T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 24-05-2011, n. 780 sanita’

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente espone di aver richiesto alla Regione Calabria, con istanza di data 24.4.2009, l’accreditamento della propria struttura dentistica per le discipline e prestazioni specialistiche in regime ambulatoriale.

A tal fine, il ricorrente precisava alla Regione di essere specializzato in Odontostomatologia, di essere autorizzato dal Comune all’adattamento ed utilizzazione dello studio ambulatoriale, di essere autorizzato all’apertura dello studio dentistico e che l’istanza era formulata anche agli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 361 del 3.11.2008.

Con nota del 20.5.2009, la Regione Calabria, prendendo atto della sentenza n. 361/2008 della Corte Costituzionale e del DGR n. 94/2007 che fissava in 12 prestazioni annue per abitante il fabbisogno per le prestazioni specialistiche ambulatoriali e di laboratorio, comunicava l’avvio del procedimento di diniego della citata istanza, considerata la mancata approvazione dei regolamenti attuativi della L.R. 24/2008, con conseguente impossibilità di nuovi accreditamenti, e che il Dipartimento avrebbe dovuto provvedere alla definizione del fabbisogno regionale per le prestazioni ambulatoriali di diagnostica strumentale e di laboratorio.

Il ricorrente produceva, con nota del 1.6.2009, le proprie controdeduzioni, precisando che la ASL n. 7 di Catanzaro aveva certificato la carenza sul territorio delle prestazioni odontoiatriche e che la domanda di accreditamento era stata presentata anche per gli effetti dell’avvenuta declaratoria di incostituzionalità dell’art. 15, comma 3, della L.R. n. 18/2004.

La Regione Calabria, nonostante le dette controdeduzioni, rigettava l’istanza di accreditamento adducendo quale ulteriore motivo la disposizione di cui alla lettera u) del comma 796, art. 1 della L. 296/2006 -(finanziaria 2007).

Avverso il detto diniego insorge il ricorrente, il quale ne chiede l’annullamento, previa sospensione cautelare, denunciando i seguenti vizi:" Violazione del D.Lgs. 502/92 e della L. 296/06 – mancato rispetto dei principi dettati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 361/2008 – violazione della normativa sugli atti amministrativi e della legge n. 241/90 – eccesso di potere per difetto ed erroneità di presupposti – difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti, contraddittorietà".

Il ricorrente chiede anche il risarcimento del danno subito.

Resiste in giudizio la Regione Calabria, la quale chiede che il ricorso sia respinto.

Con ordinanza n. 1025 assunta alla Camera di Consiglio del 10 dicembre 2009 è stata respinta la richiesta di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Alla Pubblica Udienza del 21 aprile 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorrente, con l’unico e complesso motivo di ricorso, dopo aver premesso cenni sul sistema di erogazione di prestazioni sanitarie come definito dal D.Lgs. n.502/92, rileva come la Regione Calabria, al fine di contenere la spesa sanitaria, ha opposto resistenza alle legittime richieste di accreditamento di nuove strutture sanitarie ed ha emanato la L.R. n. 18/2004, il cui art. 15, comma 3, prevedeva un blocco degli accreditamenti sino alla determinazione del fabbisogno di prestazioni specialistiche, norma dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzione con sentenza n. 361/2008. A detta del ricorrente, la Regione Calabria, con il provvedimento di diniego impugnato, pur a fronte della citata sentenza della Corte Costituzionale, insisterebbe nella sua azione illegittima, posta in violazione del vigente sistema normativo, e, da un lato, consentirebbe alle struttura provvisoriamente accreditate di proseguire nell’attività e, dall’altro, negherebbe la possibilità di nuovi accreditamenti. Afferma, pertanto, il ricorrente che la Regione avrebbe dovuto concedere un accreditamento provvisorio, in attesa di compiere la ricognizione del fabbisogno, o, quanto meno, sospendere la procedura di accreditamento. Infine, non vi sarebbe corrispondenza tra le motivazione indicate nella comunicazione di avvio del procedimento di rigetto rispetto a quelle indicate nel rigetto vero e proprio, dal momento che il richiamo alla legge finanziaria del 2007 è stato operato dalla Regione unicamente nel provvedimento di diniego.

Le censure del ricorrente non possono essere accolte.

Il provvedimento impugnato, richiamati sia la sentenza n. 361/2008 della Corte Costituzionale che la DGR n. 94/2007, dispone il rigetto della richiesta di accreditamento sulla considerazione che la Regione ha in corso un provvedimento di ricognizione con conseguente determinazione del fabbisogno per le prestazioni di che trattasi e visto la previsione di cui all’art. 1, comma 796, lettera u), della legge n. 269/2006 (legge finanziaria del 2007), secondo la quale "Le regioni provvedono ad adottare provvedimenti finalizzati a garantire che, a decorrere dal 1 gennaio 2008, non possano essere concessi nuovi accreditamenti ai sensi dell’art. 8 quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, in assenza di un provvedimento di ricognizione e conseguente determinazione, ai sensi del comma 8 del medesimo art. 8 quater del decreto legislativo n. 502 del 1992…..".

Il "blocco" degli accreditamenti, in mancanza di provvedimenti di ricognizione, previsto dalla norma della finanziaria 2007, esprime l’esigenza di rapportare il rilascio degli accreditamenti medesimi al fabbisogno di assistenza, nel chiaro intento di contenere e razionalizzare la spesa sanitaria. Il divieto di concessione di nuovi accreditamenti, anche in considerazione della ratio della disposizione ed in coerenza con essa, riguarda, genericamente, tutti gli accreditamenti, non prevedendo la norma in esame né deroghe né eccezioni, a differenza di quanto stabilito dall’art. 15, comma 3, legge regionale n. 18/2004 -disposizione dichiarata incostituzionale- che nel disporre il blocco degli accreditamenti, esplicitamente prevedeva una deroga, con riferimento alle ipotesi di cui alla legge regionale n. 8/2003.

Proprio tale deroga è stata censurata dalla decisione della Corte Costituzionale invocata dal ricorrente.

Infatti, l’art. 15, comma 3, della legge regionale n. 18/2004 prevedeva il divieto di rilascio di nuovi accreditamenti fino alla determinazione del fabbisogno di prestazioni di specialistica ambulatoriale, di diagnostica strumentale e di laboratorio. La norma, peraltro, faceva salve le fattispecie regolate dalle disposizioni di sanatoria previste dalla legge regionale 8/2003.

La Corte Costituzionale, nel pronunciare l’incostituzionalità della norma de quo, ha rilevato come in Calabria esistano strutture sanitarie che, pur se sprovviste di autorizzazione, "si intendono" aver titolo non solo a quest’ultima, ma anche all’accreditamento, che richiede requisiti ulteriori e, al tempo stesso, strutture sanitarie autorizzate, le quali, pur in possesso dei requisiti ulteriori per essere accreditate, si vedono escluse a causa del blocco previsto dalla norma censurata. Precisa la Corte che tale situazione "è prodotta, per un verso, mediante la proroga sine die di una precedente norma di sanatoria e, per altro verso, collegando soltanto a quest’ultima il titolo ad ottenere anche l’accreditamento. Ne consegue che una struttura potrebbe non avere i requisiti né per l’autorizzazione, né per l’accreditamento e tuttavia avere ottenuto oper legis l’una e l’altro, a differenza di altre strutture che, pur avendo i requisiti previsti dalla legge, non possono ottenere né l’una né l’altro. L’ingiustificata disparità di trattamento si manifesta in modo ancor più rilevante se si considera che la disposizione censurata risale al 2004 e la sanatoria, in essa richiamata, al 2003. L’esigenza di ancorare i criteri per il rilascio di accreditamenti all’individuazione del fabbisogno di assistenza, allo scopo di contenere in modo ragionevole la spesa sanitaria, è dunque stata disattesa dalla Regione Calabria…"

La Corte ricorda come, in materia di strutture sanitarie autorizzate e convenzionate con il SSN, è stato precisato che le ripetute proroghe di situazioni illegali e la sanatoria di queste ultime, operate con leggi regionali, devono ritenersi costituzionalmente illegittime perché, in tal modo, o si sana soltanto la situazione di alcuni e non quella di altri, con violazione del principio di uguaglianza, oppure si proroga indefinitamente una situazione provvisoria, eludendo gli obblighi di adeguamento previsti dalle disposizioni statali (Corte Costituzionale n. 93/1996).

In conclusione, il Giudice delle leggi rileva come "non la semplice subordinazione dei nuovi accreditamenti alla ricognizione e determinazione del fabbisogno (condizione necessaria per evitare sprechi), ma l’effetto congiunto della perpetuazione della sanatoria, in favore di strutture delle quali la norma regionale censurata presume la regolarità, e della sospensione a tempo indeterminato di nuovi accreditamenti ha creato e mantiene un doppio regime giuridico irragionevolmente discriminatorio e pertanto incompatibile con il rispetto del principio di uguaglianza contenuto nell’art. 3, primo comma Cost."

La Corte, quindi, ha espunto dall’ordinamento regionale una norma che disponeva il blocco degli accreditamenti a fronte del mantenimento di situazioni di accreditamento provvisorio o transitorio.

Sotto questo profilo, pertanto, il richiamo operato dal ricorrente alla pronuncia della Corte Costituzionale non ha pregio.

Infatti, nel caso in esame, la Regione, diversamente, fonda il proprio diniego sulla disposizione di cui al comma 796, art.1 della legge n. 296/2006, che vincola la possibilità di concedere nuovi accreditamenti al provvedimento di ricognizione e determinazione del fabbisogno, che la stessa Corte ritiene necessario allo scopo di evitare un ulteriore aggravio della spesa sanitaria.

Del resto, ai sensi dell’art. 8 quater, d.lg. 30 dicembre 1992 n. 502, l’accreditamento di nuove strutture sanitarie ha i caratteri tipici di un atto discrezionale attributivo di compiti pubblici, in quanto manifestazione di un potere che trova i suoi presupposti logicogiuridici, oltre che nell’effettivo fabbisogno assistenziale (quale risulta in concreto dal disposto del piano sanitario regionale), anche nell’ineludibile esigenza di controllo della spesa sanitaria nazionale. Lo stesso Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che l’accreditamento con il Servizio sanitario regionale deve essere in ogni caso preceduto dalla valutazione, da parte della Regione, degli elementi relativi al fabbisogno assistenziale, al volume della attività erogabile, alla programmazione di settore, al possesso dei requisiti da parte delle strutture private ed agli oneri finanziari sostenibili, giacché la tesi contraria porterebbe alla conseguenza, inconciliabile con la volontà normativa, di consentire l’ampliamento delle prestazioni erogabili in regime di accreditamento, senza alcuna previa verifica, sia tecnica che finanziaria, dell’Amministrazione e di esporre la spesa sanitaria regionale ad una crescita fuori controllo (Consiglio di Stato, sez. V, 23 marzo 2009, n. 1740).

Più precisamente, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che "in materia sanitaria l’accreditamento, lungi dall’atteggiarsi quale mera rimozione di un ostacolo all’esercizio di un’attività che rientra nelle facoltà di un diritto già attribuito ad un privato, costituisce, ai sensi dell’art. 8 bis, d.lg. 30 dicembre 1992 n. 502, lo strumento mediante il quale la struttura privata viene inserita nell’ambito dei soggetti operanti per il Servizio sanitario nazionale, con la conseguenza che l’accoglimento dell’istanza presuppone, a garanzia dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione, la verifica della corretta predisposizione di strumenti di carattere normativo e generale che rendano compatibile l’iniziativa del privato con l’assetto del servizio pubblico e l’accesso della predetta struttura privata al servizio, previo esperimento di un confronto concorrenziale" (Consiglio di Stato, sez. V, 17 febbraio 2010, n. 915).

In tale contesto, è indubbio, che l’accreditamento non costituisce più un diritto, riconosciuto ad ogni struttura in possesso dei requisiti di ordine meramente tecnico, dovendosi ritenere che l’Amministrazione sia titolare di un potere discrezionale, inevitabilmente rapportato all’effettivo fabbisogno assistenziale e all’esigenza di controllo della spesa sanitaria.

Il provvedimento regionale di diniego di accreditamento impugnato, per quanto presenti una motivazione non certo lineare e coerente nella propria esposizione, risulta comunque supportato dall’insuperabile richiamo al blocco degli accreditamenti di cui alla legge finanziaria 2007.

Sulla base di tali considerazioni, anche la pretesa violazione procedimentale in ordine alla comunicazione di avvio del procedimento di diniego non assume rilievo, in considerazione dell’impossibilità per la Regione, sancita dalla norma di cui all’art. 1, comma 796, lett. u) legge n. 296/2006, di rilasciare nuovi accreditamenti in assenza della ricognizione e determinazione del fabbisogno.

Giova, infine, ricordare che la pronuncia di questo Tribunale n. 801/2010, richiamata dal ricorrente nella propria ultima memoria difensiva, è stata sospesa con ordinanza n. 4345/2010 del Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto di concedere la misura cautelare proprio in considerazione della "gravità del danno derivante all’appellante dall’esecuzione della sentenza impugnata in presenza dei limiti ai nuovi accreditamenti stabiliti dall’art. 1, comma 796 L. n. 296/2006 e dagli atti successivi intervenuti in materia".

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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