Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-04-2011) 24-05-2011, n. 20569 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Lecce investito, ex art. 309 cod. proc. pen., della richiesta di riesame avanzata dall’indagata G.A., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 4.10.2010 aveva applicato alla ricorrente la custodia cautelare in carcere per due ipotesi di reato riferite al D.L. n. 306 del 1991, art. 12-quinquies.

Secondo la contestazione riportata dall’ordinanza impugnata, la G. si sarebbe resa responsabile:

capo G), assieme al marito R.C., a B.M. e a P.F., del reato di trasferimento fraudolento di valori per avere attribuito alla s.a.s. S.G.A. di Presicci Daniele & C. la titolarità o comunque la disponibilità del denaro e/o dei beni aziendali dell’esercizio bar del padiglione "Vinci" dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto, al fine di consentire al R. al B. e alla stessa G. di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale, ovvero di agevolare la commissione dei delitti previsti dagli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen.; fatto accertato nel (OMISSIS);

capo H). assieme al marito R.C., al figlio R. F. e a P.F., del reato di trasferimento fraudolento di valori per avere attribuito alla s.r.l. Nuovo Bar Padiglione Vinci, della quale risultava socio unico e amministratore il figlio R.F., la titolarità o comunque la disponibilità del denaro e/o dei beni aziendali dell’esercizio bar del padiglione "Vinci" dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto, in base ad un contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato il 18.2.2008 tra P.F., in nome e per conto di S.G.A. s.a.s., e la società Nuovo Bar Padiglione Vinci, rappresentata dal figlio, al fine di consentire al R. e alla stessa G. di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale, ovvero di agevolare la commissione dei delitti previsti dagli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen.; fatto commesso nel (OMISSIS).

1.1. A ragione della decisione, quanto ai gravi indizi di colpevolezza il Tribunale osservava:

– che la vicenda si iscriveva nell’alveo dei molteplici delitti contro il patrimonio commessi da partecipanti e soggetti collegati all’associazione al capo A), e, in particolare, da Ro.Vi. e F.G., che presiedevano all’organizzazione della attività delittuose, il F. intestando altresì a persone di sua fiducia una serie di beni per evitare che fossero aggrediti da misure patrimoniali o per favorire il reimpiego di denari di provenienza illecita evitando che potessero essere ricondotte alla sua persona;

– che le fonti di prova erano indicate nelle informative di polizia in data 11.6.2008 e 12.1.2009, nei riscontri documentali, nelle conversazioni intercorse dapprima tra Ro. e G. e quindi tra i diretti protagonisti del doppio trasferimento;

– che nel corso delle intercettazioni erano stati registrati in particolare colloqui tra il F. e B.M., dai quali emergeva la cointeressenza dei due in affari illeciti e, con buon margine di certezza, nella gestione del ristorante Villa Borghese condotto dal B.;

– che conversazioni intercettate e un servizio di osservazione del 12.7.2006 dimostravano inoltre contatti tra il B. e R.C., pluripregiudicato all’epoca detenuto presso l’ospedale SS Annunziata;

– che dalle intercettazioni attivate sulle utenze del B. e del R. emergeva la cogestione, tra i due, del bar oggetto di contestazione;

– che un sopralluogo in data 12.6.2006 attestava che alla cassa stava G.A. e nei pressi del bancone il B. e la moglie D.R.S.; si appurava inoltre che i contatti con i fornitori erano tenuti da B. e R.C. con le rispettive mogli; i problemi insorti a seguito della mancanza di certificazione di agibilità dell’intero padiglione erano inoltre oggetto di frenetiche conversazioni del R. con gli altri e con rappresentanti amministrativi e politici, cui spesso partecipava anche il B.; disposta il 12.8.2006 la chiusura del padiglione, era stato il R. ad attivarsi per il ricorso amministrativo; dimesso dall’ospedale e tornato in carcere il R., B. aveva continuato a seguire le pratiche amministrative;

– che il "sodalizio" Babuscio-Ricciardi aveva forse iniziato ad incrinarsi nel gennaio 2007, quando da alcune telefonate appariva che G. era considerata dai B. "la padrona" e l’uomo affermava di sentirsi tradito da lei, continuando ciò nonostante ad interessarsi delle vicende amministrative;

– che il 10.1.2007 veniva quindi costituita la società a r.l. Nuovo Bar Padiglione Vinci, della quale risultava titolare unico e amministratore R.F., figlio della G. e di C. e il 18.2.2008 per atto notar Rasati veniva formalmente stipulato contratto di affitto di azienda in favore di detta società;

– che gli atti d’indagine attestavano come le vicende dell’esercizio fossero "note agli epigoni del sodalizio criminoso", commentando G. e Ro. la scissione e la posizione del R. e riferendo il Ro. che costui riconosceva la posizione egemone del F.; che tanto risultava riscontrato da un incontro avvenuto il 13.4.2007 tra B., R.C. e G. F., in relazione al quale il primo chiedeva i commenti della G.; che la circostanza e gli indizi di colpevolezza traibili da contatti, telefonate, servizi di osservazione, per la fittizia attribuzione contestata risultavano chiaramente dalla informativa in data 11.6.2006, pp. 190-196, cui il Tribunale faceva rinvio per relationem; che l’iscrivibilità dei fatti in contestazione nell’ambito dei delitti orchestrati dal "gruppo che la vicenda attentamente monitorava" emergeva altresì dalla conversazione del 1.3. 2008 tra Ro. e F. nel quale il primo, parlando di R. faceva riferimento al bar.

Tali elementi costituivano gravi indizi a carico della G., attese, secondo il Tribunale: le "considerazioni apertamente svolte dai parlatori in merito agli affari del gruppo, di cui la G. stessa è direttamente parte". Nè questa aveva in alcun modo dimostrato la derivazione dei mezzi impiegati per l’acquisto da legittime disponibilità finanziarie, la mancanza di un’idonea capacità reddituale da attività lecite degli indagati e suoi in particolare, dimostrando la fittizietà dell’attribuzione dei beni.

Il dolo specifico risultava infine dalla innegabile ingerenza materiale del R. e del B. nell’azienda e il confluire di loro sostanze in essa; e tali sostanze non potevano che essere quelle provenienti dall’associazione mafiosa alla quale, in base ai precedenti penali, risultavano affiliati sia R. C. sia il B., oltre che dai numerosi altri delitti per i quali gli indagati erano stati condannati. Nè, per quel che riguardava il P. e R.F., esistevano altre valide ragioni di tali trasferimenti di proprietà. 1.2. Quanto alle esigenze cautelari e alla necessità della custodia cautelare in carcere nonostante i tempo trascorso dai fatti, andava considerato che questi si inserivano in "un contesto permanente, anche associativo"; la G. era saldamente inserita, con i coindagati tutti, nel circuito malavitoso descritto negli atti e v’era l’alta probabilità che da libera potesse tornare a delinquere, attesa la "professionalità" e ripetitività degli episodi delittuosi da un lato, i precedenti per estorsione ricettazione, il contributo importante recato ai fatti, funzionale "all’obiettivo di lucro connaturato al sodalizio criminoso indagato", dall’altro, i medesimi elementi e gli stretti legami con gli affiliati alla mafia tarantina B. e R.C., non consentendo di formulare una prognosi di adeguatezza di misure gradate.

2. Ha proposto ricorso l’indagata a mezzo dei difensori avvocati Domenico Di Terlizzi e Gaetano Vitale, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.

2.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge e vizi della motivazione con riferimento alla totale mancanza di considerazione delle note difensive e degli argomenti in queste illustrate, accompagnate da copia di documentazione amministrativa, dalla quale risultavano gli affatto trasparenti passaggi di gestione dalla società del P. a quella amministrata dal figlio della ricorrente; e con riferimento, inoltre, alla completa obliterazione dell’elemento soggettivo del reato, contestato in forma alternativa e in guisa da non consentire l’esercizio di adeguata difesa e che, anche sulla scorta della documentazione prodotta, andava ritenuto insussistente, alle deduzioni sul punto il Tribunale essendosi limitato a rispondere evocando gli aspetti oggettivi della vicenda d’interposizione fittizia.

2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge in relazione alla omessa declaratoria della nullità, argomentatamente denunziata, della ordinanza cautelare per totale mancanza di motivazione in punto di gravi indizi di colpevolezza. Il vizio, si assume, non era colmabile dal Tribunale del riesame (che peraltro neppure, come denunziato negli altri motivi, aveva adeguatamente motivato) dando vita a una nullità insanabile.

2.3. Con il terzo motivo denunzia mancanza di motivazione in ordine alla gravità indiziaria e alle esigenze cautelari.

Con riferimento al primo aspetto reitera le censura relativa alla mancanza di dati fattuali idonei a dimostrare la finalità elusiva.

Sostiene quindi che non spettava all’indagata provare la provenienza lecita dei denari impiegati, ma all’accusa dimostrare che esistevano redditi derivanti da delitti e, quindi, che fossero stati usati proprio al fine di reimpiegarli nel circuiti economico: non sussistendo in relazione all’art. 12-quinquies la presunzione istituita dall’art. 12-sexies soltanto in tema di confisca e dovendosi comunque considerare la non trascurabile circostanza dell’antica data dei reati commessi dal R..

Quanto alle esigenze cautelari deduce che gli argomenti della ordinanza impugnata erano completamente sganciati dalla realtà e dai dati acquisiti: la vicenda del bar del padiglione Vinci era affatto agganciata dagli altri reati oggetto dell’ordinanza cautelare, nessuna delle altre contestazioni concernendo il nucleo familiare R. ed essendo pretestuosa ed erronea la cosiddetta "contestualizzazione" dei fatti ascritti alla G. nell’ambito delle vicende associative. Erroneamente erano stati inoltre considerati i precedenti penali della ricorrente senza valutare che essi risalivano agli anni 1994 e 1996 e che in relazione all’ultima condanna la donna era stata ammessa all’affidamento in prova, con esito positivo. D’altronde proprio il fatto che il 18 febbraio 2008 fosse stata formalizzata la cessione alla società riferibile alla famiglia R., dimostrava che almeno da tale data non v’era alcuna intenzione di nascondere la riferibilità ad essa della gestione dell’esercizio.
Motivi della decisione

1. Va premesso che la difesa ha informato il Collegio che l’imputata, scarcerata per decorrenza dei termini di custodia cautelare, è ora sottoposta ad obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. Ha sostenuto tuttavia plausibilmente il perdurante interesse alla decisione del ricorso in punto di gravità indiziaria ai fini, se non altro, della completa liberazione e di una eventuale richiesta di riparazione per la detenzione subita.

2. Ciò posto, occorre procedere all’esame dei motivi che concernono i gravi indizi di colpevolezza e osservare che il secondo motivo, pregiudiziale perchè riferito a una asserita nullità insanabile, dipendente dalla sostanziale mancanza di motivazione dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, è infondato.

Il riesame è un gravame puro, a devoluzione totale, sicchè il giudizio del Tribunale non può esplicarsi nella sola forma rescindente a causa di carenze di motivazione dell’ordinanza cautelare, ma segue la regola generale della inseparabilità tra giudizio rescindente e rescissorio che vale per l’appello (S.U. n. 3287 del 27/11/2008, G.) e, in difetto di espressa diversa previsione, per tutti i casi di rimedio esteso al merito. D’altro canto già S.U. 26 febbraio 1991, Bruno, ha ribadito la legittimità dell’ordinanza di custodia cautelare che, per quanto concerne la esposizione degli indizi di colpevolezza, recepisca integralmente la richiesta del pubblico ministero, e S.U. n. 7 del 17 aprile 1996, Moni, ha ricordato che la motivazione del tribunale del riesame integra e completa sempre l’eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice.

3. Sono invece fondate le censure riferito ai vizi della motivazione del provvedimento impugnato.

3.1. La contestazione indica come soggetti interponenti R., B. e la stessa G. per il capo G), R. e G. per il capo H).

La motivazione parte dalla premessa che i fatti si iscrivevano nell’ambito dell’attività delittuosa di un sodalizio i cui capi, Ro. e F. (dunque soggetti diversi da quelli indicati in imputazione) intestavano a persone di loro fiducia beni loro appartenenti di provenienza illecita o acquistati mediante il reimpiego di denari di provenienza illecita e dopo una disarticolata e confusa esposizione di conversazioni intercettate giunge all’analoga conclusione che i reati erano da iscrivere nell’ambito dei delitti orchestrati dal "gruppo che la vicenda attentamente monitorava", riferendosi con ciò ancora una volta a F. e Ro.. Gli argomenti sono dunque del tutto incoerenti con la contestazione, che non si riferisce affatto ad una intestazione fittizia ad opera del F. o del Ro. (come soggetti interponenti) alla indagata (come soggetto interposto).

3.2. Totalmente carente è quindi la giustificazione della ipotesi di illecita provenienza dei beni impiegati per rilevare la gestione dell’esercizio.

Le conversazioni riferite alla ricorrente e a suo marito riportate, sempre solo per estrema sintesi, nulla dicono per altro se non che i due gestivano effettivamente l’attività commerciale che dal 2007 risultava intestata al figlio.

A giustificazione dei sospetti a carico della G. il Tribunale fa riferimento a conversazioni in merito ad "affari del gruppo, di cui la G. stessa è direttamente parte", senza in alcun modo, però, sostenere sulla base di elementi specifici tale asserzione, relativa alla partecipazione della indagata ad un qualche contesto di criminalità organizzata, Nè, per altro verso, adeguatamente giustifica l’implicito assunto di una sua complicità in affari illeciti del marito.

Infine, il Tribunale afferma che l’indagata non aveva dato dimostrazione di sue legittime disponibilità finanziarie e omette di riferire se l’accusa aveva provato invece l’inesistenza o l’inadeguatezza delle fonti di reddito lecite dell’indagata e del suo nucleo familiare. Così implicitamente, ed erroneamente, presupponendo che sarebbe spettato all’incolpata dare dimostrazione della provenienza lecita dei mezzi impiegati: ovvero provare la sua innocenza.

Sul punto, che è decisivo, basterà ricordare l’insegnamento proveniente da C. cost. n. 48 del 1998, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del reato di cui all’art. 12- quinquies, comma 2, proprio a ragione della presunzione di illecita accumulazione posta a base di tale incriminazione: inaccettabile perchè ambiguamente confondeva i presupposti della sanzione criminale con quelli che consentono l’applicazione di una misura di carattere preventivo, quale la confisca, e sovvertiva il principio di non colpevolezza.

E’ dunque chiaro che, diversamente da quanto ritenuto dal provvedimento impugnato, in relazione al reato di cui all’art. 12- quinquies, comma 1, gli oneri probatori in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo del reato, non possono che essere – come ricorda tra molte Sez. 5, n. 39992 del 25/09/2007, Billeci – tutti a carico della pubblica accusa.

3.3. Quanto all’elemento soggettivo del reato, la motivazione si risolve, come pure giustamente rimarca la difesa, in una petizione di principio, ancorata alla asserita mera sussistenza obiettiva della intestazione dell’attività a soggetto non titolare.

4. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Lecce perchè proceda a nuovo esame dando adeguatamente conto degli elementi di prova in relazione ai reati contestati e attenendosi al principio che la sussistenza del reato, nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, va dimostrata dall’accusa.

Restano assorbite le ulteriori censure non precluse dall’intervenuta sostituzione della misura.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Lecce.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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