Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-02-2011) 24-05-2011, n. 20484

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27.3.2007, il Tribunale di Bologna assolveva H.S.M. dal reato di truffa, perchè il fatto non sussiste, rilevando che la vettura era stata acquistata dando in pagamento un assegno, sia pure invalido o irregolare, senza che l’imputata avesse accompagnato tale atto con altri comportamenti, e pertanto non erano integrati gli elementi costitutivi del reato contestato (artifizi e raggiri, e induzione in errore).

Avverso tale pronunzia propose gravame il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, rappresentando che gli elementi costitutivi del reato in questione dovevano in realtà ritenersi integrati, in quanto l’assegno consegnato in pagamento era stato contraffatto (falso assegno bancoposta, contenente dicitura "assegno circolare vidimato" non coerente con la tipologia dell’assegno) e l’imputata si era qualificata come rappresentante di una concessionaria. La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 30.3.2010, dichiarava la penale responsabilità della H., e la condannava alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 600,00 di multa, rilevando che l’imputata aveva indotto in errore la parte offesa, ponendo in essere artifizi e raggiri idonei ad ostacolare un pronto controllo della validità del titolo, fissando l’appuntamento di venerdì pomeriggio direttamente dal notaio e consegnando in pagamento un assegno "irregolare", ed emesso apparentemente da terza persona, qualificata come cliente per conto del quale veniva acquistata la vettura.

Ricorre per cassazione l’imputata, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per errata interpretazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

A sostegno dei motivi proposti, afferma la ricorrente che le risultanze processuali, approfonditamente vagliate in primo grado, hanno permesso di appurare che il soggetto qualificatosi come concessionario era da individuarsi in tale signor C., e che l’assegno da questi prodotto al notaio era intestato a persona diversa dalla ricorrente; l’assegno si presentava come un assegno palesemente invalido e/o irregolare, pertanto, inidoneo per sua stessa natura a trarre in inganno alcuno nè, tantomeno, ad integrare la realizzazione di quegli artifici e raggiri necessari all’induzione in errore della parte offesa. La sentenza appare poi assolutamente carente di motivazione ed, in alcuni passaggi, gravemente contraddittoria, in quanto, in primo luogo, si fonda su una ricostruzione dei fatti totalmente diversa dal loro reale svolgimento nonchè alla luce delle emergenze processuali dell’istruzione dibattimentale di primo grado; in secondo luogo, perchè, pur di riconoscere un coinvolgimento attivo della ricorrente nella vicenda delittuosa, si adombra una collaborazione e, dunque, un concorso nel reato, con altro soggetto rimasto ignoto. Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

Con i due motivi di ricorso la ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale in relazione al reato di truffa ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato in questione, attesa la illogicità delle argomentazioni al riguardo sviluppate. Con il secondo motivo si è prospettato anche il medesimo vizio, sotto il profilo del travisamento dei fatti. Le censure sono del tutto inammissibili posto che, con le stesse, si muovono non già precise contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito, non condividendosi dalla ricorrente le conclusioni attinte ed anzi proponendosi versioni più persuasive di quelle dispiegate nella sentenza impugnata. La Corte di merito, con motivazione logica ed adeguata, dopo aver indicato gli elementi costituenti gli estremi del reato di truffa in quanto artifici e raggiri idonei a trarre in inganno il venditore parte offesa (tempi e modi della compravendita, consegna di un assegno "irregolare") ha quindi rilevato che l’imputata è stata identificata nello studio del medesimo notaio presso il quale si era nuovamente recata per perfezionare l’acquisto di altra auto, e che le circostanze che l’autovettura oggetto della truffa risultasse di proprietà della H., come da certificato sequestrato attestante il passaggio di proprietà in suo favore, e che la stessa autovettura fosse stata subito "imbarcata" per l’estero fossero la prova certa della condotta dolosa dell’imputata. Contro tali valutazioni nei motivi in esame vengono formulate mere contestazioni di veridicità, in un impensabile tentativo di ottenere da questa Corte di legittimità un revisione di merito delle valutazioni stesse.

La questione poi dell’idoneità astratta dell’artificio o del raggiro ad ingannare e sorprendere l’altrui buona fede (in particolare, nella fattispecie, consegna di assegno "irregolare", contenente la dicitura "assegno circolare vidimato", non coerente con la tipologia dell’assegno in questione) può acquistare giuridica rilevanza solo in tema di tentativo di truffa, ma non ovviamente quando questa sia stata consumata con l’effettiva induzione in errore, in quanto in tal caso – come nel caso di specie – non può dubitarsi di tale idoneità, che è dimostrata chiaramente dall’esito raggiunto. Nè assume rilievo la mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa circa la regolarità dell’assegno portante la dicitura in questione, dal momento che tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione, il più delle volte peraltro determinata dalla fiducia che lo stesso autore del reato sia riuscito a suscitare nella parte lesa (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 2, Sent. n. 34059/2009 Rv. 244948; Cass. sez. 2, 17 marzo 1993 n. 4011, Marcacelo).

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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