Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-04-2011) 24-05-2011, n. 20567 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Reggio Calabria investito ex art. 309 cod. proc. pen., della richiesta di riesame avanzata dall’indagato P.R., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 21.5.2010 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., quale partecipe alla ‘ndrina Pesce, nonchè per il reato di estorsione aggravata ai danni di A.S., titolare dell’impresa Trovel sud, commesso tra (OMISSIS).

A ragione – premessa la narrazione degli elementi che confluivano a dimostrare l’esistenza dell’associazione mafiosa e più in particolare, per quanto interessa in questa sede, la gestione ad opera della famiglia Pesce dei camion occupati nel circuito di distribuzione dei supermercati SISA – in relazione alla posizione di P.R. – marito di Pe.Gi., figlia di Sa. e sorella di Fr., cl. (OMISSIS), entrambi detenuti ( Fr. dal 30 ottobre 2006) – osservava che a suo carico stavano una serie di conversazioni intrattenute in carcere, che dimostravano come il gruppo facente capo ai predetti Sa. e Pe.Fr. portasse avanti un’attività estorsiva nei confronti dell’ A., detto "(OMISSIS)", titolare di un’impresa di trasporti che curava la distribuzione dei prodotti SISA, e come in tale attività fosse direttamente coinvolto, non solo con il compito di portavoce delle richieste estorsive ma assumendo iniziative intimidatorie, P.R.. L’intraneità manifestata in occasione di tale vicenda estorsiva sosteneva altresì l’ipotesi della sua partecipazione al clan. Nè fornivano giustificazioni attendibili le dichiarazioni rese dall’indagato nel corso dell’interrogatorio di garanzia, collidenti con il tenore obiettivo dei colloqui intercettati.

Il Tribunale ha in particolare evidenziato le conversazioni:

– del 31.10.2006, nella quale Pe.Sa., detenuto, chiedeva al genero P. notizie di due camion, di cui uno nella disponibilità dello (OMISSIS) ( A.), e da cui emergeva che costui svolgeva attività di trasporto per conto della SISA e doveva versare una somma di denari del cui ritiro s’occupava il P., dandola alla moglie di Sa., F.A.;

– del 3.11.2006, in cui Pe.Fr., cl. (OMISSIS), arrestato il 30.10.2006, veniva informato dal cognato P. che dei camion si sarebbe occupato lo zio Pe. "(OMISSIS)" ( Pe.Gi.) e lo rassicurava che questo avrebbe dato il denaro alla madre ( F.);

– del 7.11.2006, in cui Pe.Fr. cl. (OMISSIS), manifestando malumore per il mancato pagamento da parte dell’ A., incaricava la sorella Ma. di ricordare allo zio Gi. "(OMISSIS)" le condizioni di pagamento (ogni primo del mese 800 Euro);

– del 10.11.2006, in cui Pe.Fr. apprendeva dalla madre F. che per il camion le erano state date somme inferiori degli 800 Euro richiesti, e tanto scatenava la rabbia di Fr. che minacciava di fargli bruciare tutti camion, ricordando che erano scesi da 1000 a 800 e già un’altra volta lo avevano punito ("menato"), e il P., dicendo che sarebbe andato lui stesso da R. lo "(OMISSIS)", rilanciava la richiesta estorsiva affermando che gli avrebbe detto che ne doveva dare 1000 (al mese);

– del 5.12.2006, tra Pe.Fr., la sorella Ma. e il cognato C., in cui il primo ribadiva la necessità di mandare qualcuno a prendere l’ A. inadempiente e a picchiarlo;

– del 12.12.2006, tra Pe.Fr. e la sorella Gi., moglie di P., in cui questa rassicurava Fr. che all’ A. era stato detto che doveva versare 1000 Euro e che in settimana li avrebbe dati;

– del 15 e del 19. 12.2006, nei quali Fr. veniva informato che R. aveva detto all’ A. che doveva versare 1000 Euro al mese, sia che il camion lavorasse sia che fosse rotto.

2. Ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del difensore avvocato Mario Santambrogio, che chiede l’annullamento della ordinanza impugnata denunciando violazione ed erronea applicazione degli artt. 416-bis e 629 cod. pen. nonchè vizi della motivazione.

Si sostiene che l’ordinanza impugnata era motivata quanto, in particolare, alla ritenuta appartenenza mafiosa, con petizioni di principio e argomenti meramente congetturali, tratti dal solo, asserito, contributo causale offerto in un affare del cognato. Dagli elementi indiziari esposti non emergevano: nè i profili soggettivi della condotta di partecipazione, con la necessaria consapevolezza e volontarietà del perseguimento degli scopi dell’associazione; nè l’affectio societatis e i caratteri di stabilità e continuità – ovvero di effettività e costanza – del contributo che si affermava prestato allo cosca e del ruolo in concreto per essa svolto; nè la finalizazzione della condotta ascritta a titolo di estorsione a favorire la cosca invece che, singolarmente, il cognato; nè, infine, neppure la effettiva realizzazione degli incarichi assegnati e, tanto meno, lo svolgimento del ruolo, stabile e permanente, di esecutore della cosca, attribuito all’indagato.

Osserva quindi più nel dettaglio che dalle conversazioni 31.10.2006 e 3.11.2006 non emergeva nulla circa un’attività estorsiva ai danni dell’ A.; che il riferimento all’approfondita conoscenza dell’attività estorsiva della famiglia era congetturale; che mancavano elementi di riscontro quali una rete di rapporti personali, cointeressenze, frequentazioni con i sodali; che, avendo dato Pe.

F. in gestione un camion alla impresa dell’ A., il P. agiva nella convinzione di aiutare il cognato a recuperare suoi crediti e ben poteva percepire le indicazioni sul metodo da utilizzare come mere manifestazioni della esasperazione in cui versava; che la frase del Pe. "sono 8 volte che glielo dico e non va nessuno" si prestava ad essere letta piuttosto nel senso della inanità delle richieste, mentre quella "i soldi me li mette tutti sul libretto" dimostrava che si trattava di affari privati di Pe.

F..
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei limiti che si diranno.

2. Va anzitutto osservato che le censure svolte nel ricorso si riferiscono essenzialmente al reato di associazione mafiosa. Pochi cenni vengono rivolti alla contestazione del reato di estorsione, e per lo più gli stessi appaiono più destinati a cogliere l’aspetto privato della vicenda che a discutere la valenza degli elementi indiziari e la correttezza della motivazione in relazione a detto reato.

Ad ogni buon conto, e poichè nell’intestazione il ricorso evoca anche la violazione dell’art. 629 cod. pen. e, genericamente, vizi di motivazione in relazione a tutte le contestazioni, deve rilevarsi che, quanto all’ipotesi di partecipazione del P. all’estorsione ai danni dell’ A., aggravata dal metodo mafioso, l’ordinanza impugnata appare immune da vizi.

Le conversazioni intercettate riportate nell’ordinanza risultano plausibilmente interpretate nel senso che da esse emergeva, in generale, il tenore sicuramente estorsivo della imposizione di versare un canone mensile per l’uso di un camion rivolta all’ A., e più in particolare, quindi, che il P. s’intrometteva nelle discussioni a proposito degli importi che l’ A. avrebbe dovuto versare, ascoltava le minacce che si voleva dal cognato fossero rivolte all’ A., rilanciava le richieste prometteva che si sarebbe occupato di chiedere il denaro (conv. del 10.11.2006); aveva quindi effettivamente riportato all’ A. le richieste estorsive (conv. del 15 3 19.12.2006). Codesti elementi forniscono dunque adeguata base fattuale per la contestazione del concorso del P. nell’estorsione ai danni dell’ A..

Corretta è quindi la qualificazione del fatto, giacchè, a prescindere dall’astratta possibilità di configurare a monte l’esistenza di un rapporto obbligatorio tra i Pe. e l’ A. a causa dell’uso da parte di costui di un mezzo la cui appartenenza effettivamente non risulta chiarita, adeguatamente è stato evidenziato il carattere in ogni caso ingiusto del profitto, preteso oltre ogni ragionevole schema sinallagmatico (se il camion lavorava o non lavorava, se era rotto o non rotto) e realizzato mediante minacce di gravi ritorsioni. E corretta è la considerazione dell’aggravante del metodo mafioso atteso il carattere delle minacce, l’evocazione delle ritorsioni già inflitte, la sottolineata caratura dei mandanti.

3. Carente è invece la giustificazione dell’accusa di partecipazione al sodalizio mafioso.

L’unica condotta attribuita al P. consiste nella partecipazione all’estorsione ai danni di A.. Che i profitti di tale estorsione servissero all’associazione invece che a sostenere, personalmente, Pe.Fr. detenuto, non risulta da alcun elemento e parrebbe contraddetto dalla stessa conversazione citata dal Tribunale in cui Fr. dice di mettere i soldi, tutti, sul suo libretto, al cui tenore testuale s’appella la difesa e in relazione alla quale i giudici del merito non hanno offerto spiegazioni specifiche alternative. Non risultano altri ruoli svolti dal P. per l’associazione e non risulta che a lui abbiano fatto riferimento altri indagati nelle conversazioni intercettate o collaboranti. Anche la conversazione del 31 ottobre 2006 con Pe.

S., enfatizzata dal Tribunale in termini di conoscenza del "sistema" estorsivo, si riferisce a due soli camion e si concentra quindi su quello dell’ A., nulla dimostrando, per come riportata, in termini di affectio societatis e di apporto alla cosca.

Nè, alla luce del tenore testale delle farsi richiamate può dirsi implausibile il rilievo difensivo, che non trova risposta alcuna nelle considerazioni del Tribunale, secondo cui anzi, e all’incontrarlo, da tale conversazione addirittura emerge un atteggiamento di presa di distanza del P..

Ora la partecipazione a un delitto collegato all’attività dell’associazione mafiosa, unita alla conoscenza dei traffici e degli interessi della stessa e a legami di parentela, può valere come indizio della partecipazione mafiosa, ma se non vengono offerte valide ragioni per escludere che la condotta è di mero supporto a singoli associati o a singole operazioni, tali elementi da soli non sono sufficienti a giustificare una contestazione cautelare di partecipazione mafiosa perchè non sono univoci nè precisi con riferimento al diverso reato da provare.

Il fatto che P. fosse legato da vincoli di parentela, per altro acquisita, con alcuni membri della cosca e, conoscendone metodi e interessi, si fosse prestato a collaborare con loro per portare avanti una estorsione la cui destinazione a favorire oggettivamente la cosca non è provata, non basta, in altri termini, a dimostrare che avesse anche aderito al sodalizio e ne facesse organicamente parte, svolgendo all’interno del suo tessuto organizzativo un ruolo stabile e funzionale al perseguimento dei fini criminosi dell’associazione, non già di singoli associati.

3. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata limitatamente al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., con rinvio per nuovo esame su) punto al Tribunale di Reggio Calabria. Il ricorso deve per il resto essere rigettato.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Reggio Calabria. Rigetta nel resto il ricorso.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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