Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-05-2011) 24-05-2011, n. 20536

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

igetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 29 ottobre 2010, dichiarava l’esistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione avanzata dal Governo di Romania nei confronti di C.C., in relazione alla sentenza esecutiva di condanna alla pena detentiva di anni tre e mesi dieci per il reato di furto aggravato.

2. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell’estradando con cui denuncia:

– la violazione dell’art. 705 c.p.p., comma 2, lett. a), in quanto l’estradizione, imponendo al C., persona stabilmente radicata in Italia, di scontare all’estero la pena detentiva, verrebbe a ledere i diritti fondamentali del nostro ordinamento e segnatamente gli artt. 27, 111 e 117 Cost..

– la violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), in quanto la Corte di appello ha ritenuto di non applicare il particolare regime riservato dalla suddetta legge al cittadino comunitario.

Solleva infine eccezione di legittimità costituzionale della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), per violazione degli artt. 3, 27 e 117 Cost., laddove non prevede per lo straniero residente – o comunque dimorante – in Italia la possibilità di scontare nel territorio nazionale la pena detentiva definitiva, per la cui espiazione sia stata richiesta l’estradizione da altro Paese membro dell’Unione Europea.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va rigettato.

Questa Corte, con due recenti ordinanze, ha dichiarato non manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3 e art. 117 Cost., comma 1, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 705 c.p.p., nella parte in cui non prevede il rifiuto della consegna, e la conseguente possibilità di scontare la pena in Italia, in favore del condannato, cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea, residente o dimorante nel nostro territorio ed ivi stabilmente radicato, per il quale sia stata attivata l’ordinaria procedura di estradizione, e non quella della consegna sulla base di un mandato d’arresto Europeo, in ragione dell’epoca del commesso reato, antecedente alla data del 7 agosto 2002 (sì da escludere l’operatività della condizione ostativa alla consegna prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r), così come interpretato a seguito della pronuncia n. 227 del 2010 della Corte costituzionale).

Il presupposto, peraltro, che ha giustificato la rilevanza della questione di costituzionalità è stato pur sempre l’esistenza nelle fattispecie sottoposte all’esame della Corte Suprema di un radicamento reale e non estemporaneo del cittadino comunitario nello Stato, in base ai criteri da tempo fissati dalla giurisprudenza di legittimità.

Occorre, cioè, la dimostrazione che questi abbia ivi istituito, con continuità temporale e sufficiente stabilità territoriale, la sede principale, anche se non esclusiva, dei propri interessi affettivi, professionali od economici.

Al fine della prova di tale condizione, tra gli indici necessari si pone la formale iscrizione o la residenza anagrafica nel territorio dello Stato, che tuttavia non è sufficiente a dimostrare che nello Stato lo straniero abbia la sede principale e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi (tra le tante, Sez. 6, n. 20553 del 27/05/2010, dep. 28/05/2010, Cocu, Rv. 247101), tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, lo svolgimento in Italia di un’attività lavorativa, la fissazione in tale luogo della sede della famiglia o di stabili relazioni affettive, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. Da tali indici e1 possibile prescindere solo per il cittadino comunitario che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente in conseguenza di un soggiorno in Italia per un periodo ininterrotto di cinque anni.

Venendo al presente ricorso, dalla documentazione prodotta e dalle integrazioni istruttorie disposte da questa Corte, non è emerso che il C. sia "residente o dimorante" nello Stato nel senso ora precisato, risultando soltanto la residenza anagrafica acquisita nel 2008, mentre non vi è prova nè dello svolgimento nello Stato di un’attività lavorativa da un apprezzabile periodo di tempo, in quanto l’unico rapporto di lavoro documentato risale al 2010; nè dell’esistenza di stabili relazioni affettive, posto che anche la relazione di convivenza allegata è solo di recente inizio.

Pertanto, la dedotta questione di legittimità costituzionale è nel caso in esame priva di rilevanza, in uno ai rilievi difensivi, smentiti dalle risultanze oggettive innanzi segnalate.

2. Alla luce delle ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato, con le conseguenze di legge. La cancelleria provvedere agli adempimenti di rito.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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