T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 24-05-2011, n. 777 stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, cittadino marocchino in Italia per motivi di lavoro, espone di aver ottenuto il primo permesso di soggiorno il 7.4.2003, rinnovato il 9.8.2006 e di svolgere l’attività di venditore ambulante, regolarmente autorizzata dal Comune di Guardavalle.

Aggiunge il ricorrente di essersi sposato nel corso del 2006, di avere un figlio nato nel 2008 e di essere in attesa della nascita del secondo figlio.

A seguito di istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, la Questura di Catanzaro notificava in data 10.4.2009 decreto di rigetto del chiesto rinnovo, in quanto dagli atti d’ufficio, a carico del ricorrente, risultano "circostanziate denunce di suoi connazionali che sono stati costretti a versare indebite somme con l’aspettativa di ottenere un visto d’ingresso in Italia"; conseguentemente, la Questura rilevava che "la pluralità di denunce e le alte cifre versate fanno ritenere probabile che lo stesso viva con redditi derivanti da fonte illecita e che in futuro tenderà a perseverare nella sua condotta delittuosa".

Il ricorrente impugna, pertanto, in questa sede il detto decreto, e ne chiede l’annullamento, previa sospensione cautelare dello stesso.

Resistono in giudizio il Ministero dell’Interno e la Questura di Catanzaro, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale chiede, genericamente, che il ricorso sia dichiarato inammissibile ed irricevibile e comunque infondato.

Con ordinanza n. 552, assunta alla Camera di Consiglio del 9 luglio 2009, è stata respinta la richiesta di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Alla Pubblica Udienza del 21 aprile 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorrente, nei propri motivi di ricorso, sostiene che il provvedimento in questione non poteva essere assunto in base a meri sospetti o supposizioni. Le ipotesi accusatorie, infatti, non sarebbero ancorate a dati obiettivamente riscontrati o riscontrabili. Il ricorrente non sarebbe, pertanto, un soggetto socialmente pericoloso. Il provvedimento contestato sarebbe, inoltre, illegittimo per difetto di motivazione, mancando gli elementi di fatto sui quali lo stesso avrebbe dovuto fondarsi. Ancora, nel provvedimento impugnato si afferma che il ricorrente sarebbe libero da vincoli famigliari, laddove, invece, lo stesso è coniugato e con prole, con la conseguente necessità di dover mantenere unito il nucleo famigliare. Inoltre, il provvedimento impugnato è stato trasmesso al ricorrente solo in lingua italiana e non in francese o inglese o arabo, come dovrebbe accadere per legge. Infine, vi sarebbe stata anche la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90.

Le censure mosse dal ricorrente non sono fondate.

Giova ricordare, in linea generale, che il giudizio di pericolosità, che la legge affida all’autorità di pubblica sicurezza in sede di rilascio o di rinnovo del titolo di soggiorno in Italia, ai sensi degli artt. 4 e 5, del D.Lgs. 25 luglio 2998, n. 286, è connotato da tratti di discrezionalità e va ritenuto immune da vizi quando lo stesso è fondato su elementi dalla sicura portata indiziaria (Consiglio di Stato, sez. IV. 28 aprile 2010, n. 2435). Al fine della formazione del convincimento in ordine alla pericolosità e inaffidabilità per la sicurezza pubblica del soggetto che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno, l’Autorità di Polizia, infatti, si vede riconosciuta una discrezionalità di ampiezza tale da potersi esplicare anche indipendentemente dall’esistenza di una condanna penale, ovvero anche indipendentemente dal fatto che la pena conseguente ad un determinato fatto storico sia stata patteggiata, ciò non ostando ad un’autonoma valutazione in ordine all’incidenza che il medesimo fatto possa sortire in relazione al richiamato giudizio di pericolosità sociale (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3784).

Dalla documentazione prodotta in giudizio dall’Amministrazione resistente, si evince come vi siano plurime e circostanziate denunce di cittadini di nazionalità marocchina, per le quali è stata trasmessa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, la notizia di reato di cui agli artt. 416, commi 1 e 2, c.p. e 12, commi 3 e 3bis del D.Lgs. n. 286/1998, in quanto il ricorrente si sarebbe associato ad altri connazionali e cittadini italiani per procurare, al fine di trarne profitto, l’ingresso e la permanenza illegale sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari. Dalle denunce emerge, infatti, che il ricorrente, unitamente ad altri connazionali, avrebbe posto in essere una vera e propria associazione finalizzata a trarre profitto dal favoreggiamento dell’ingresso e permanenza di cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato.

In considerazione di tali elementi, inerenti ad un reato di notevole gravità, l’Autorità procedente ha potuto emettere un giudizio di pericolosità sociale del ricorrente che risulta immune da vizi di manifesta incongruità o illogicità, vizi che avrebbero consentito una censura in sede giurisdizionale della valutazione stessa; quest’ultima, come detto, è espressione di un ampio potere discrezionale dell’autorità di pubblica sicurezza (TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 giugno 2008, n. 5490) e come tale è censurabile in sede giurisdizionale solo in caso di gravi vizi di irrazionalità, irragionevolezza o totale carenza dei presupposti, ipotesi che non si ravvisano nel caso in esame.

Sotto questo primo profilo, pertanto, le censure mosse dal ricorrente non sono fondate.

Quanto alla errata indicazione nel provvedimento impugnato dei vincoli famigliari ed alla sussistenza di prole, si rileva che il ricorrente, nel produrre le proprie difese a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda ex art 10 bis, legge n. 241/90, non ha fornito alcuna indicazione in tal senso; in ogni caso, ove ne sussistano i presupposti di legge -e come affermato dalla stessa Questura di Catanzaro nelle note depositate in giudizio – il ricorrente potrà inoltrare nuova domanda, evidenziando la propria situazione famigliare, del coniuge e della prole.

Con riferimento alla mancata stesura del provvedimento di diniego in lingua francese, inglese o araba, si osserva come tale mancanza costituisca mera irregolarità e non motivo di illegittimità; in ogni caso ed a prescindere dal fatto che il ricorrente si trova in Italia da anni, per cui è ragionevole ritenere la piena conoscenza della lingua italiana, non può non rilevarsi come la mancata redazione del diniego di rinnovo in lingua inglese, francese o araba non abbia impedito al ricorrente la piena ed effettiva difesa delle proprie prerogative in sede giurisdizionale.

Infine, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, si rileva come la stessa si insussistente, atteso che con nota di data 16.10.2008, la Questura di Catanzaro ha comunicato al ricorrente il prescritto preavviso di rigetto, con indicazione della facoltà di presentare proprie e osservazioni e documenti entro il termine di 10 giorni.

Anche sotto tali ultimi due profili, i vizi denunciati in ricorso si rilevano insussistenti.

In conclusione, il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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