Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-04-2011) 24-05-2011, n. 20492

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino giudicava con il rito ordinario M.E. imputato del reato di truffa, ex art. 81 cpv. c.p. e art. 640 c.p. perchè, quale conduttore dei locali di proprietà della società VICAR srl, con artifici e raggiri, consistiti nel garantire la propria solvibilità e nel rappresentare alla società che in tempi brevi avrebbe incassato notevoli somme di denaro, induceva in errore i soci della stessa società che, pertanto, si asteneva dall’intraprendere le procedure di sfratto per morosità, dilazionandole per circa quattro mesi, procurandosi così l’ingiusto profitto della disponibilità dell’immobile senza pagare i canoni di locazione, per complessivi Euro 7.240; in (OMISSIS) dal (OMISSIS);

al termine del giudizio l’imputato veniva condannato con sentenza del 24.02.2009 alla pena ritenuta di giustizia;

La corte di appello di Torino, investita del gravame, confermava la decisione impugnata con decisione del 09.07. 2010;

L’imputato ricorre per cassazione, deducendo:

MOTIVI:

ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b);

1)- il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione dell’art. 640 c.p., avendo ritenuto che la condotta del M. integrasse l’ipotesi del raggiro mentre l’imputato si era limitato ad esporre delle semplici menzogne sulla sua solvibilità, senza alterare in alcun modo la realtà;

– la motivazione adottata era da censurare nella parte in cui non aveva verificato l’effettiva idoneità di tali assicurazioni a trarre in inganno la parte offesa, stante la grossonalità delle affermazioni del M. che vantava crediti irragionevoli e poco credibili;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

La motivazione impugnata ha puntualizzato che il M. non si era limitato a garantire il prossimo pagamento dei ratei di locazione, ma era riuscito ad indurre in errore i soci della Vicar enunciando, nel dettaglio, rilevanti quanto inesistenti crediti ed indicando anche i clienti (Eni, un caseificio, etc.) dai quali avrebbe dovuto incassare gli onorari per le sue prestazioni.

La Corte di appello ha fatto buon uso dei principi enunciati dalla Giurisprudenza di legittimità, anche di questa sezione, ove si è affermato che la semplice menzogna può costituire raggiro idoneo a concretare gli estremi del reato di truffa. (Cassazione penale, sez. 2, 14/05/1982).

Si è ritenuto che il silenzio ed il mendacio cessino di essere elementi strutturalmente neutri, per assumere, invece, connotazioni senz’altro "artificiose" o di "raggiro" in rapporto a specifici obblighi giuridici che qualifichino l’omessa dichiarazione o la dichiarazione contraria al vero come artificiosa rappresentazione di circostanze di fatto o manipolazione della altrui sfera psichica in rapporto allo specifico valore fidefacente che la dichiarazione contraria al vero può assumere nell’ordinamento.

L’omesso adempimento dell’obbligo di comunicazione, così come la "semplice" menzogna, al di là dell’effetto di induzione in errore, possono già di per sè integrare – in ragione dello specifico affidamento che quelle stesse condotte, in positivo o in negativo, possono ingenerare – le caratteristiche della artificiosa mise en scene che rappresenta l’in sè della truffa (Cass. sez. 2, 10.02.2006 n. 10231).

La conclusione lumeggiata dal giudice a quo deve ritenersi del tutto condivisibile, senza considerare che nella specie, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha individuato gli estremi del raggiro non solo nel mendacio ma anche nella falsa prospettazione della realtà, costituita da falsi quanto possibili crediti professionali da riscuotere.

Il ricorrente deduce che nella specie il raggiro non avrebbe assunto rilevanza penale perchè talmente grossolano da essere facilmente riconoscibile, ma si scontra con il preciso quanto congruo percorso logico-motivazionale della sentenza che osserva come i soci della Vicar siano stati indotti in errore, sia dalla professione di avvocato esercitata dal M. – potenzialmente giustificatrice di rilevanti introiti – e sia dalla enunciazione – nel dettaglio – dei vari clienti da cui attendeva il pagamento di congrui onorari;

si tratta di una motivazione conforme ai principi consolidati in materia ove si è osservato che, ai fini della sussistenza del reato di truffa, l’idoneità dell’artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso; tale idoneità non è perciò esclusa dall’esistenza di preventivi controlli, nè dalla scarsa diligenza della persona offesa nell’eseguirli, quando, in concreto, esista un artificio o un raggiro posto in essere dall’agente e si accerti che tra di esso e l’errore in cui la parte offesa è caduta sussista un preciso nesso di causalità Cassazione penale, sez. 5, 27/03/1999, n. 11441.

Del resto, in tema di truffa consumata ogni questione in ordine all’idoneità astratta dell’artificio o del raggiro ad ingannare e sorprendere l’altrui buona fede non ha alcuna rilevanza, essendo l’idoneità dimostrata dall’effetto raggiunto. (Cassazione penale, sez. 2, 27/02/1990).

Segue il rigetto del ricorso atteso che le questioni in diritto proposte non consentono di ritenerne l’inammissibilità.

Ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. il rigetto o la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla parte privata comportano la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese del procedimento. Cassazione penale, sez. 6, 03 giugno 1994.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *