Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-04-2011) 24-05-2011, n. 20520 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip preso il Tribunale di Savona, con sentenza dell’11/2/09, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava C.E. colpevole dei reati di detenzione a line di spaccio e cessione di sostanza stupefacente, e lo condannava alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 28.000,00 di multa. La Corte di Appello di Genova, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 21/5/2010, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa del C., con i seguenti motivi:

– erronea mancata concessione della attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, rilevato il comportamento processuale estremamente collaborativo tenuto dal prevenuto, che non solo ha confessato le proprie responsabilità, ma ha fornito i nominativi sia del proprio fornitore, a nome M., sia di altre persone che si rifornivano da quest’ultimo;

– diletto di contestazione della recidiva ed erronea ritenuta considerazione di essa:

– eccessività della quantificazione del trattamento sanzionatomi.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La argomentazione motivazionale, svolta in sentenza, si palesa del tutto logica e corretta.

In ordine alla prima censura, formulata dal ricorrente, si evidenzia che il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, configura una circostanza attenuante speciale che premia la collaborazione del responsabile di una delle fattispecie criminose previste dallo stesso art. 73, che si adoperi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.

In altri termini, la resipiscenza collaborativa può ritenersi producente, ex art. 73, comma 7 del citato decreto, solo se accompagnata da favorevoli esiti per le indagini e per la cessazione di attività criminali nel campo degli stupefacenti, visto che un premio così significativo, in termini di riduzione della pena, quale è quello ivi configurato, non troverebbe giustificazione di fronte ad un comportamento non realmente e particolarmente efficiente: in tal caso, potrà semmai residuare spazio per la concessione delle attenuanti generiche, ex art. 62 bis c.p. e, nella ricorrenza dei relativi presupposti, della attenuante del ravvedimento operoso, ai sensi dell’art. 62, n. 6, seconda parte.

Quanto osservato permette di ritenere ineccepibile il discorso giustificativo, sviluppato dal giudice di merito sul punto, basato sul riferimento che trattatasi di collaborazione che ha comportato una operazione di Polizia, sì con sviluppi positivi, ma privi di quella elevata incidenza richiesta che avrebbe permesso di ritenere concedibile la invocata attenuante: nè in questa prospettiva è qui consentito procedere ad una rivalutazione "nel merito" del giudizio in proposito formulato dal decidente, giacchè non potrebbe essere di certo il giudice di legittimità, a fronte di una decisione corretta e congruamente motivata, a verificare, in fatto, lo spessore e la valenza della affermata attività collaborativa.

Privo di pregio si rivela il secondo motivo di impugnazione, perchè, contrariamente a quanto contestato dalla difesa del C., la recidiva risulta essere stata ritualmente contestata in sede di richiesta di rinvio a giudizio, del 19/7/08, e correttamente ritenuta dal Tribunale. Ad avviso della Corte distrettuale, peraltro, non appare possibile escluderla, in quanto il fatto per cui è giudizio non solo è di particolare gravità, ma è significativo di una accentuata capacità a delinquere del prevenuto, evidenziata dalla quantità di stupefacente detenuta e da una prolungata attività di spaccio a numerosi tossicodipendenti.

Del pari infondata è la censura mossa al trattamento sanzionatorio, visto che il decidente ha ritenuto di confermare la pena inflitta dal giudice di prime cure, argomentando in maniera compiuta ed esaustiva sulla corretta individuazione della misura di essa, di poco superiore al minimo editale, tenendo conto della gravità del fatto e delle connotazioni della condotta.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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