Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-04-2011) 24-05-2011, n. 20500 Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nella specie si verte in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, promosso ex art. 625 bis c.p.p. da:

C.A.;

S.L.;

avverso la sentenza della sesta sezione penale di questa Corte di Cassazione, in data 17.06.2010 – N.29640/2010;

nei motivi si premette:

-che i sigg.ri C. e S. (coniugi) sono stati assolti ex art. 530 c.p.p., comma 2 dal tribunale di Pesaro con sentenza del 16.05.2005 per il delitto di cui all’art. 374 c.p. (frode processuale) con la formula: il fatto non sussiste;

– che la Corte di appello di Ancona, decidendo sull’appello proposto dalla sola parte civile, dichiarava non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, condannando C. e S. alle spese dei due gradi di merito nonchè al risarcimento del danno per l’importo di Euro 25.000;

– che la Corte di Cassazione, su impugnazione degli imputati:

– annullava senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Ancona agli effetti penali, atteso che il capo della sentenza di primo grado, con il quale si erano mandati assolti gli imputati, era passato in cosa giudicata atteso che l’impugnazione era stata proposta solo dalla parte civile;

– ripristinava la formula assolutoria adottata dal primo giudice;

– confermava, però, le statuizioni civili disposte dalla Corte di appello e condannava C. e S. a rimborsare alla parte civile le spese del grado di legittimità;

– i ricorrenti propongono ricorso ex art. 625 bis c.p.p., deducendo con MOTIVO UNICO:

– che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in errore di fatto in quanto, per un verso, ha ripristinato la pronuncia di assoluzione degli imputati C. e S. e, per altro verso e per mero errore, ha confermato la statuizione civile di condanna;

invero, l’assoluzione con la formula "perchè il fatto non sussiste" sarebbe preclusiva di ogni condanna ai fini civili;

in sostanza, la Corte di Cassazione nella decisione impugnata, non si sarebbe avveduta, a parere dei ricorrenti, della necessità di disporre la revoca di ogni statuizione civile;

si verterebbe perciò nell’ipotesi di errore di fatto, ovvero di errore materiale consistito nell’omessa declaratoria di revoca delle statuizioni civili, collegata all’assoluzione per insussistenza del fatto;

– si chiede perciò la correzione della sentenza in tal senso.
Motivi della decisione

I ricorrenti concordano completamente con la decisione della Sesta sezione di questa Corte, laddove ha pronunciato l’annullamento della sentenza della Corte di appello di Ancona nella parte in cui ha dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione – osservando che tale decisione era preclusa dal passaggio in cosa giudicata della sentenza di assoluzione degli imputati emessa in primo grado – ma deducono che la decisione sarebbe incorsa in errore di fatto perchè, ripristinando la pronuncia assolutoria, non ha provveduto anche alla consequenziale revoca delle statuizioni civili.

Il ricorso proposto ex art. 625 bis c.p.p., pone, innanzi tutto, la questione della legittimazione, segnalata anche dal PG di udienza, che va risolta in senso positivo.

Al riguardo vi è un contrasto di giurisprudenza che trae origine dalla considerazione che il ricorso per Cassazione per errore materiale o di fatto ex art. 625 bis c.p.p. si configura come mezzo di impugnazione "straordinario", ammesso, in deroga al principio generale d’inoppugnabilità delle decisioni della Corte di Cassazione, solo "a favore del condannato", avverso il provvedimento irrevocabile pronunciato dalla Suprema Corte, per effetto del quale diviene definitiva una sentenza di condanna.

Si è osservato che, attesa la natura "straordinaria" dell’impugnazione, la definizione normativa del perimetro di esperibilità del ricorso ha carattere tassativo, non suscettibile d’interpretazione analogica, sicchè risulterebbe inammissibile, per difetto di legittimazione dell’istante, il ricorso straordinario proposto avverso un’ordinanza della Suprema Corte che abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso dell’imputato, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere per essere il reato estinto per prescrizione del reato (Cass., Sez. 1, 27/3/2007 n. 14869, Cotronei, rv. 236166; Sez. 1, 20/5/2008 n. 23150, Vitolo, rv. 240202).

Sulla scorta di tale principio si è affermato (vedi, in particolare:

Cass. Pen. Sez. 1, del 03.12.2008, 46277, Gava, rv 242079, in precedenza: Sez. 3A, 28 gennaio 2004, Mongiardo) che deve pervenirsi al medesimo esito d’inammissibilità del ricorso straordinario pur quando, insieme con la declaratoria di non luogo a procedere per estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, siano state, come nella specie, confermate dalla Corte d’appello o dalla Corte di Cassazione le statuizioni civili a favore della parte civile ex art. 578 c.p.p., sicchè l’imputalo risulti "condannato" per gli effetti civili;

che, invero, anche in tal caso non è dato ravvisare una pronuncia della Suprema Corte idonea a determinare il passaggio in giudicato di una decisione che renda incontrovertibile l’accertamento dei presupposti della potestà punitiva statuale, in termini di "applicazione di una sanzione penale" (affermazione, questa, pacifica nella giurisprudenza di legittimità), quindi di una condanna "agli effetti penali", come suggerisce l’interpretazione letterale e logico- sistematica della norma di cui all’art. 625 bis c.p.p. (v., ad esempio, quanto alla non ricorribilità della mera pronuncia di condanna alle spese del giudizio, consequenziale al rigetto dell’impugnazione, Cass., Sez. 3, 28/1/2004 n. 6835, Mongiardo, rv.228495).

A sostegno di tale interpretazione si è richiamato anche il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 1, 15/04/1992 n. 1672, Bonaceto, rv.

190002; Sez. 6, 30/11/1992 n. 4231, Melis, rv. 193457; v. anche Sez. 5, 24/02/2004 n. 15973, Decio, rv.228763) a proposito della tradizionale disciplina della revisione, anch’essa certamente di natura eccezionale, il cui contenuto è stato assunto dal legislatore del 2001 come "modello" per la configurazione delle caratteristiche strutturali del rimedio straordinario in esame (Cass., Sez. Un., 27/3/2002, De Lorenzo; Sez. Un., 27/3/2002, Basile).

Per contro, altre decisioni di legittimità si sono espresse, anche di recente (Cass. Pen. Sez.6, del 27.04.2010, n. 26485,Chiatante, Rv 247816; in precedenza: Cass. Pen. Sez. 1, 12.02.2003 n. 12720, Nosari, Rv 224026) nel senso che al ricorso straordinario è legittimato anche il soggetto che per effetto di esso risulti condannato solo agli effetti civili, intendendosi con tale termine sia l’imputato che il responsabile civile ex art. 83 c.p.p. che siano condannati, per errore di fatto prodottisi nella decisione della Corte di Cassazione, al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Questo Collegio intende aderire a tale indirizzo giurisprudenziale, che appare più convincente e soprattutto da ultimo prevalente – sicchè non sembra ricorrere il caso della rimessione della questione alle SS.UU – condividendo l’osservazione che il termine "condannato" è giuridicamente oltre che semanticamente, riferibile alle statuizioni sull’azione penale come a quelle sull’azione civile e che, dal punto di vista formale, nessuna delle disposizioni contenute nei successivi commi dell’art. 625 bis c.p.p. qualifica il rimedio in senso restrittivo, e cioè come riferibile al capo e ai punti penali, la statuizione di "condanna". Se si vogliono superare gli aspetti terminologici, in quanto in ipotesi non decisivi, e venire a quelli che attengono alla ratio dell’istituto, pur tenendo nel dovuto conto la collocazione della norma in esame nell’ambito del codice di procedura penale, occorre partire dalla considerazioni che il giudice penale emette pronunce di condanna non solo per la responsabilità penale ma anche per quella civile, ove la relativa azione sia stata esercitata in sede penale mediante costituzione di parte civile ai sensi dell’art. 74 c.p.p. e ss., in relazione a quanto previsto dall’art. 185 c.p..

Per l’azione civile esercitata in sede propria all’accertamento dell’errore di fatto soccorre l’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4; e se l’art. 625 bis c.p.p., si intendesse come riferibile solo all’errore di fatto incidente su una statuizione di condanna sul capo penale, sarebbe irragionevolmente preclusa al soccombente rispetto all’azione risarcitoria esercitata dal danneggiato in sede penale (nei confronti dell’imputato ed eventualmente del responsabile civile) qualsiasi possibilità di far valere l’errore di fatto, in ipotesi decisivo, che si annidi in una pronuncia della Corte di Cassazione. (Cass. Pen. Sez. 6, n.26485 del 27.04.2010, già richiamata).

Tanto premesso in ordine alla legittimazione al ricorso ex art. 625 bis c.p.p., si deve, però, osservare come i motivi proposti sono inammissibili in quanto trascurano di considerare che, dal tenore della motivazione espressa dalla Sezione sesta di questa Corte emerge in maniera chiara che la mancata revoca delle statuizioni civili, lungi dall’essere frutto di errore di fatto, corrisponde ad una precisa valutazione in diritto. Invero, la decisione impugnata si è uniformata ai principi espressi dalla Giurisprudenza di legittimità, anche di questa sezione, in materia di impugnazione della parte civile.

In primo luogo va richiamato il principio per il quale il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, atteso che l’art. 576 c.p.p. conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto. (Cassazione penale, sez. un., 11/07/2006, n. 25083).

In secondo luogo si deve ricordare che in tema di parte civile (Vedi Cass. Pen. Sez.2, 24.10.2003 n. 897 – pc Cantamessa- Rv.227966), si è ritenuta l’ammissibilità dell’impugnazione proposta da tale parte avverso la sentenza di assoluzione ( art. 576 c.p.p.) preordinata a chiedere l’affermazione della responsabilità dell’imputato, quale logico presupposto della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, con la conseguenza che detta richiesta non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato, in mancanza dell’impugnazione del p.m., ma semplicemente all’affermazione della responsabilità dell’imputato per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno. L’impugnazione della parte civile deve, in tal caso, fare riferimento specifico a pena di inammissibilità del gravame, agli effetti di carattere civile che si intendono conseguire e non limitarsi alla richiesta concernente l’affermazione della responsabilità dell’imputato, che, esulando dalle facoltà riconosciute dalla legge alla parte civile, renderebbe inammissibile l’impugnazione.

In tale ipotesi, il giudice dell’impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto reato, e, dunque, sulla responsabilità dell’autore dell’illecito, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto, nel qual caso la res iudicanda si sdoppia dando luogo a differenti decisioni potenzialmente in contrasto tra loro; contrasto che può rimanere interno alla giurisdizione penale oppure manifestarsi tra giudici di giurisdizioni diverse. (vedi cit.

Cass pen, sez. 2, 24/10/2003, n. 897; più di recente: Cass. Pen. Sez. 2, 31.01.2006 n. 5072 – pc Pensa- Rv. 233273). Nella specie, la Corte di appello di Ancona, aveva correttamente ritenuto ammissibile l’impugnazione agli effetti civili, così come proposta dalla parte civile e, in via incidentale, aveva statuito sulla ricorrenza del fatto illecito ascritto agli imputati con conseguente accoglimento dell’appello e pronuncia di condanna degli imputati ai fini civili.

La Corte di Cassazione (sez. 6) investita del ricorso degli imputati, in applicazione della giurisprudenza di legittimità ora richiamata, ha respinto l’impugnazione della decisione di appello riguardo alle statuizioni civili;

ha, del pari, evidenziato che sotto tale profilo la parte civile non risultava soccombente, sicchè ha condannato anche gli imputati al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla stessa parte, in pieno rispetto del disposto dell’art. 592 c.p.p., comma 4.

Nè può ritenersi che la posizione della parte civile sia stata modificata dal parziale accoglimento proposto dagli imputati riguardo all’erronea applicazione della prescrizione da parte della Corte di appello, atteso che tale capo della sentenza è stato impugnato dagli imputati agli effetti penali e la decisione di legittimità non ha avuto influenza riguardo alla posizione delle parti civili e all’impugnazione dagli stessi proposta in secondo grado.

La sentenza impugnata si è pronunciata su tutti gli aspetti ora richiamati, con argomentazioni pienamente conformi alla richiamata giurisprudenza di legittimità, sicchè ha motivatamente tenute ferme le statuizioni civili contenute nella sentenza di appello, condannando gli imputati ricorrenti anche alle spese sostenute dalla parte civile nel grado di Cassazione. Il ricorso proposto ex art. 625 bis c.p.p. è dunque inammissibile, atteso che la pronuncia relativa alle statuizioni civili, lungi dall’essere frutto di errore di fatto, deriva da una precisa statuizione in diritto, come tale assolutamente intangibile con tale mezzo di impugnazione.

E’ del tutto pacifico il principio di diritto per il quale, ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto, è necessario che sia denunciata una disattenzione di ordine meramente percettivo, causata da una svista o da un equivoco, la cui presenza sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso, e che abbia determinato una decisione diversa da quella adottata, dovendosi escludere che il rimedio in oggetto possa essere utilizzato al fine di denunciare un errore di valutazione o di interpretazione di norme giuridiche.

(Cassazione penale, sez. 6, 25 novembre 2008, n. 2945).

I motivi di ricorso articolati collidono con i principi sopra espressi in tema di ricorso ex art. 625 bis c.p.p., e trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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