Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-02-2011) 24-05-2011, n. 20480

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nga dichiarato inammissibile.
Svolgimento del processo

Con sentenza del 27.11.2007, il Tribunale di Napoli dichiarò R.A. responsabile del reato di cui all’art. 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7 e lo condannò alla pena di anni uno mesi sei di reclusione ed Euro 450 di multa, nonchè alla restituzione alla Mediofactoring spa della somma in sequestro.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 1.6.2009, escluso il capoverso dell’art. 640 c.p. rideterminava la pena in anni uno mesi uno di reclusione ed Euro 400 di multa.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 56 c.p., art. 61 c.p., n. 7, artt. 120 e 159 c.p., difetto di motivazione sui punti relativi alla qualificazione giuridica del reato quale ipotesi di tentativo, alla sussistenza della contestata aggravante, alla mancanza della condizione di procedibilità, all’intervenuta prescrizione del reato ascritto.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Il ricorrente deposita successivamente in data 26.1.2011 memoria illustrativa dei motivi dedotti, e in particolare in ordine alla qualificazione giuridica del reato quale ipotesi di tentativo e alla prescrizione del reato.
Motivi della decisione

Con il primo motivo, rileva il ricorrente che, ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa di truffa consumata, occorre un effettivo depauperamento economico del soggetto passivo, il che nella fattispecie non si è verificato, in quanto la somma di denaro erogata a mezzo bonifico dalla p.o. sul conto corrente del R. non è mai stata prelevata dall’imputato, in quanto tempestivamente sottoposta a sequestro a seguito della denuncia avanzata dal M., e pertanto il reato andava correttamente ritenuto nella forma del reato tentato. Con il secondo motivo, deduce poi che, per la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7, non è sufficiente la mera indicazione nel capo di imputazione dell’importo della somma sottratta alla persona offesa, ma è necessario che sia esplicitata la valutazione circa la rilevante gravità del danno così da consentire l’esercizio del connesso diritto di difesa, esplicitazione che manca nel caso di specie. La valutazione del danno va poi compiuta con criterio soggettivo e in riferimento al danno concreto subito in via diretta.

Nel caso di specie, la somma di danaro accreditata sul conto corrente del R., e da questi mai riscossa nè prelevata non appare affatto ragguardevole laddove sia comparata alle disponibilità economiche dei soggetti contraenti.

Entrambi i motivi concernono questioni ampiamente dibattute nel corso del giudizio, e consistono in una mera reiterazione dei motivi dell’atto d’appello, e pertanto vanno considerati non specifici.

Premesso che il reato di truffa si consuma nel momento dell’effettivo conseguimento dell’ingiusto profitto, con correlativo danno della persona offesa, identificato in quello dell’effettiva prestazione del bene economico da parte della vittima, con conseguente passaggio nella sfera di disponibilità del reo, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto che il reato dovesse considerarsi consumato e non tentato, "avendo ottenuto l’imputato la piena disponibilità delle somme, attraverso l’accredito sul conto corrente bancario";

infatti, anche il semplice accredito in conto corrente può costituire ingiusto profitto, atteso che esso sicuramente consente il prelievo delle somme, ed anche la possibilità di far figurare, nei confronti di terzi, una determinata disponibilità sul conto medesimo con tutti i conseguenti vantaggi connessi alla esistenza del rapporto in questione, cui si accompagna il danno della parte offesa che, una volta scoperto il raggiro (nella fattispecie, nel corso delle trattative negoziali per la stipula di un contratto di cessione di debiti "pro solvendo" erano state presentate false fatture relative ad operazioni inesistenti, nonchè una falsa nota di accettazione recante la sottoscrizione apocrifa del debitore ceduto), deve dar luogo ad iniziative comportanti dispendio di tempo e denaro per cercare di recuperare – non sempre con successo – le somme accreditate, e oramai uscite dalla propria disponibilità.

La circostanza che le somme di cui al bonifico siano state poi tempestivamente sequestrate, e quindi oggetto di ordine di restituzione a favore della parte offesa, è circostanza successiva, che non incide in alcun modo ai fini della consumazione del reato.

In tema di applicazione della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, osserva quindi il Collegio che l’entità oggettiva assume valore preminente, mentre la capacità economica del danneggiato costituisce parametro sussidiario di valutazione, cui è possibile ricorrere soltanto nei casi in cui il danno sia di entità tale da rendere dubbia la sua oggettiva rilevanza (v, tra le tante Cass. Sez. 2, sent. n. 42351/2007, rv.

238761).

Considerato che la somma versata ammontava a L. 255 milioni circa nel 2001, anche l’aggravante del danno di rilevante entità è stata esattamente ritenuta.

Stante la procedibilità d’ufficio del reato, il terzo motivo resta assorbito nel secondo.

Il quarto motivo è manifestamente infondato; il dibattimento risulta infatti sospeso dal 19.9.2006 al 16.1.2007, dal 26.6.2007 al 25.9.2007, dal 23.10.2007 al 27.11.2007 per complessivi mesi sette e giorni ventinove, che vanno computati per intero, in quanto trattasi di rinvii per adesione del difensore all’astensione proclamata dagli organi rappresentativi della professione forense, e l’adesione all’astensione collettiva dalle udienze, quantunque tutelata dall’ordinamento mediante il riconoscimento del diritto al rinvio, non costituisce, tuttavia, impedimento in senso tecnico, non discendendo da un’assoluta impossibilità a partecipare all’attività difensiva (cfr.Cass.Sez. 1, sent. n. 25714/2008 Rv. 240460).

Considerato che il reato risulta commesso in data (OMISSIS), e che il reato di truffa si prescrive nel termine massimo di anni sette e mesi sei, a cui vanno aggiunti mesi sette e giorni ventinove di sospensione, alla data della pronuncia della sentenza d’appello (1.6.2009) il reato non era prescritto.

L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., l’estinzione del reato per prescrizione, maturata in data successiva alla pronunzia della sentenza di appello.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro Mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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