T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., 23-05-2011, n. 145 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società ricorrente esercita attività agricola nella campagna di Amelia, frazione di Porchiano del Monte.

Lamenta che il Comune di Amelia abbia rilasciato, al proprietario di un’area vicina a quelle di sua proprietà, il permesso di costruire n. 8155 in data 23 marzo 2010, per la realizzazione di un campo fotovoltaico a terra della potenza di 999,12 kWP con relativa cabina elettrica di trasformazione.

2. E" opportuno sottolineare fin d’ora che:

– il Comune di Amelia, con deliberazione giuntale n. 79 in data 11 maggio 2010, ha approvato, nelle more della definizione del piano paesaggistico regionale, indirizzi e criteri per la minimizzazione dell’impatto paesaggistico connesso agli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili; l’applicazione di detti criteri renderebbe l’area suddetta inidonea (in quanto situata ad una distanza inferiore a quella minima richiesta rispetto alle aree boschive);

– nella materia, anche la Regione Umbria, con d.G.R. 1 febbraio 2010, n. 105, 8 marzo 2010, n. 420 e 5 luglio 2010, n. 968, ha adottato linee guida per la minimizzazione degli impatti connessi alla realizzazione di impianti fotovoltaici, sostitutive di quelle adottate con d.G.R. 19 maggio 2008, n. 561;

– il suddetto permesso di costruire, che stabiliva il termine di un anno per l’inizio dei lavori, mediante provvedimento n. 16/2010 in data 23 luglio 2010 è stato volturato in favore della società realizzatrice dell’intervento, divenuta nelle more proprietaria dell’area;

– la relativa comunicazione di inizio lavori per il giorno 3 agosto 2010 è stata dichiarata inefficace dal Comune, mediante nota in data 10 agosto 2010, con la quale è stata richiesta la presentazione di ulteriore documentazione; la documentazione completa, a dire della ricorrente, sarebbe stata presentata dalla controinteressata solo in data 20 agosto 2010 (comunicazione prot. 0012452), anche se i lavori avrebbero comunque avuto inizio nella data originariamente comunicata;

– in data 28 ottobre 2010 è stata trasmessa la comunicazione di ultimazione dei lavori;

– l’area in cui è localizzato l’impianto è classificata zona agricola dagli strumenti urbanistici, e non risulta sottoposta a vincoli di carattere morfologico (paesaggistici, naturalistico ambientali, idrogeologici).

3. La ricorrente impugna il permesso di costruire n. 8155/2010 (unitamente, per quanto possa occorrerle, alla d.G.R. n. 968/2010), deducendo articolate censure.

Chiede anche il risarcimento dei danni, sotto il profilo del deprezzamento del valore dell’azienda (soprattutto nella prospettiva di uno sviluppo dell’attività agrituristica).

4. Si sono costituiti in giudizio, e controdeducono puntualmente, il Comune di Amelia, la Regione Umbria e la società controinteressata.

5. Occorre anzitutto disattendere le eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti resistenti.

Infatti, l’omessa impugnazione del provvedimento n. 16/2010 non priva di utilità l’impugnazione, posto che si tratta di semplice voltura dell’intestazione del permesso di costruire, non incidente sui suoi contenuti.

Né può sostenersi che manchi l’interesse a ricorrere, per il solo fatto che la proprietà della ricorrente non confina direttamente, ma è soltanto molto vicina a quella impegnata dall’impianto, essendo evidenti le ricadute negative dell’impianto sulla godibilità della zona.

6. Nel merito, il ricorso non può essere accolto.

6.1. Sostiene anzitutto la ricorrente che il Comune di Amelia sarebbe incompetente al rilascio del provvedimento, in quanto l’articolo 7bis, della l.r. 1/2004 (come modificata dalla l.r. 5/2008), coerentemente a quanto consentito dall’articolo 12, comma 3, del d.lgs. 387/2003, stabilisce che l’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili "è delegata alla provincia competente per territorio".

Né varrebbe l’attribuzione di competenza ai Comuni prevista dal punto 5.2. della d.G.R. 19 maggio 2008, n. 561, trattandosi di disposizione illegittima in quanto contrastante, sia con la legge statale (in materia che non rientra nelle potestà regionali – cfr. Corte Cost., 10 giugno 2010, n. 194), sia, comunque, con quella regionale, menzionate.

6.1.1. Tale ricostruzione non appare condivisibile.

Ai sensi dell’articolo 12, comma 3, del d.lgs. 387/2003 (nella formulazione risultante dalla legge 244/2007) "La costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili (…)sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione (…)" secondo il "procedimento unico" delineato dal comma 4, che prevede una conferenza di servizi alla quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate ed un termine massimo per la sua conclusione non superiore a novanta giorni, al netto della eventuale fase di v.i.a.

Aggiunge tuttavia il successivo comma 5 che "All’installazione degli impianti (…) per i quali non è previsto il rilascio di alcuna autorizzazione, non si applicano le procedure di cui ai commi 3 e 4. Ai medesimi impianti, quando la capacità di generazione sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A allegata al presente decreto, con riferimento alla specifica fonte, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni (…)".

La formulazione dell’articolo 12 è poco perspicua e lascia aperta la questione della competenza, oltre che del procedimento, applicabili nelle ipotesi in cui, non essendo previsto il rilascio di "alcuna autorizzazione" ("altra", rispetto a quelle richieste dalla generale disciplina urbanisticoedilizia – salva l’applicazione della d.i.a. al di sotto delle soglie di capacità di generazione richiamate dalla tabella A – o dalle specifiche discipline di settore, a tutela dell’ambiente, del patrimonio culturale, etc.), non occorre seguire la disciplina della autorizzazione unica.

Soccorre la disciplina del d.m. 19 febbraio 2007 – n. 25336.

Secondo l’articolo 5, comma 7, di tale d.m. "Ai sensi dell’art. 12, comma 5, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, per la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici per i quali non è necessaria alcuna autorizzazione, come risultante dalla legislazione nazionale o regionale vigente in relazione alle caratteristiche e alla ubicazione dell’impianto, non si dà luogo al procedimento unico di cui all’art. 12, comma 4, del medesimo decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, ed è sufficiente per gli stessi impianti la dichiarazione di inizio attività. Qualora sia necessaria l’acquisizione di un solo provvedimento autorizzativo comunque denominato, l’acquisizione del predetto provvedimento sostituisce il procedimento unico di cui all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (…)". Il comma 7 è stato abrogato dall’ articolo 21 del d.m. 6 agosto 2010, a decorrere dal 25 agosto 2010, ai sensi di quanto disposto dall’ articolo 22 dello stesso d.m., e quindi, ratione temporis, risulta applicabile alla controversia in esame.

E" vero che il d.m. 19 febbraio 2007, dichiaratamente, dà attuazione all’articolo 7 (e non all’articolo 12) del d.lgs. 387/2003, che prevede l’adozione di un d.m. in ordine ai "criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare"; nell’ambito di una disciplina complessivamente rivolta a tal fine, il predetto comma 7 appare estraneo all’oggetto definito dall’articolo 7, e (peraltro, insieme al comma 8, concernente i presupposti per la sottoposizione del progetto alla valutazione di impatto ambientale, ed al comma 9, concernente la compatibilità con la destinazione urbanistica di zona) appare estraneo anche all’oggetto dell’articolo 5 ("Procedure per l’accesso alle tariffe incentivanti"). Tuttavia, si tratta di una disciplina che colma un vuoto, e che non risulta coinvolta nella presente impugnazione.

Ora, se la formulazione dell’articolo 5, comma 7, del d.m. 19 febbraio 2007 ha un senso, questo non può che consistere nello stabilire che, qualora fosse necessaria l’acquisizione di un solo provvedimento autorizzativo (nel caso in esame, in assenza di vincoli territoriali, il permesso di costruire comunale), detto titolo sostituisse l’autorizzazione unica di competenza regionale o (in forza dell’articolo 7bis, della l.r. 1/2004) provinciale.

6.1.2. Dunque, non può giovare alla tesi della società ricorrente il richiamo a quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 194/2010. Può sinteticamente ricordarsi che la Corte, nel solco di un orientamento consolidato (cfr. sentt. 1 aprile 2010, n. 124 e 26 marzo 2010, n. 119) ha affermato che una disciplina regionale derogatoria dell’articolo 12 del d.lgs. 387/2003 contrasta con la ripartizione delle potestà legislative tra Stato e Regioni disposta dall’articolo 117 Cost., posto che l’applicazione di procedimenti diversi (semplificati) rispetto a quello finalizzato all’autorizzazione unica (ivi compresa l’attribuzione della competenza ai Comuni) in presenza di soglie di capacità di generazione superiori a quelle stabilite dall’Allegato all’articolo 12, così come l’individuazione delle caratteristiche dei siti idonei all’installazione degli impianti, possono essere stabilite solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che le Regioni possano provvedervi autonomamente. L’orientamento risulta più volte ribadito anche dopo l’adozione, con d.m. 10 settembre 2010, delle direttive statali previste dal comma 5 dell’articolo 12 (cfr. sentt. 1 aprile 2011, n. 107; 3 marzo 2011, n. 67; 26 novembre 2010, n. 344).

Ma nel caso in esame, per quanto esposto, la competenza del Comune risulta(va) legittimata proprio dal d.m. 19 febbraio 2007. La d.G.R., n. 561/2008 non fa che recepire la disciplina statale all’epoca vigente, laddove, al punto 5.2., per gli impianti fotovoltaici di potenza superiore ai 20 kW non soggetti a v.i.a. o per i quali la procedura di verifica ha escluso il progetto dall’assoggettabilità alla v.i.a., stabilisce che essi "non sono soggetti a procedimento unico ma a titolo abilitativo presso il comune competente qualora sia stata accertata dallo stesso ente l’inesistenza di vincoli di qualsiasi natura e non si renda necessaria alcun altra autorizzazione".

Può aggiungersi che la disciplina statale è destinata a cambiare a breve anche a livello legislativo, in forza dell’attuazione della delega di cui all’articolo 17, comma 1, lettera d) della legge 96/2010, per il recepimento delle Direttive 2011/77/CE e 2003/30/CE.

6.2. A dire della ricorrente, l’attività del Comune sarebbe inficiata da difetto di istruttoria, difetto di motivazione, ed eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità, sotto vari profili.

6.2.1. La Commissione edilizia, nella seduta n. 1259 in data 2 marzo 2010, nell’esprimere parere favorevole sul progetto, avrebbe contraddetto le considerazioni sull’opportunità di un rinvio o di un approfondimento, esplicitate precedentemente dal Comune (cfr. nota in data 26 novembre 2009) alla luce dell’imminente disciplina pianificatoria che avrebbe determinato l’inadeguatezza del sito prescelto.

Tanto più che la Commissione, nelle sedute in data 3 agosto e 31 agosto 2010, ha respinto analoghi progetti, proprio perché in contrasto con la d.G.C. n. 79/2010.

In ogni caso, non è stata disposta dal Comune alcuna istruttoria "precauzionale" volta a verificare la necessità/opportunità di acquisire un parere da parte degli organi preposti alla tutela dei vincoli. Né sono state adottate misure di salvaguardia, per non vanificare la concreta attuazione delle nuove previsioni urbanistiche in itinere.

Il Collegio sottolinea che il Comune non ha la disponibilità dei tempi procedimentali: nessuna disposizione prevede la sospensione o il rinvio dell’esame della domanda di permesso di costruire, in vista della futura regolamentazione edilizia o pianificazione territoriale.

In generale, la stessa legittimità degli atti tradizionalmente definiti "soprassessori" è assai dubbia, in forza dell’esistenza di precisi termini per l’espletamento delle valutazioni e verifiche previste dalla legge e per la conclusione del procedimento; tanto più dove si tratti, come nel caso in esame, della realizzazione di impianti fortemente incentivati, anche sotto il profilo dello snellimento e dell’accelerazione dei relativi procedimenti (cfr. TAR Umbria, 27 marzo 2007, n. 268, con la quale è stata affermata l’illegittimità di un provvedimento che, in attesa di un adeguamento della disciplina urbanistica, "sospende" la decisione sull’istanza di autorizzazione per la realizzazione di un impianto alimentato da fonti rinnovabili, ed è stato sottolineato che tale condotta "si sostanzia in un’illogica rinuncia all’esercizio del poteredovere decisorio, in contrasto con l’art. 97 Cost.").

Si è detto che nell’area in questione non insistono vincoli territoriali, né particolari qualificazioni di interesse pubblico collegate ad una tutela differenziata di interessi pubblici (la stessa ricorrente, come appresso precisato, sottolinea il pregio delle colture esistenti sulla sua proprietà, non anche all’area vicina, che deve considerarsi zona agricola, senza particolari qualificazioni).

Non c’era dunque spazio per l’acquisizione di ulteriori valutazioni, né per l’applicazione di misure di salvaguardia, non previste dalla normativa o comunque dalla pianificazione esistente; né era possibile trarre conseguenze inibitorie dall’applicazione, in via autonoma e residuale, del principio di precauzione, mancandone ogni presupposto giuridico e fattuale.

Pertanto, anche se in passato le valutazioni nella materia erano state rinviate "per approfondimenti", la Commissione edilizia, ed in genere gli uffici comunali competenti, non potevano eludere una richiesta di rilascio del titolo autorizzatorio corredata della necessaria documentazione.

E" poi evidente come il diverso esito dei procedimenti riguardanti progetti analoghi trovi giustificazione nella sopravvenienza della d.G.C. n. 79/2010.

6.2.2. La ricorrente lamenta anche che sia mancata una qualsiasi istruttoria volta a verificare la sussistenza dei requisiti tecnici dichiarati dal richiedente, ed in particolare l’effettivo rispetto della soglia dei 1.000 kW, al di sopra della quale la legge richiede la sottoposizione del progetto alla procedura di v.i.a.

A ben vedere, la v.i.a. avrebbe dovuto essere effettuata comunque, trattandosi di area classificata come "non idonea" in quanto, nella proprietà della ricorrente, sono presenti produzioni agricole di qualità inerenti vigneti ed oliveti Dop (ex Doc e Docg).

Il Collegio sottolinea che la soglia minima di potenza per i progetti di impianti per la produzione di energia da sottoporre a verifica di assoggettabilità di cui all’Allegato IV alla Parte Seconda del d.lgs. 152/2006, è stata innalzata a 1 MW ad opera della legge 99/2009, mentre la ricorrente non prospetta elementi in base ai quali si potrebbe mettere in dubbio quanto risulta dalla documentazione progettuale assentita.

D’altra parte, ai fini della assoggettabilità a v.i.a., la legge non considera la presenza di produzioni agricole di pregio; la ricorrente richiama l’articolo 10 della l.r. 12/2010, ma detta disposizione prevede la riduzione del cinquanta per cento della soglia suddetta soltanto in presenza di determinate caratteristiche delle aree interessate (aree sottoposte a vincoli ambientalinaturalistici, zone di rispetto a tutela delle acque destinate al consumo umano, o aree di recupero di cave dismesse); e comunque, rilevano a tal fine le caratteristiche delle aree in cui ricadono gli impianti da realizzare (che nel caso in esame, va ribadito, sono semplici aree agricole), non anche di quelle vicine.

6.3. La ricorrente censura la mancanza del nulla osta dei VV.FF. in ordine alla doppia cabina elettrica che deve essere realizzata per ospitare l’impianto per la trasformazione dell’energia prodotta.

Mancherebbe inoltre, in violazione del r.d. 1775/1933 e della l.r. 31/1983, un qualsivoglia coinvolgimento della Provincia di Perugia, proprietaria della "Strada di Palliccio", al di sotto della quale dovrebbe essere interrato un cavo di 330 metri e a margine della quale dovrebbe essere realizzato il traliccio, necessari al collegamento della cabina elettrica con la linea aerea dell’ENEL.

La controinteressata replica che il progetto prevede la realizzazione di una sola cabina (l’altra è realizzata dall’ENEL per l’allaccio alla rete elettrica) e che nessuna norma prevede l’acquisizione del nulla osta. Il Collegio osserva che, in effetti, la ricorrente non ha indicato il parametro di tale censura di violazione di legge.

Quanto ai collegamenti, la controinteressata sottolinea che il cavo è completamente interrato per tutto il suo tracciato, che non è prevista la realizzazione di alcun traliccio per il suo sostegno, e che l’articolo 12 della l.r. 31/1983 (in materia di opere concernenti linee ed impianti elettrici fino a 150.000 Volt), non indica le opere strutturali viarie tra quelle per le quali, in caso di interferenza, l’esercente della linea debba convenire con le Amministrazioni e gli Enti interessati le modalità di esecuzione sia dei lavori di costruzione sia di quelli di manutenzione.

Peraltro, osserva il Collegio, il permesso di costruire è (implicitamente) rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, quali sono tipicamente quelli dei soggetti titolari di diritti sul sedime interessato dalla realizzazione delle opere; questa sarebbe la posizione della Provincia (di Terni, non quella di Perugia, come erroneamente indicato dalla ricorrente), il cui omesso coinvolgimento, quindi, non appare tale da inficiare il provvedimento impugnato.

6.4. A dire della ricorrente, il Comune avrebbe dovuto verificare la sussistenza di "effetti cumulativi" sull’ambiente e sul paesaggio derivanti dalla realizzazione di più impianti posti ad una distanza inferiore a 500 metri, come richiesto dalle direttive regionali di cui alla d.G.R. n. 968/2010.

Non sarebbe stata verificata neanche l’esistenza di indicazioni progettuali che valgano ad assicurare il rispetto di altri criteri stabiliti dalle predette direttive, quali: limitare le alterazioni della morfologia dei suoli; minimizzare le interferenze con le visuali paesaggistiche; realizzare le connessioni alla linea elettrica preferibilmente in cavo sotterraneo e in corrispondenza delle strade esistenti; realizzare le opportune opere di regimazione idraulica evitando gli sbancamenti.

Il Collegio rileva che simili censure presuppongono che all’intervento sia applicabile la d.G.R. n. 968/2010 (non facendosi espressa questione di difformità rispetto alle direttive regionali precedentemente esistenti). Ma il punto 10 della d.G.R. n. 968/2010, precisa che "i procedimenti amministrativi pendenti alla data di pubblicazione del presente atto sono conclusi sulla base delle disposizioni normative vigenti alla data di presentazione alla Autorità competente del progetto di realizzazione dell’impianto fotovoltaico" (che, nel caso in esame, è quella del 20 ottobre 2009).

Pertanto, appare evidente l’inapplicabilità della d.G.R. n. 968/2010, così come della d.G.C. n. 79/2010, senza che sia necessario stabilire se i lavori siano iniziati (o, più precisamente, se la relativa comunicazione abbia acquisito efficacia) prima dell’entrata in vigore delle relative direttive.

7. La data di inizio dei lavori (insieme a quella di ultimazione, altresì controversa tra le parti) potrebbero in astratto assumere rilevanza ai fini dell’applicazione, da parte del Comune di Amelia, dell’articolo 16, comma 5, della l.r. 1/2004, che prevede la decadenza del permesso di costruire "con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine" stabilito nel titolo edilizio.

Tuttavia, anche ipotizzando che nel caso in esame i lavori non abbiano avuto inizio fino alla data del 20 agosto 2010, che le direttive in questione siano assimilabili a "previsioni urbanistiche" (e sussista effettivamente il contrasto lamentato dalla ricorrente – ciò che le parti resistenti negano), e che, infine, la previsione intertemporale del punto 10 della d.G.R. n. 968/2010 possa essere disapplicata per contrasto con quella legislativa (ciò che, peraltro, la ricorrente non arriva a prospettare), il vizio di omessa applicazione dell’articolo 16, comma 5, della l.r. 1/2004, non può essere apprezzato, in quanto dedotto soltanto con memoria finale, non notificata alle controparti, e pertanto inammissibile.

Stessa sorte seguono le argomentazioni di censura contenute nella memoria (riguardanti la potenza complessiva dell’impianto ai fini della sottoposizione alla v.i.a., la difformità tra quanto assentito e quanto realizzato, oltre a puntualizzazioni in ordine alla efficacia della "dichiarazione fine lavori").

8. Occorre aggiungere, posto che le parti hanno svolto difese anche in ordine a tale aspetto, che non assume rilevanza nemmeno la disciplina dettata dall’articolo 1quater del d.l. 105/2010, introdotto dalla legge di conversione n. 129/2010, ed entrato in vigore il 19 agosto 2010 – tale disposizione, nella prospettiva di favorire lo sviluppo delle fonti energetiche ecosostenibili, ha disposto una sorta di sanatoria degli impianti realizzati, mediante semplice d.i.a. anche per soglie di potenza superiori a quelle previste dall’articolo 12 del d.lgs. 387/2003, in applicazione di disposizioni regionali che risultano illegittime sulla base degli orientamenti della Corte Costituzionale (cfr. supra, 6.1.2.), "a condizione che gli impianti siano entrati in esercizio entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Infatti, come esposto, il permesso di costruire impugnato risulta legittimato dalla normativa statale.

9. Stante la difficoltà di ricostruzione della disciplina applicabile, sussistono giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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