prescrizione. Con la medesima decisione la Corte territoriale, ritenendo le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante rideterminava la pena inflitta all’imputato in anni uno e mesi quattro di reclusione e 800,00 Euro di multa; dichiarava l’imputato incapace di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di anni uno; concedeva il beneficio della non menzione della condanna e condannava ancora il prevenuto al pagamento delle spese di difesa e di rappresentanza sostenute dalla parte civile nel grado di giudizio.

La difesa dell’imputato richiede l’annullamento della sentenza impugnata deducendo:

1) Violazione dell’art. 521 c.p.p. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).

2) Manifesta illogicità e contraddittorietà della decisione impugnata ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) relativamente alla conferma della responsabilità per i fatti di cui ai capi a) (violazione dell’art. 640 bis c.p.) e c) violazione dell’art. 367 c.p..

3) Violazione del divieto di reformatio in pejus nella parte relativa all’esito del giudizio di comparazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 640 bis c.p. con le concesse attenuanti generiche.

Passando alla disamina dei singoli motivi, il collegio osserva quanto segue. L’imputato è stato tratto a giudizio con l’accusa della violazione degli artt. 81 cpv. e 640 bis c.p., perchè, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso in qualità di legale rappresentante della Parrocchia (OMISSIS) che gestiva la Casa di riposo denominata (OMISSIS) RSA, con artifici e raggiri, consistiti nel presentare alla Regione Lombardia, elenchi di nominativi di soggetti che avrebbero fruito dei servizi del CENTRO DIURNO INTEGRATO (CDI) della predetta Casa di riposo, falsi, sia perchè in alcuni casi i soggetti indicati non avevano fruito di alcun servizio presso la casa di riposo, sia perchè, in altri casi, come per B. G., O.A., F.E., V. G., C.T., I.C., le persone indicate fruivano dei servizi di Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) sempre gestita dalla predetta Casa di Riposo e per i quali però riceveva rette da parte dei degenti, nonchè di diversi contributi regionali, inducendo dunque in errore i funzionari della Regione Lombardia e della ASL della Provincia di Bergamo (quest’ultima delegata ai pagamenti), competenti alla liquidazione dei contributi pubblici, circa l’effettiva erogazione da parte della Casa di riposo dei servizi del CDI a favore dei soggetti indicati negli anni inviati dalla regione, si procurava l’ingiusto profitto di ricevere L. 26.357.000 per l’anno 2001 ed Euro 19.783,21 per l’anno 2002 a fronte degli inesistenti servizi prestati, con pari danno per la parte offesa. In (OMISSIS).

Impugnando la sentenza di primo grado, la difesa dell’imputato richiedeva l’annullamento della decisione lamentando la mancanza di correlazione della pronuncia di condanna con l’imputazione, osservando che il Tribunale aveva potuto verificare che tutti gli ospiti indicati come frequentanti il CDI erano in realtà già ricoverati presso la RSA, in posti non accreditati (per i quali i degenti già pagavano in proprio le relative rette). Sosteneva la difesa che il giudice avrebbe dovuto quindi accertare se le rette corrisposte dai degenti coprissero il solo trattamento alberghiero e non anche le prestazioni erogate durante la frequentazione diurna del CDI, essendosi viceversa ritenuto che l’imputato avesse ricevuto contributi relativi a servizi mai erogati in assoluto stante la ritenuta inesistenza del cd. CDI. La difesa concludeva sostenendo che l’affermazione della penale responsabilità era stata quindi collegata all’inesistenza in radice di un vero e proprio Centro Diurno Integrato, a prescindere dai nominativi delle persone indicate come utenti, mentre nel capo di imputazione si faceva riferimento al fatto che i nominativi contenuti negli elenchi forniti alla Regione Lombardia fossero relativi a persone che mai aveva usufruito di alcun servizio o a persone per le quali in diverso modo la Casa di Riposo (OMISSIS), già percepiva il corrispettivo dovuto per i servizi resi.

La Corte territoriale, sul punto ha affermato l’infondatezza della doglianza, rilevando che "l’inesistenza" di un vero e proprio CDI costituiva il presupposto della imputazione rilevando ancora come dalla predetta inesistenza derivasse il fatto che i servizi fatti erogare come CDI erano in realtà coincidenti con quelli erogati dalla residenza sanitaria assistenziale, per la quale gli ospiti fruitori già pagavano un retta con conseguente illegittimità della richiesta e della ricezione dei contributi. Sulla base di tale assunto la Corte territoriale ha quindi concluso per l’esistenza di una piena corrispondenza tra quanto contestato nell’imputazione e quanto oggetto della pronuncia di condanna. Ricorrendo per Cassazione la difesa ripropone la questione negli stessi termini sostenendo che la motivazione della decisione della Corte d’Appello sarebbe eccentrica rispetto all’oggetto della doglianza. La difesa infatti afferma che "… i giudici di appello hanno sì rimesso nella dovuta correlazione la decisione con la imputazione contestata, ma hanno effettuato una operazione concettuale che non era loro consentita in quanto essi avrebbero dovuto limitarsi a rilevare il denunciato difetto di correlazione presente nella sentenza di primo grado, dichiarandone conseguentemente la nullità ai sensi del combinato disposto dall’art. 522 c.p.p., comma 1 e art. 604 c.p.p., comma 1".

La doglianza è manifestamente infondata. La motivazione della decisione impugnata è la mera esplicitazione delle ragioni per le quali la Corte territoriale ha respinto la doglianza di violazione dell’art. 522 c.p.p., e non costituisce un’illegittima integrazione della motivazione di primo grado in violazione dell’art. 604 c.p.p., comma 1, secondo quanto già affermato in Cass. pen., sez. 5, 9.2.2000 in Ced Cass., rv. 215726. In secondo luogo va osservato che non ricorre alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa formulata e reato ritenuto in sentenza; la suddetta violazione si verifica nell’ipotesi in cui il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tale da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa Cass. pen., sez. 3, 12.11.2009, n. 9916 in Ced Cass., rv. 246226; Cass. pen., sez. 2, 16.9.2008, n. 38889 in Ced Cass., rv. 241446; Cass. pen., sez. 6, 6.11.2008, n. 81 in Ced Cass., rv. 242368. Nel caso in esame il capo di imputazione descrive una pluralità di condotte illecite che descrivono la contestata inesistenza di un qualsivoglia servizio di CDI offerto dalla struttura amministrata dall’imputato. Conseguentemente, fermo il presupposto in fatto (compimento degli artifici e dei raggiri), l’imputazione descrive una pluralità di condotte diversificate, volte all’acquisizione, in modo surrettizio, di contributi regionali per un servizio mai prestato dall’imputato. La motivazione della Corte territoriale è pertanto corretta e il motivo dedotto è manifestamente infondato, perchè senza introdurre argomenti di critica specifica al contenuto della motivazione della decisione, il ricorrente si limita a riformulare la medesima censura alla quale la Corte territoriale ha dato una risposta del tutto adeguata. Parimenti inammissibile è la doglianza direttamente concatenata alla precedente. Afferma infatti, il ricorrente che, qualora fosse ritenuta corretta la decisione della Corte territoriale in riferimento alla denunciata violazione dell’art. 522 c.p.p., si dovrebbe pervenire alla conclusione che la motivazione sarebbe carente nel punto ove conclude che le rette pagate dagli ospiti "non accreditati" remuneravano tutte le prestazioni erogate, perchè così si disattenderebbe la tesi difensiva per la quale le rette pagate dai degenti erano attinenti al solo cd. "trattamento alberghiero", ma non ai servizi diurni. La censura è generica. La Corte territoriale ha fornito una motivazione esauriente circa il fondamento delle accuse, rilevando come le erogazioni illegittimamente ricevute fossero in funzione ad una prestazione (CDI) mai resa, essendo stato fatto riferimento a ricoverati che, occupando un "posto non accreditato" pagavano di tasca propria la retta mensile per le prestazioni (comprese quelle diurne) di cui erano destinatari. Nel contesto della motivazione il giudice dell’appello ha anche indicato la fonte di prova da cui ha tratto il proprio convincimento. La censura quindi formulata dalla difesa, finisce con l’essere una mera asserzione del tutto soggettiva, priva di qualsivoglia riscontro, ma, soprattutto, inidonea a fornire la dimostrazione della illogicità della motivazione. Pertanto il primo motivo di gravame deve essere dichiarato inammissibile.

Con il secondo motivo la difesa lamenta che la Corte territoriale, avendo assolto il prevenuto dalla accusa di simulazione di reato (capo B), inspiegabilmente ha confermato la condanna per la violazione dell’art. 367 c.p. di cui al capo c), rilevando come la pronuncia si appalesi contraddittoria, trattandosi di comportamenti inestricabilmente legati l’un l’altro.

La censura è manifestamente infondata. La Corte territoriale ha indicato, con motivazione adeguata le ragioni per le quali ha ritenuto l’imputato responsabile della violazione dell’art. 367 c.p., avendo falsamente denunciato ai Carabinieri della Stazione di (OMISSIS) il furto, ad opera di ignoti di tutta la documentazione concernente il CENTRO DIURNO INTEGRATO della Casa di Riposo (OMISSIS). In particolare il giudice dell’appello prendendo atto che il furto, avvenuto nel corso della notte (OMISSIS), aveva avuto ad oggetto tre faldoni ed una scatola èi cartone, contenenti (secondo la affermazione del prevenuto in sede di denuncia) la documentazione del CDI, afferma l’assoluta inconsistenza della prova indicata dall’imputato a "discarico" e definisce, con motivazione non censurabile nel merito, priva di consistenza la tesi della mancanza di movimento da parte dell’imputato, risultando esattamente il contrario dalla descrizione della vicenda.

La circostanza che la Corte territoriale abbia assolto l’imputato per uno degli episodi di "simulazione di reato" non si pone in contraddizione logica con la condanna per l’ulteriore episodio. La diversità e l’autonomia dei fatti, la diversità delle fonti probatorie oltre che l’autonomia delle susseguenti valutazioni da parte della Corte territoriale, non consentono di affermare che la decisione in esame sia viziata di una contraddizione i cui esatti termini non sono stati peraltro neppure indicati dalla difesa. Il motivo è quindi generico, manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

Con il terzo motivo la difesa lamenta la non correttezza del trattamento sanzionatorio relativo al delitto di cui al capo A); in particolare essa afferma che la Corte territoriale avrebbe valutato le circostanze attenuanti generiche solo in misura equivalente (e non prevalente come ritenuto dal giudice di primo grado) rispetto alla aggravante di cui all’art. 640 bis c.p., con conseguente deteriore trattamento sanzionatorio del prevenuto.

Il motivo è manifestamente infondato per le seguenti ragioni.

La Corte territoriale, esaminando il reato contestato al capo A) ha affermato "… il primo giudice ha concesso le attenuanti generiche e, nel determinare il trattamento sanzionatorio, ha apportato una diminuzione sulla pena base, determinata nei limiti edittali previsti dall’art. 640 bis c.p. contestato. Tuttavia la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata (v. Cass. SU 26.6.2002 n. 26351) il reato di cui all’art. 640 bis costituisce un a forma aggravata del reato di truffa e non una figura autonoma di reato e pertanto il primo giudice avrebbe dovuto previamente operare il giudizio di comparazione previsto dall’art. 69 c.p.. Per il principio del favor rei e del divieto della reformatio in pejus si deve ritenere che il Tribunale di Bergamo, procedendo ad una diminuzione detta pena stabilita per l’aggravante di cui all’art. 640 bis abbia formulato un giudizio quantomeno di equivalenza fra le circostanze e che di conseguenza il reato contestato debba essere ricondotto alla fattispecie base di cui all’art. 640 c.p. … passando all’esame del trattamento sanzionatorio va rilevato che, come già esposto, occorre procedere al giudizio di comparazione fra le concesse circostanze generiche e io circostanza aggravante di cui all’art. 640 bis c.p. omessa dal primo giudice. Valuta la Corte raffrontata la gravità concreta del reato da una parte e l’incensuratezza e l’inserimento nel contesto sociale del M., dall’altra che il giudizio debba essere di equivalenza …".

Sulla base di tale premessa pertanto la Corte territoriale ha quindi ritenuto di irrogare per il delitto di cui al capo A) la pena di anni uno di reclusione e 600,00 Euro di multa. Sostiene la difesa pag. 9 del ricorso che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla circostanza aggravante (al fine di non infliggere un trattamento sanzionatorio deteriore) perchè "… Il giudizio di comparazione nella sentenza di primo grado ndr non era stato omesso, ma era stato almeno implicitamente effettuato … ".

Esaminando la decisione di primo grado e quella di appello, il Collegio osserva quanto segue. Il Tribunale ha ritenuto come autonoma la fattispecie di cui all’art. 640 bis c.p., stabilendo in concreto, quale pena base ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, anni due di reclusione (quindi superiore al minimo edittale stabilito in anni due; sulla base di tale trattamento sanzionatorio, il Tribunale ha quindi riconosciuto la diminuzione di pena per effetto delle riconosciute attenuanti generiche e ha successivamente determinato i due successivi aumenti di pena per effetto della ritenuta continuazione con i fatti di cui ai capi b) e c) della rubrica della imputazione. Dalla lettura della motivazione della decisione di primo grado si evince che il Tribunale (in virtù della sua valutazione giuridica della violazione dell’art. 640 bis c.p.) non ha fatto alcuna comparazione (neppure in modo implicito) fra circostanze, con la conseguenza che è erronea in punto di diritto la decisione formulata dal Tribunale stesso, come correttamente affermato dalla Corte territoriale. Dalla lettura della stessa sentenza appare quindi del tutto illogico, come intende la difesa, inferire che le attenuanti generiche siano state accordate in misura prevalente, posto che proprio nessun giudizio è stato espresso in tal senso.

E’ invece corretta la decisione della Corte territoriale, la quale, proprio operando, nell’ambito dei suoi poteri, il giudizio di comparazione fra circostanze (mai prima formulato), ha ridetermirtato la pena base, riducendola ad anni uno di reclusione (mentre quella del tribunale, pur con l’applicazione delle attenuanti generiche era di anni uno e mesi quattro di reclusione) ridefinendo quindi l’aumento per la continuazione in relazione al solo delitto di cui al capo c) della rubrica.

Il trattamento sanzionatorio finale che ne è derivato è in concreto in termini più contenuti rispetto a quello previsto nella prima decisione, con la conseguenza che il giudice dell’appello non ha violato il divieto di reformatio in pejus.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 attesa la pretestuosità delle ragioni del gravame.

Il ricorrente deve essere altresì condannato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Regione Lombardia e che liquida in Euro 1.200,00 oltre iva e cpa.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle Ammende nonchè delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Regione Lombardia e che liquida in Euro 1.200,00 oltre iva e cp. Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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