Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-09-2011, n. 19783

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

T.L. veniva raggiunta nel 2007 da ordinanza ingiunzione del prefetto di Gorizia per violazione della legge assegni.

Il giudice di pace di Monfalcone respingeva l’opposizione. L’appello veniva rigettato dal tribunale di Trieste il 9 aprile 2009 e la sentenza notificata l’11 maggio.

Il giudice d’appello affermava che competente ad emettere l’ingiunzione era il prefetto del luogo di pagamento del titolo, individuato in Grado, sede della filiale bancaria sulla quale erano tratti gli assegni.

Negava che si fosse verificata la prescrizione della pretesa.

Il 10 luglio l’opponente ha proposto ricorso per cassazione, svolgendo tre motivi.

L’avvocatura erariale ha resistito con controricorso, eccependo tra l’altro la inammissibilità del ricorso ex art. 366 bis c.p.c..

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Il ricorso verte sui seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione della L. n. 386 del 1990, art. 2;

si conclude con il seguente quesito: "se il luogo di pagamento dell’assegno vada individuato nella località indicata per prima accanto al nome della banca trattarla". b) violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost.; si conclude con il seguente quesito: "Se debba proclamarsi la nullità di una ordinanza-ingiunzione assunta in violazione del principio della ragionevole durata del processo anche nel caso in cui l’eccessivo prolungarsi del medesimo comporti conseguenze astrattamente più favorevoli all’incolpato"? c) violazione dell’art. 97 Cost., e del principio di ragionevolezza dell’azione della pubblica amministrazione, motivo che si conclude con il seguente quesito: "Se debba proclamarsi la nullità di una ordinanza-ingiunzione assunta dopo tredici anni dalla commissione dell’illecito amministrativo e otto anni dall’entrata in vigore della disposizione che avrebbe consentito alla p.a. di sanzionarlo in sede amministrativa".

I quesiti sono palesemente inammissibili e ciò comporta l’inammissibilità del ricorso.

Invero, affinchè1 il quesito di diritto, di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità’ del ricorso per cassazione, è necessario, con riferimento al ricorso per violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, che siano enunciati gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, richiamando le relative argomentazioni (Cass. SU 3519/08).

Pertanto deve essere dichiarato inammissibile il ricorso nel quale il quesito di diritto si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, poichè la citata disposizione è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una "regula iuris" (SU 2658/08) da applicare nel caso concreto (Cass 9477/09; SU 7433/09).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08). Deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (SU 26020/08) .

Inoltre il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 3), deve essere dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. 22499/06).

Con tutta evidenza i quesiti esposti non soddisfano questi requisiti, poichè:

a) non esplicitano le censure nei termini richiesti (il primo quesito, che è mero interpello);

b) non manifestano alcun riferimento al caso concreto (il secondo quesito, che non è ancorato alle peculiarità della vicenda, le quali renderebbero asseritamente sussistente la violazione denunciata);

c) sono formulati apoditticamente: il terzo motivo, che non si misura con la dominante giurisprudenza di segno contrario (cfr. Cass. 19529/03; 4946/93), con conseguente astrattezza del quesito. Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 1.000,00 per onorari, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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