Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-09-2011, n. 19617 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 30 settembre 2003, V.A. esponeva di essere dipendente della Cassa di risparmio di Città di Castello con la qualifica di quadro direttivo di secondo livello e con funzioni di addetto ai crediti cosiddetti speciali. Aggiungeva che, con lettera del 24 marzo 2003, la datrice di lavoro gli aveva comunicato il licenziamento, con effetto dal 31 marzo 2003, all’esito di una procedura di riduzione dì trentaquattro unità di personale, e che il criterio di scelta applicato per includere la sua posizione tra quelle da sopprimere, era quello dell’anzianità contributiva.

Soggiungeva che, nella comunicazione, veniva, infatti, spiegato che l’azienda aveva deciso di interrompere il rapporto proprio perchè, alla data prevista per la cessazione dal servizio, sarebbe stato in possesso "dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia".

Tanto esposto sosteneva che il licenziamento doveva ritenersi nullo per molteplici motivi, legati all’inosservanza delle procedure previste dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, oltre che all’illegittimità del criterio di scelta adottato, collegato esclusivamente all’anzianità contributiva.

Nel costituirsi in giudizio, la Cassa di risparmio contestava le argomentazioni avversarie, ribadendo la piena legittimità del proprio operato. L’adito Tribunale di Perugia, ritenuto che la Cassa avesse violato la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 non avendo fornito una congrua motivazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta dei dipendenti da licenziare; che avesse altresì omesso di fornire alle associazioni sindacali e agli uffici pubblici competenti le necessarie indicazioni sulla causa delle eccedenze, nonchè l’elenco dei lavoratori licenziati con la specificazione, per ciascun nominativo, del livello, della qualifica e le altre informazioni utili all’individuazione della posizione lavorativa nell’ambito dell’organizzazione aziendale, indispensabile per consentire di verificare la congruenza rispetto alle ragioni dell’eccedenza; che il criterio di scelta adottato – prossimità del raggiungimento del diritto alla pensione – non potesse ritenersi legittimo, se non nell’ambito di ben determinate e specifiche categorie e in ragione di reali esuberi di ciascuna unità produttiva e in relazione ai profili professionali interessati alla riduzione;

considerato ancora che la Cassa aveva omesso di indicare il metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva, accoglieva il ricorso del V., ordinava alla resistente la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, la condannava a corrispondergli l’indennità prevista dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 dalla data del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione, con interessi e rivalutazione, e a versare contributi previdenziali e assistenziali. Con ricorso depositato il 16 febbraio 2006, la Cassa di risparmio di Città di Castello proponeva appello avverso la sentenza, chiedendone la riforma. Il lavoratore, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto del gravame, richiamando tutti i profili di nullità e illegittimità già illustrati nell’atto introduttivo. Con sentenza del 21 novembre 2007-26 febbraio 2008, l’adita Corte d’appello di Perugia confermava la decisione del primo Giudice, osservando, tra l’altro, che non risultava nè dimostrato nè allegato che presso l’unità produttiva cui era addetto il ricorrente vi fosse eccedenza in relazione al suo profilo professionale o, comunque, a professionalità analoghe alla sua, sicchè il lavoratore risultava licenziato esclusivamente in base al criterio dell’età, da ritenersi illegittimo. Aggiungeva che poichè l’accordo sindacale del 13 marzo 2003 enunciava criteri volti ad attribuire valore preminente alla volontarietà dell’accesso al pensionamento, considerata la prospettata eccedenza di trentuno unità e tenuto conto che trentasei dipendenti della Cassa di risparmio di Città di Castello avevano avanzato domanda per l’accesso al Fondo di solidarietà di cui al D.M. 28 aprile 2000, n. 158, la scelta di licenziare il ricorrente, anche sotto questo profilo, appariva illegittima.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la soccombente società con sette motivi. Resiste il V. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi, cui resiste la società con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza ( art. 335 c.p.c.).

Emerge dalla narrativa che la Corte d’appello di Perugia, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento del V., tra l’altro, perchè non erano state rispettate le formalità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4 ed, inoltre, perchè, in base ai criteri enunciati (accordo sindacale del 13 marzo 2003) doveva essere preminente la volontarietà dell’accesso al pensionamento, sicchè, a fronte della prospettata eccedenza di trentuno unità (tale essendo il numero di posizioni eccedenti indicato originariamente dall’azienda nella fase del confronti con le organizzazioni sindacali), considerato che trentasei dipendenti della Cassa di risparmio di Città di Castello avevano avanzato domanda per l’accesso al Fondo di solidarietà di cui al D.M. 28 aprile 2000, n. 158, la scelta di licenziare il ricorrente appariva illegittima anche per questo aspetto.

Tale secondo profilo di illegittimità del licenziamento, dotato di autonoma ratio decidendi, è stato impugnato dalla società ricorrente con il sesto motivo, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 158 del 2000, art. 8 e dell’accordo nazionale del 28/2/1998 ( art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Orbene, in tale motivo viene dedotta la presunta violazione di un accordo sindacale, ma non viene mai dedotto nè la violazione dell’art. 1372 c.c. nè viene fatta valere alcuna violazione delle norme interpretative del contratto di cui all’art. 1362 c.c. e segg..

Pertanto, non venendo dedotta alcuna violazione di legge, il motivo non può trovare accoglimento.

Le considerazioni sul criterio della volontarietà sono state effettuate dalla Corte di appello in relazione all’ accordo del 13/3/2003 e nonostante la chiarissima ancorchè sintetica indicazione contenuta nella sentenza di secondo grado nel motivo di ricorso non viene dedotto alcun vizio interpretativo del predetto accordo. Dal che consegue che il motivo risulta privo del necessario collegamento con quanto statuito dalla Corte d’appello e, pertanto, non può trovare ingresso. E tale sconnessione risulta confermata dal quesito finale, in cui di nuovo non si fa alcun riferimento all’accordo aziendale del 13/3/2003. Analoga sorte va riservata alla censura concernente un preteso vizio di motivazione, incidendo la rilevata mancanza di collegamento sulla stessa individuazione del denunciato vizio.

Per quanto precede, il ricorso principale va rigettato, essendo superfluo l’esame degli ulteriori motivi, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; condanna la ricorrente principale alle spese di questo giudizio, in favore di V.A., liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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