Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-09-2011, n. 19581 Alimenti e mantenimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel luglio 2002 il Tribunale di Roma dichiarava la separazione dei coniugi S.d.Q.M. e M.R., affidava le due figlie minori alla madre – alla quale assegnava quindi la casa familiare in (OMISSIS) – con l’obbligo del padre di contribuire al loro mantenimento nella misura di Euro 600,00 mensili, con decorrenza giugno e rivalutazione Istat, oltre al 50% delle spese straordinarie per cure mediche ed esigenze scolastiche delle figlie.

Disponeva inoltre che ciascuno dei coniugi provvedesse al proprio mantenimento. L’appello proposto dalla S.d.Q. -la quale chiedeva un ^ assegno di mantenimento per sè non inferiore a Euro 1500,00 ed un contributo al mantenimento delle figlie pari a Euro 2500,00, con decorrenza quantomeno dalla data di deposito del ricorso in appello, oltre al 50% delle spese straordinarie – veniva accolto per quanto di ragione dalla Corte d’appello di Roma, che condannava il M. a corrispondere alla appellante un assegno di Euro 500,00 mensili per il suo mantenimento e di Euro 800,00 mensili per il mantenimento delle figlie, confermando nel resto la sentenza di primo grado. Osservava, in sintesi, la Corte a sostegno di tali statuizioni: che dalle ultime dichiarazioni dei redditi del M. risultava una più che buona potenzialità economica (Euro 50-54.000,00 netti per anno), pur considerando le enormi spese per la propria attività da lui dichiarate (Euro 150.000,00 a fronte di ricavi per Euro 200.000,00); che la signora S. è proprietaria di due immobili, uno dei quali occupato dal M., mentre dall’altro poteva trarsi un discreto canone d’affitto; che inoltre doveva considerarsi il vantaggio economico derivante alla medesima dalla assegnazione della casa coniugale, nonchè il possesso di una qualche capacità professionale come massaggiatrice, che, pur se non risultante assicurarle i redditi cospicui dedotti dalla controparte, le poteva pur sempre procurare un qualche reddito; che infine le incrementate esigenze del mantenimento delle figlie, di anni sedici e quattordici, giustificavano un aumento del contributo del padre.

Avverso tale sentenza S.d.Q.M. ricorre per cassazione affidando il ricorso a sei motivi. L’intimato M. non ha formulato difese.
Motivi della decisione

1. Con i primi quattro motivi di ricorso, la ricorrente censura le statuizioni della sentenza relative alla determinazione dell’assegno posto a carico del M. per il mantenimento del coniuge e per quello delle figlie.

1.1 Sotto un primo profilo, denunziando violazione dell’art. 155 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, deduce che il giudice, per ricostruire il quadro della situazione patrimoniale e reddituale del M. ai fini dell’applicazione degli artt. 155 e 156 c.c., aveva l’obbligo, ove avesse rettamente ravvisato la incongruenza dei dati emergenti dalle dichiarazioni dei redditi (in particolare le enormi e sproporzionate spese dichiarate), di disporre gli accertamenti d’ufficio, anche tributari, previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9. 1.2 Sotto un secondo profilo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt.155 e 156 c.c. e vizio di motivazione, sostiene, da un lato, che la Corte ha basato le sue valutazioni sulle sole dichiarazioni dei redditi mentre avrebbe dovuto esaminare anche altri elementi fattuali, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti; dall’altro che la Corte, contraddittoriamente, ha basato la sua analisi sulla sola situazione patrimoniale di essa ricorrente, ricostruendola peraltro in modo palesemente errato.

1.3 In tale contesto, la ricorrente lamenta inoltre la omessa motivazione in ordine alla mancata ammissione della sua istanza di esibizione degli estratti dei conti correnti bancari intestati al M..

1.4 Denuncia infine il vizio di motivazione in relazione alla determinazione del contributo al mantenimento delle figlie, deducendo la apoditticità della affermazione di congruità espressa dalla Corte, non sostenuta da alcuna valutazione riguardo sia alla reale potenzialità economica dell’obbligato sia alla esigenza di assicurare alle figlie un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza.

2. Tali doglianze sono fondate, avendo in effetti la Corte d’appello motivato le sue determinazioni in modo del tutto insufficiente, omettendo peraltro di tener conto di una serie di elementi, emergenti dagli atti, puntualmente indicati dalla ricorrente, di non secondaria rilevanza ai fini della valutazione circa le rispettive potenzialità economiche delle parti, valutazione che come è noto deve considerare sia il reddito dell’onerato, sia ogni altro elemento fattuale di ordine economico, o comunque in tal senso apprezzabile, suscettibile di incidere sulla sua condizione. La Corte ha fondato la sua valutazione al riguardo su due sole dichiarazioni dei redditi annuali (2002 e 2003) del M. rilevando come non fossero emersi altri elementi di giudizio. In tal modo, ha omesso: a) di considerare l’istanza, formulata dalla ricorrente, di esibizione delle ultime tre dichiarazioni annuali; b)di spiegare le ragioni per le quali non ha ritenuto di avvalersi (pur in tal senso sollecitata) della facoltà discrezionale di accertamento d’ufficio già prevista dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9 (ed ora dall’art. 155 cod. civ., comma 6), nonostante abbia espressamente riscontrato, nelle dichiarazioni prodotte dal M., l’enormità delle spese (Euro 150.000,00 a fronte di ricavi per Euro 200.000,00) dichiarate dal predetto per l’esercizio della sua attività; c) di considerare l’istanza di esibizione, formulata dalla ricorrente, degli estratti dei conti correnti bancari intestati al M., nonostante fosse pacifica la percezione, da parte del medesimo, di somma non inferiore a L. 500 milioni nel 1994 a titolo di capitalizzazione della pensione, somma sul cui impiego peraltro egli aveva, su richiesta della Corte, fornito informazioni inapprezzabili, anche perchè in contrasto con alcuni documenti in atti. A tali omissioni motivazionali e carenze di accertamenti in relazione alla situazione del M. si aggiunge una incongrua valutazione della situazione della ricorrente, nella quale spicca la percezione di un canone di affitto di un appartamento di sua proprietà, definito dalla Corte "discreto" nonostante il suo ammontare risultasse dalla dichiarazione dei redditi in atti di Euro 1.845,00 annui.

3. Si impone dunque la cassazione del provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti – assorbiti gli altri due, relativi alla omessa pronuncia sulla decorrenza dell’assegno – ed il rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che procederà, in diversa composizione, al riesame secondo i principii qui esposti, provvedendo anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, dichiara assorbiti gli altri. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.

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