Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-04-2011) 24-05-2011, n. 20565 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 2 novembre 2010 il Tribunale di Lecce, in parziale accoglimento della richiesta di riesame formulata da S.A., annullava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 4 ottobre 2010 dal giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale limitatamente al delitto di cui al capo b ( artt. 640, 48, 479, 468, 476, 482, 483 e 494 c.p., aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7), mentre la confermava in ordine ai restanti delitti (capi s, u, w, ac concernenti tutti violazioni alla disciplina sulle armi ai sensi della L. n. 497 del 1974, artt. 9, 10, 12 e 14, aggravati ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7).

Ad avviso del Tribunale gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati in materia di armi erano costituiti dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, ritualmente disposte, evidenzianti la disponibilità di armi e di esplosivi da parte dell’indagato che ne faceva oggetto di porto in luogo pubblico.

Le esigenze cautelari venivano ravvisate ai sensi dell’art. 274 c.p.p., lett. c), tenuto conto della gravità dei reati oggetto di contestazione, della reiterazione degli illeciti, della professionalità dimostrata nel modificare le armi al fine di renderle più insidiose, della strumentalità della loro commissione rispetto agli obiettivi illeciti perseguiti dall’associazione di stampo mafioso facente capo a V.R. ed altri. Unica misura adeguata a contenere la pericolosità sociale manifestata da S. con i predetti comportamenti era ritenuta quella della custodia cautelare in carcere.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’indagato, il quale lamenta: a) violazione dei canoni di valutazione probatoria con riferimento alla ritenuta sussistenza del quadro di gravità indiziaria; b) mancanza della motivazione in ordine all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7; c) carenza della motivazione in ordine alla configurabilità delle esigenze cautelari.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 9, 10, 12 e 14, aggravati ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (capi s, u, w, ac) dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, da cui emergeva che l’indagato aveva ampia disponibilità di armi e di esplosivi che deteneva e portava in luogo pubblico.

Lo sviluppo argomentativo della motivazione circa la sussistenza del quadro di gravità indiziaria in ordine ai suddetti delitti è fondato su una coerente analisi critica degli elementi acquisiti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di S. in ordine ai reati di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 9, 10, 12 e 14.

Orbene, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

2. Fondata è, invece, la seconda censura.

2.1. Il D.L. n. 152 del 1991, art. 7 richiede che i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo siano commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività di associazioni di tipo mafioso. Si tratta di due ipotesi distinte, quantunque logicamente connesse. La prima ricorre quando l’agente o gli agenti, pur senza essere partecipi o concorrere in reati associativi, delinquono con metodo mafioso, ponendo in essere, cioè, una condotta idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica – non necessariamente su una o più persone determinate, ma, all’occorrenza, anche su un numero indeterminato di persone, conculcate nella loro libertà e tranquillità – con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale della specie considerata. In tal caso non è necessario che l’associazione mafiosa, costituente il logico presupposto della più grave condotta dell’agente, sia in concreto precisamente delineata come entità ontologicamente presente nella realtà fenomenica; essa può essere anche semplicemente presumibile, nel senso che la condotta stessa, per le modalità che la distinguono, sia già di per sè tale da evocare nel soggetto passivo l’esistenza di consorterie e sodalizi amplificatori della valenza criminale del reato commesso. La seconda delle due ipotesi previste dal citato art. 7, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso, implica invece necessariamente l’esistenza reale, e non più semplicemente supposta, di un’associazione di stampo mafioso, essendo impensabile un aggravamento di pena per il favoreggiamento di un sodalizio semplicemente evocato (Cass. Sez. 1, 18 marzo 1994, n. 1327, rv. 197430).

L’aggravante in questione, in entrambe le forme in cui può atteggiarsi, è applicabile a tutti coloro che, in concreto, ne realizzano gli estremi, sia che essi siano essi partecipi di un sodalizio di stampo mafioso sia che risultino ad esso estranei (Sez. Un. 22 gennaio 2001, n. 10; Cass., 23 maggio 2006, n. 20228).

2.2. Il Tribunale del riesame ha omesso qualsiasì motivazione in merito alla doglianza difensiva concernente l’assenza dei presupposti per ritenere sussistente l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Nel vizio di mancanza di motivazione devono essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. 1^, 9 novembre 2004, ric. Santapaola, rv. 230203).

Il provvedimento impugnato, pur affermando che con riferimento ai delitti contestati ai capi s), u, w, ac – tutti aggravati ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 – sussistevano i gravi indizi di colpevolezza, ha omesso qualsiasi compiuta esposizione in merito agli elementi che consentivano di ritenere integrata anche la suddetta aggravante sotto uno dei profili illustrati al precedente par. 2.1.

Nè, d’altra parte, possono supplire a tale vuoto motivazionale le considerazioni sviluppate nell’ambito del paragrafo del provvedimento impugnato riguardante le esigenze cautelari, atteso che, in quel contesto, l’iter argomentativo era incentrato esclusivamente su tale aspetto e, in ogni caso, era privo di completezza in merito alla questione posta in via principale posta dalla difesa, ossia la sussistenza dell’aggravante ad effetto speciale, che comporta specifiche ricadute in campo processuale anche nella prospettiva di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3.

Sotto questo profilo, quindi, s’impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Lecce.

3. Priva di pregio è anche l’ultima censura.

La motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari in relazione ai delitti di detenzione e porto di armi comuni da sparo e di esplosivi – impregiudicata la necessità di una loro nuova valutazione all’esito del giudizio in ordine all’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 – ha fatto corretta applicazione dei principi costantemente enunciati da questa Corte, avendo sottolineato, nella prospettiva di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), la ripetitività e la sistematicità delle condotte delittuose, le capacità rivelate nel porre in essere modifiche di taglio ai fucili, espressive di una spiccata propensione a delinquere. In tale ottica, il Tribunale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha evidenziato che unica misura proporzionata alla estrema gravità dei fatti e adeguata a contenere l’elevata pericolosità sociale dimostrata da S. è quella della custodia cautelare in carcere, considerata anche l’elevata probabilità del diniego della sospensione condizionale della pena in rapporto alla qualità e al numero dei delitti commessi.

4. S’impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e il rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Lecce.

Il ricorso deve essere, invece, rigettato nel resto.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Lecce. Rigetta nel resto il ricorso.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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