Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 24-05-2011, n. 20491

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 12 maggio 2010 il giudice di pace di Monza assolveva D.C.D.V.N. dal reato di danneggiamento continuato, commesso in (OMISSIS) in un appartamento in fase di ristrutturazione nella disponibilità della sorella, D.C.D.V. E., che all’epoca ne era comproprietaria rientrando l’immobile nella comunione ereditaria prò indiviso tra le due sorelle.

L’immobile era divenuto successivamente, dopo la pubblicazione del testamento con la quale la defunta madre lo attribuiva alla figlia E., oggetto di una controversia ereditaria tra le due sorelle avendo l’imputata impugnato il testamento. L’imputata veniva assolta dal primo episodio contestato, avvenuto il (OMISSIS), per mancanza di "adeguata prova che il fatto sussista", ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, e dal secondo episodio, del giorno successivo, per aver agito in stato di necessità putativo.

Avverso la predetta sentenza la parte civile D.C.D. V.E. – che aveva chiesto con ricorso immediato, ai sensi del D.Lgs. cit., art.21, la citazione a giudizio dell’imputata- ha proposto, tramite il difensore munito di procura speciale, ricorso per cassazione ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 38.

Con il ricorso si deduce: quanto all’episodio del (OMISSIS) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, anche in relazione all’ordinanza dibattimentale del 25 settembre 2007, l’erronea applicazione della legge penale, il travisamento della prova risultante dagli allegati fotografici al ricorso e dalla deposizione del teste S.M., l’inosservanza di norme processuali con riferimento all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e art. 125 c.p.p.; in particolare vi sarebbe contrasto tra dispositivo e motivazione, erroneamente sarebbe stato ritenuto mancante il requisito dell’altruità della cosa danneggiata a cagione della comproprietà tra le due sorelle dell’appartamento, danneggiato in data anteriore al ritrovamento del testamento con il quale l’immobile veniva lasciato dalla defunta madre a E. (peraltro, anche si volesse qualificare il fatto come deturpamento e imbrattamento di cose altrui ai sensi dell’art. 639 c.p., vi sarebbe comunque violazione della legge penale); il giudice di merito, inoltre, non avrebbe tenuto conto di ulteriori condotte di danneggiamento contestate, di cui non si fa cenno nella motivazione (non avrebbe quindi tenuto conto delle dichiarazioni del teste S. e degli allegati fotografici al ricorso); quanto alla ritinteggiatura dei locali danneggiati la pronuncia assolutoria sarebbe in contrasto con l’ordinanza del 25 settembre 2007 di rigetto dell’istanza di definizione ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35 per intervenuta riparazione del danno; peraltro la condotta riparatoria sarebbe stata messa in atto mediante una violazione di domicilio, essendo l’imputata a quella data (8-9 settembre 2007) già a conoscenza del contenuto del testamento; mancherebbe, infine, la motivazione in relazione al danneggiamento dell’impianto elettrico;

quanto all’episodio del (OMISSIS) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 54, 59 e 635 c.p., il travisamento della prova risultante dai rapporti di intervento dei vigili del fuoco e dalla deposizione del teste De.

C.E., l’inosservanza di norme processuali con riferimento all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e art. 125 c.p.p.;

in particolare il ritenuto stato di necessità (dalla motivazione della sentenza impugnata si desume che l’imputata aveva avuto l’esigenza di entrare nell’appartamento per recuperare un medicinale che le serviva per curare crisi di asma) non sarebbe sussistente in mancanza di uno stato di pericolo di una danno grave alla persona, dell’inevitabilità del pericolo, della proporzione fra il supposto pericolo di un danno grave alla persona e il danneggiamento; nè sarebbe stata fornita adeguata motivazione circa la ritenuta putatività dello stato di necessità.

Il ricorso è fondato sotto un duplice profilo.

Nella sentenza impugnata si da atto che l’imputata aveva ammesso nel corso del dibattimento di aver compiuto nell’appartamento appartenente alla defunta madre, all’epoca oggetto di comunione ereditaria con la sorella E., atti che avevano deturpato (scritta su una parete) i locali, dopo aver scoperto che nell’immobile la nipote S.V. (figlia della sorella) e il fidanzato stavano compiendo lavori di ristrutturazione per adibirlo a propria abitazione. Il giudice di merito ha tuttavia escluso la sussistenza del reato di danneggiamento per l’assenza del requisito dell’altruità della cosa danneggiata. Tale conclusione deve tuttavia ritenersi errata poichè, come già affermato da questa Corte (Cass. sez. 6, 11 giugno 2003 n.36366, Fabiani), il reato previsto dall’art. 635 c.p. sussiste anche quando l’azione di danneggiamento colpisce una cosa che per destinazione funzionale deve essere ritenuta in comproprietà con le persone offese le quali di fatto ne avevano il possesso ed il godimento. Infatti la condotta illecita produce, inevitabilmente, effetti anche sulla quota ideale di proprietà dell’altro titolare della comunione. Peraltro la Corte rileva che nella sentenza impugnata non risulta essere stata presa in considerazione quella parte della condotta contestata che ha riguardato beni mobili che certamente non rientravano nella comunione ereditaria (contenitori di vernice, attrezzatura per la tinteggiatura, contenuto dei cassetti, degli armadi e degli scatoloni ivi compreso un lampadario con parti in vetro).

Il giudice di merito, inoltre, ha sostenuto non esservi prova del danno lamentato dalla persona offesa perchè, quanto alla parete sulla quale era stata fatta la scritta, la stessa imputata aveva provveduto con l’aiuto del teste B. a tinteggiarla nuovamente, e, relativamente all’impianto elettrico, nè quello approntato in fase di ristrutturazione dell’appartamento nè quello precedente erano "a norma"; inoltre mancherebbe, secondo il giudice di pace, la prova di danni causati da lordatura delle pareti e dei pavimenti con vernice. La Corte rileva, tuttavia, che tale conclusione non è sorretta da una completa analisi delle emergenze dibattimentali, poichè non risultano essere state valutate nè le dichiarazioni del teste S.M. circa le condizioni in cui l’appartamento si presentava il 26 marzo 2007 ("…Ho visto una scritta sul muro…sulla parete opposta vi era traccia di pennellate con il rullo. Abbiamo verificato che erano stati strappati dei fili dell’impianto elettrico da alcune canaline. Le latte della vernice erano aperte e un pennello o un rullo era all’interno…") nè le fotografie allegate al ricorso introduttivo. Nella motivazione della sentenza impugnata, peraltro, si tende – con vistosa e immotivata contraddittorietà rispetto a quanto dallo stesso giudice deciso all’udienza del 25 settembre 2007 – a valorizzare, per escludere la prova della sussistenza del reato, la circostanza, riferita dal teste B., che l’imputata si sarebbe adoperata per cancellare la scritta sulla parete, circostanza che tuttavia nella ordinanza dibattimentale era stata ritenuta inidonea a provare la sussistenza di una condotta riparatoria ai fini dell’emissione della richiesta declaratoria di estinzione del reato ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35. Detta condotta riparatoria sarebbe peraltro intervenuta – come correttamente si rileva nel ricorso – in data (8-9 settembre 2007) successiva alla pubblicazione del testamento olografo della madre dell’imputata, in base al quale il bene immobile in questione apparteneva ormai in via esclusiva alla sorella E., e nella consapevolezza quindi da parte di D.C. D.V.N. di non avere più diritto di accedere nell’appartamento.

Quanto all’episodio del (OMISSIS), la Corte osserva che nella sentenza impugnata è stata applicata la scriminante dello stato di necessità in relazione all’introduzione nell’appartamento dell’imputata, la quale aveva richiesto l’intervento dei vigili del fuoco per farsi aprire la porta blindata (dopo il primo episodio di danneggiamento era stata cambiata la serratura) rimasta danneggiata e per poter recuperare degli effetti personali, tra cui la borsetta contenente un farmaco "utile" per le sue difficoltà respiratorie. Il giudice di merito non ha indicato, tuttavia, alcun concreto elemento da cui potesse desumersi che l’imputata al momento del fatto si trovasse nella necessità di salvarsi dal pericolo attuale di un danno grave alla persona (tale non potendo ritenersi il generico certificato medico da cui risulta che D.C.D.V. N. "è affetta da asma ed è in terapia con aliplus") e, comunque, dimostra di ritenere sostanzialmente mancante nel caso in esame l’ulteriore condizione per l’applicazione della scriminante costituita dall’inevitabilità della condotta (il farmaco, ha affermato il giudice di pace, poteva essere acquisito con altre modalità in farmacia o al Pronto soccorso), non affrontando neppure l’aspetto relativo alla proporzionalità al pencolo del fatto. Quanto alla ritenuta putatività dello stato di necessità (putatività che peraltro non risulta essere stata addotta dall’imputato), nella motivazione della sentenza difetta l’indicazione degli elementi da cui è stato tratto tale convincimento. In tema di cause di giustificazione questa Corte ha, invece, più volte affermato (Cass. sez. 1, 22 aprile 2009 n.19341, Faiq; sez. 6, 16 settembre 2004 n.436, Cuccovia; sez. 6, 12 febbraio 2004 n.15484, Raia; sez. 6, 5 giugno 2003 n. 28325 Basso) che l’imputato il quale deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente reale o putativa deve provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio e, comunque, che l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo suo stato d’animo, bensì su dati di fatto concreti tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato.

Si impone pertanto, alla luce delle lacune motivazionali e dei principi di diritto sopra richiamati, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di pace di Monza per nuovo giudizio.

Le spese sostenute dalla parte civile in questa fase verranno liquidate dal giudice di rinvio in base al principio della soccombenza, con riferimento all’esito del gravame (Cass. sez. 1, 9 giugno 2010 n.25116, Olari; sez. 2, 10 luglio 2003 n.32440, Lamè).
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice di pace di Monza per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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