Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-02-2011) 23-05-2011, n. 20275 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

(Ndr: testo originale non comprensibile) che chiede l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

T.A., tramite il difensore ricorre per Cassazione avvero la sentenza 27.2.2009 con la quale la Corte d’Appello di L’AQUILA, in parziale riforma della decisione 12.11.2004 del Tribunale di Teramo, lo ha condannato alla pena di mesi dieci, giorni quindici di reclusione e 300,00 Euro di multa oltre alle spese del grado sostenute dalla parte civile costituita.

La difesa dell’imputato richiede l’annullamento della sentenza impugnata deducendo:

1) Violazione dell’art. 521 c.p. perchè La corte territoriale avrebbe illegittimamente riqualificato il fatto da furto aggravato in ricettazione.

Ad avviso della difesa la ontologica differenza fra i suddetti illeciti integrerebbe una ipotesi di violazione del principio di corrispondenza tra l’accusa contestata e la decisione assunta.

2) Vizio di contraddittorietà della motivazione avendo la Corte affermato che per la integrazione dell’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 648 c.p. sarebbe sufficiente il dolo eventuale.

In tale ambito la difesa afferma che il ritenuto atteggiamento dell’imputato, quale ricettatore, sarebbe illogico e contraddittorio con la condotta di avere svolto le trattative per gli acquisti dei mobili in modo palese custodendo quanto acquistato in aperta evidenza.

La difesa sostiene inoltre che:

a) non vi era (nè sarebbe stato indicato dal giudice del merito) alcun elemento in fatto per poter sostenere che l’imputato potesse sospettare della illecita provenienza dei mobili;

b) buona parte dei mobili non risultano essere stati oggetto di denuncia di furto;

c) molto del mobilio non è stato rivendicato essendo tutt’ora giacente presso l’azienda dell’imputato;

d) l’aspetto esteriore dei beni non consentiva il sospetto di illecita provenienza dei beni, nè tantomeno il prezzo praticato.

La difesa infine mette in evidenza che al momento dell’acquisto dei mobili, non erano neppure apparse notizie di furti commessi nella zona che potessero mettere in qualche mondo sull’avviso l’imputato, del fatto che stessero "girando" mobili "rubati". 3) violazione dell’art. 712 c.p..

La difesa lamenta che i giudici del merito, sulla base di una deposizione isolata ed attinente ad un unico fatto, hanno ritenuto che i venditori dei mobili fossero persone giovani, dedite all’uso degli stupefacenti (ragione del traffico in mobili) circostanze queste che avrebbero dovuto indurre l’imputato a rifiutare ogni acquisto di merce, che ad avviso dello stesso giudice del merito sarebbe stato acquistata a prezzo in congruo, senza peraltro che venisse effettuata una perizia estimativa del valore dei mobili acquistati dall’imputato.

Nel corso del giudizio si costituiva con procura speciale, allegata agli atti, il legale della parte civile che, opponendosi all’accoglimento del ricorso depositava la nota delle spese e le proprie conclusioni scritte.

Il ricorso è infondato e va rigettato per le seguenti ragioni.

In relazione al primo motivo di gravame va osservato che nel caso in cui, nel capo di imputazione, siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non sussiste violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza e ciò tanto nell’ipotesi di riqualificazione dei furto in ricettazione, quanto in quella opposta di riqualificazione della ricettazione come furto, v. in tal senso Cass. pen., sez. 2^, 16.9.2008, n. 38889 in Ced Cass. Rv 241446.

Nel caso in esame va poi riaffermato che non sussiste alcuna violazione del detto principio quando l’imputato sia ritenuto colpevole di ricettazione in luogo del reato di furto, perchè il contenuto essenziale del delitto di cui all’art. 648 c.p. è comunque compreso nella più ampia previsione della originaria contestazione di furto, v. in tal senso Cass. Sez. 2^, 17.12.2003 in Ced Cass. Rv 22704.

La censura della difesa per la quale il Tribunale sarebbe incorso nella violazione dell’art. 516 c.p.p. con conseguente erroneità della decisione della Corte territoriale che ha confermato la bontà della decisione, non può essere accolta.

Con gli artt. 516 c.p.p. e ss. è disciplinato il modo con il quale deve essere effettuata la contestazione il caso in cui emerga, nel corso del giudizio, un fatto diverso, che deve essere inteso nella sua accezione naturalistica, quale episodio della vita umana che si pone in termini di diversità storico-naturalistica, rispetto a quanto già oggetto di contestazione; per contro, la mera riqualificazione (che esula dalla disciplina prevista dall’art. 516 c.p.p.), presuppone, come nel caso in esame, il permanere dell’identità del fatto (contestato) come accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione fra loro, è stata fondata l’accusa; in tale seconda ipotesi pertanto, fermi i fatti "storici", è sempre possibile al giudice procedere ad un diverso inquadramento giuridico del fatto ascritto rispetto a quanto ritenuto nella originaria imputazione.

Nel caso in esame va rilevato, dalla lettura della decisione di primo grado e di quella di appello (l’una parte integrante dell’altra, attesa la conformità fra loro) che correttamente la Corte d’Appello ha deciso sul punto in esame, sottolineando come gli aspetti fattuali contestati all’imputato avessero mantenuto il loro carattere di identità.

Nè la difesa sui punto ha sviluppato argomenti ulteriori idonei a dimostrare la erroneità della decisione, essendosi limitata ad argomentare sui diversi contenuti della diversa qualificazione giuridica dei fatti ascritti, senza peraltro fornire argomenti utili per ritenere che nella sostanza l’imputato sia stato giudicato per un fatto (storico-naturale) diverso da quello originariamente ascritto.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso, va osservato che le doglianze prospettate dalla difesa si sviluppano intorno a questioni di mero fatto, come tali non suscettibili di attenzione nella presente sede.

Si tratta infatti di considerazioni che non costituiscono una critica specifica in diritto, con indicazione dei punti della decisione caratterizzati da uno dei vizi previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), desumibili dalla lettura dello stesso provvedimento impugnato; si tratta invece, di una serie di considerazioni che costituiscono una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dalla Corte territoriale e la motivazione sul punto non appare contraddittoria, carente o manifestamente infondata.

Il terzo motivo di ricorso è infondato, perchè, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, seguendosi il più recente orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, va affermato che l’elemento psicologico del delitto di ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, configurabile sulla base della sola rappresentazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della accettazione del relativo rischio v. Cass. SU 30.3.2010 in Ced Cass. Rv 246324.

Nel caso in esame la Corte territoriale ha indicato i fatti sulla cui base ha ritenuto sussistente nell’imputato l’elemento psicologico del dolo eventuale; in particolare il giudice dell’impugnazione ha preso in considerazione sia il contesto nel quale l’imputato, ha acquistato il mobilio (oggetti portati presso il suo esercizio commerciale, mancanti di qualsivoglia attestazione sulla loro provenienza e con determinazione del prezzo (definito esiguo) da parte dello stesso acquirente, mancanza di qualsiasi richiesta o accertamento circa la provenienza dei mobili) sia le condizioni personali e professionali dell’imputato indicato come persona esperta del settore del commercio dei mobili usati (svolgendo tale attività da anni) quindi, secondo il giudizio della Corte d’Appello, perfettamente in grado di comprendere il rischio insito nell’acquisto di mobili usati da parte di sconosciuti, senza alcun accertamento o verifica della loro effettiva provenienza.

La mancanza di un qualsivoglia accertamento in ordine alla provenienza dei mobili offerti da persone che non davano alcuna garanzia, neppure sotto il profilo commerciale, costituisce ad avviso del giudice dell’appello per ritenere provato il dolo eventuale quale accettazione del rischio di una illegittima provenienza dei beni acquistati.

La motivazione della Corte territoriale appare del tutto adeguata, non manifestamente illogica e non contraddittoria, con la conseguenza che appare corretto il ragionamento giuridico attraverso il quale è stata ritenuta la responsabilità dell’imputato in relazione ai fatti ascritti.

La motivata valutazione dei fatti ascritti all’imputato nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 648 c.p., porta a ritenere che la Corte territoriale non dovesse riconsiderare i medesimi fatti sotto la diversa configurazione dell’art. 712 c.p..

Infondata infine appare la doglianza per la quale la Corte territoriale non avrebbe disposto una perizia estimativa dei beni acquistati dall’imputato al fine di accertarne la congruità del prezzo.

Infatti ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), la difesa non ha fornito alcuna argomentazione di dimostrare che l’accertamento peritale avrebbe avuto comunque una efficacia dimostrativa tale da determinare un diverso esito del giudizio.

Grava, infatti sulla fondatezza di tale motivo di censura, il fatto che la Corte territoriale non si è limitata a prendere in considerazione il solo elemento del prezzo per ritenere (a fronte della sua esiguità) la sussistenza della prova dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione, ma ha considerato anche altri elementi di fatto egualmente incidenti sulla prova del dolo (modalità dell’offerta e mancanza di accertamenti e documentazioni sulla provenienza dei beni acquistati), con la conseguenza che, anche a fronte di una eventuale adeguatezza dei prezzo offerto, non sarebbero venuti meno gli altri elementi idonei a far ritenere la insussistenza del delitto contestato.

Per le suddette ragioni il ricorso deve essere pertanto respinto e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.

L’imputato va altresì condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile nel grado e che liquida in Euro 2.500,00 oltre Iva e cpa.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alle spese sostenute nel grado dalla parte civile e che liquida in Euro 2.500,00 oltre Iva e cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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