Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-04-2011) 24-05-2011, n. 20592 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 26 maggio 2010 la Corte di Appello di Milano rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione subita da B.P., sottoposta a misura cautelare carceraria in esecuzione dell’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Milano, emessa nell’ambito del procedimento che vedeva indagata la richiedente per avere partecipato ad una associazione criminosa finalizzata alla commissione di reati in materia di sostanze stupefacenti. La Corte territoriale rilevava che il Tribunale di Milano, con sentenza resa nel novembre 2001, assolveva la B. per non aver commesso il fatto.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione B.P., a mezzo dei difensori, deducendo con unico motivo, l’illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.

L’esponente rileva di essere stata rinviata a giudizio per avere svolto, in assunto accusatorio, compiti strumentali rispetto alla associazione criminosa finalizzata alla commissione di delitti ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, consistiti nella accensione di rapporti bancari sui quali transitavano i proventi del traffico di sostanze stupefacenti; e per avere Intrattenuto rapporti con I.V., durante la permanenza dell’uomo in (OMISSIS), così da consentire al coniuge di proseguire la gestione della attività illecita. La parte osserva di essere stata sottoposta alla misura carceraria con ordinanza in data 5.3.1997; e considera che con sentenza in data 22.11.2001 il Tribunale di Milano assolveva, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, la prevenuta dal reato ascrittole, per non aver commesso il fatto. L’esponente evidenzia di avere complessivamente subito un periodo di carcerazione pari ad anni uno mesi sei. La richiedete sottolinea che il fatto di essersi avvalsa della facoltà di non rispondere, nel corso del giudizio di merito, non è circostanza ostativa al riconoscimento dell’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita. E rileva che i comportamenti a lei contestati potevano rilevare solo nel caso in cui fossero stati realizzati con dolo. La parte osserva che nell’ambito del procedimento di merito anche il marito I. è stato assolto dal Tribunale di Milano; e che a seguito di annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado, disposto dalla Corte di Cassazione, la posizione dell’ I. non risulta ad oggi definita con sentenza passata in giudicato. Ritiene, pertanto, l’esponente che nell’ordinanza impugnata illogicamente la Corte territoriale qualifichi come illecita la condotta posta in essere dall’ I..

Sotto altro aspetto, la parte ritiene che i contatti telefonici intercorsi con l’ I. mentre questi si trovava in (OMISSIS) rientrino nella normale "affectio" di un qualsiasi matrimonio. La richiedente considera, sul punto che, anche ove il marito venisse condannato, non può essere riconosciuta la partecipazione al reato associativo, per il solo fatto di essere legati da rapporti familiari con un associato. La ricorrente rileva che l’accensione del conto corrente bancario richiamato dai giudici della riparazione è evenienza del tutto normale nell’ambito delle attività che si svolgono tra moglie e marito; osserva di avere acceso il conto corrente di che trattasi e di non avere effettuato operazioni.

Infine, la parte rileva che l’esercizio del diritto al silenzio non può essere considerato ostativo al riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione; ed osserva che la condotta posta in essere dalla B. non può qualificarsi come gravemente colposa.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, richiamato l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in materia di dolo o colpa grave ostativi all’accoglimento della domanda di riparazione, ha osservato che la Corte territoriale ha correttamente applicato i predetti principi, giacchè la condotta ostativa ex art. 314 c.p.p. è stata individuata nei contatti tenuti dalla richiedente con il marito che si trovava in Spagna e con altri soggetti coinvolti in traffici illeciti, elementi dai quali poteva desumersi una comunanza di interessi illeciti; e ciò anche a prescindere dal fatto che la richiedente si sia avvalsa della facoltà di non rispondere.
Motivi della decisione

4. Il ricorso è infondato e merita rigetto.

Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).

Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella criminale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.

242760).

5. L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e puntualmente nella linea del suddetto quadro interpretativo. Invero, la Corte territoriale ha analizzato il contenuto della richiesta considerando che il giudice della riparazione può attribuire ai comportamenti accertati in sede di cognizione una valenza diversa da quanto ritenuto dal giudice penale; ciò in quanto mentre il giudice penale deve stabilire se la condotta integri gli estremi di reato, il giudice della riparazione deve verificare se determinate condotte costituiscano il fattore condizionante rispetto alla produzione dell’evento "detenzione".

La Corte di Appello ha, quindi, rilevato che nella stessa sentenza assolutoria emessa dal Tribunale si evidenziava che I. V., parimenti assolto, coniuge della B., aveva partecipato a sua volta al sodalizio criminoso facente capo a O. e M., movimentando ingenti somme su di un conto corrente intestato alla B.. Ed il Collegio ha considerato che la posizione di I. è ad oggi sub judice. In tali termini, la Corte territoriale ha conferentemente chiarito che l’oggetto della presente regiudicanda non concerne altrimenti la posizione dell’ I.; e che ciò che occorre valutare è l’eventuale sussistenza di elementi ostativi alla riparazione, emergenti dalla condotta posta in essere dalla B., in relazione all’attività svolta dal sodalizio criminoso facente capo a O. e M..

Ciò premesso, il Collegio ha rilevato che la B., nel dicembre (OMISSIS), aveva intrattenuto molteplici contatti telefonici con il marito, che si trovava in Spagna, informandolo delle vicende giudiziarie relative a soggetti a lui collegati, quale l’arresto di C.G.. La Corte territoriale ha considerato, in particolare, che nel corso dei predetti contatti telefonici, oggetto di intercettazione, la B. aveva comunicato al marito di avere strappato un biglietto per lui compromettente; aveva raccomandato ad I. di non contattare il coindagato G.A., il quale aveva probabilmente i telefoni sotto controllo; ed aveva riferito di avere temuto, al rientro dalla Spagna, che i cani antidroga utilizzati per i controlli aeroportuali potessero avvertire l’odore dei vestiti dell’ I., contenuti nei bagagli. Sulla scorta di tali evenienze, la Corte di Appello ha evidenziato che la B. era certamente al corrente delle attività illecite nelle quali il marito era coinvolto; ed ha sottolineato che la B. aveva acceso un conto corrente, mettendolo a disposizione dell’ I., senza verificare le operazioni effettuate, così da fungere da mero prestanome del coniuge.

5.1 Il giudice della riparazione ha pertanto rilevato, con apprezzamento immune da fratture logiche, che la condotta posta in essere dalla B. risultava connotata da grave imprudenza, dal momento che la donna doveva ragionevolmente prospettarsi che il predetto conto corrente sarebbe stato utilizzato per la movimentazione di denaro provento di attività illecite riferibili al sodalizio criminoso, con rischio per la B. di essere coinvolta in procedimenti giudiziari. La Corte territoriale ha qualificato il comportamento della richiedente strettamente contiguo rispetto alla richiamata attività illecita ed ha ritenuto che detto atteggiamento integrasse una ipotesi di colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per l’ingiusta detenzione. La Corte di Appello ha considerato che i predetti elementi di fatto erano posti a fondamento della misura carceraria emessa dal G.i.p. nei confronti della B., di talchè doveva rilevarsi che la condotta posta in essere dalla richiedente aveva avuto diretta efficacia sinergica nella applicazione e nel mantenimento della misura cautelare. Infine il Collegio, a margine del richiamato percorso argomentativo, ha pure osservato che la B. si era costantemente avvalsa della facoltà di non rispondere, avanti al G.i.p ed al pubblico ministero, omettendo così di fornire alcuna spiegazione rispetto ai fatti suindicati.

6. Al rigetto dei ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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