Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-04-2011) 24-05-2011, n. 20516 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 20.01.2010 il GIP del Tribunale di Varese dichiarava non doversi procedere nei confronti di M.J., imputato del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (per avere illegalmente coltivato sul balcone della propria abitazione cinque piante di cannabis indica) perchè il fatto non sussiste.

La sentenza, pronunciata in sede di udienza preliminare, rilevava che l’espletata consulenza aveva concluso nel senso che le piante in sequestro non avevano natura di sostanza stupefacente per non essere giunte a completa maturazione ovvero per non essere ancora in fase vegetativa iniziale pur appartenendo alla specie della cannabis indica, aggiungendo che, per valutare la presenza di principio attivo (delta 9 THC), doveva aversi riguardo al valore ponderale di prodotto secco ricavabile dalle stesse.

Pertanto, essendo l’imputato l’unico potenziale assuntore di quanto ricavabile dalle piantine, comunque insufficiente a provocare un apprezzabile stato stupefacente, mancava l’elemento materiale del reato.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione il PM denunciando erronea applicazione della legge penale;

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla pronuncia d’improcedibilità avendo il GIP consapevolmente dissentito dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte sulla materia de qua secondo cui costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto a uso personale. Era, quindi, penalmente rilevante la condotta incriminata perchè le piantine di cannabis indica (tali sono qualificate quelle aventi un principio dello 0,3%) contenevano una percentuale di delta-9 THC pari allo 0,5%, come da consulenza tecnica, e possedevano effetto drogante già in uno stadio abbondantemente antecedente alla completa maturazione.

Chiedeva l’accoglimento del ricorso.

Il ricorso è fondato.

Le SU hanno affermato nella sentenza n. 28605/2008 RV. 239920 che "costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto a uso personale", puntualizzando che:

– il legislatore ha voluto attribuire alla condotta di coltivazione comunque e sempre una rilevanza penale, quali che siano le caratteristiche della coltivazione e quale che sia il quantitativo di principio attivo ricavabile dalle parti delle piante da stupefacenti;

– è agevole ricavare dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75 (ed in claris non fit interpretatio), l’esclusione dal regime dell’uso personale di tutte le oltre condotte previste dal novellato D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ad eccezione dell’importazione, acquisto o comunque della detenzione; vale a dire le condotte di chiunque "coltiva, produce, fabbrica, raffina, vende, offre o inette in vendita a qualsiasi titolo, trasporta, esporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualsiasi scopo".

Il precedente art. 28, del resto, prevede espressamente l’assoggettabilità alle sanzioni anche penali stabilite per la fabbricazione illecita di chiunque, senza essere autorizzato, "coltiva le piante indicate nell’art. 36";

– arbitrario deve ritenersi la distinzione tra "coltivazione in senso tecnico-agrario" ovvero "imprenditoriale" e "coltivazione domestica" ed essa non è legittimata dal dato letterale della norma, che non prevede alcuna specificazione del termina lessicale. Il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 26 (sotto il capo "Della coltivazione e produzioni vietate") pone il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella 1 di cui all’art. 14 (fra le quali è annoverata anche la cannabis indica), salvo il potere del Ministro della salute di autorizzare "istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali e di ricerca alla coltivazione delle pianta… per scopi scientifici, sperimentali e didattici";

– deve ritenersi vietata, pertanto, qualunque forma di coltivazione delle pianta stupefacenti indicate nella tabella 1 – non necessariamente connotata (poichè la legge non lo prevede) da aspetti di imprenditorialità ovvero dalle caratteristiche proprie detta coltivazione "tecnico-agraria" – fatta eccezione soltanto per quella "per scopi scientifici, sperimentali e didattici" assentibile con autorizzazione in favore di "istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali e di ricerca", sicchè mai potrebbe essere autorizzata una coltivazione domestica per uso personale.

Alla luce dei suddetti principi è, quindi, erronea l’esclusione della configurabilità del reato contestato con riferimento ad una condotta di coltivazione di piante di cannabis indaco, ancora in fase vegetativa iniziale, dotate di un principio attivo dello 0,5% e, quindi, idonee a produrre l’effetto drogante.

Va sentenza impugnata va, perciò, annullata senza rinvio e va disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Varese per il prosieguo.
P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Varese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *